Khinalug è una località che si trova in Azerbaijan a circa 90 km da Baku ma ci vuole tanto tempo per arrivarci. La strada che porta a Khinalug è completamente asfaltata ma nonostante ciò gli abitanti hanno comunque mantenuto la loro “arcaicità” alla quale sono legati e che gli consente anche una certa indipendenza da ciò che succede “a valle”. Siamo arrivati a Khinalug senza prenotazione e, come succede sempre nei paesi sperduti, abbiamo trovato ospitalità prima ancora di scendere dalla macchina. Il nostro ospite era una persona molto in vista nel paese, casa piena di ospiti, ed era sempre al telefono; la sua ospitalità si è rilevata poi propizia per le ragioni che spiegherò in seguito. Eravamo a conoscenza dell’esistenza nei pressi di Khinalug di un tempio zoroastriano, ovvero il luogo di culto della religione preislamica adoratrice del fuoco. I templi zoroastriani sono tutti costruiti intorno ad un braciere che arde in eterno. Il fuoco può essere alimentato da condotte o naturale, ovviamente quello del tempio zoroastriano di Khinalug è un fuoco naturale. l’Azerbaijan ha un sottosuolo che brucia ed in alcuni punti il fuoco riesce a trovare la strada e manifestarsi in superfice. Il tempio zoroastriano di Khinalug si trova a più di 2300 metri di altezza impossibile da raggiungere in autonomia perché non esiste un sentiero e la zona è protetta dalle guardie perché considerata da preservare. A questo punto arrivare a al tempio zoroastriano era diventato un obiettivo tanto importante quanto difficile.
Così abbiamo provato a chiedere al nostro ospite se ci poteva aiutare e, dopo un’iniziale resistenza, ha accettato ad accompagnarci ed ha proceduto con le telefonate frenetiche. Abbiamo fatto quasi tutto il percorso su una Lada, tanto simile alle vecchie Fiat 128, che, senza paura, ha affrontato il percorso di montagna senza pista battuta. Impossibile descrivere la sensazione che si prova lassù era come essere a tu per tu con la divinità, in cima al mondo. Ora mi domando come è possibile che un fuoco naturale trovi la via d’uscita (e di conseguenza diventa oggetto di venerazione) in un punto che si raggiunge a fatica, solo per pochi, che si trova sul tetto del mondo, uno dei posti più lontani e remoti del mondo?
ESTRATTO DA “FIGLI DI NOE’” DI MONIKA BULAY
Sulla cima, tra le rovine, pascola una capra, un anziano rotola lentamente un grande masso per puntellare un vecchio sentiero e un bambino ci rovescia sopra della sabbia. Tutto intorno ragnatele di altri sentieri, ognuno dei quali appartiene ad una famiglia. “Se tutto fosse in comune” ti dicono a Khinalug “il nostro villaggio sarebbe sparito”, e declinano un ordine antico e complesso, lo stesso che ritrovi nella loro grammatica. “Basta accendere una pipa e puoi attraversare centinaia di mondi diversi” dicevano i viaggiatori russi nel Caucaso. Narra una leggenda che Dio distribuendo a piccole manciate le lingue qua e là sulla terra, inciampò nel Caucaso e ne rovesciò un bel mucchio. La lingua di Khinalug, il Keshmitsl, è fatta di settantadue suoni. È l’alfabeto più ricco del mondo per un semplice motivo, è il villaggio più isolato, più alto e si trova alla fine di tutte le strade. Ma la lingua di Khinalug è solo un piccolo punto nelle pleiadi delle lingue caucasiche. Nei villaggi più prossimi, Alik, Djek e Gabut si parla in tutt’altro modo, in Kryc. Ancora una, due generazioni e sparirà anche questa straordinaria lingua, che mai è stata trascritta finora. Gente selvaggia che vive nella pioggia e nel fango, insieme al bestiame, e la loro lingua riflette il loro mondo come uno specchio. La nuvola è chiamata “gregge di pecore”, l’arcobaleno, “arco per cardare la lana”, la prima stella è la “capretta che marcia davanti al gregge”, la neve è la “lana”. La perfino il cielo appartiene agli animali.
VALENTINA GALLEANO
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