A circa venti giorni dalla mia ultima sortita in Transilvania, eccomi nuovamente salpare alla volta della Romania. Dopo ben quattro Capodanni trascorsi in Polonia e l’ultimo in Bielorussia, ora è la volta di tastare i festeggiamenti romeni. Il vero motivo del viaggio è, in realtà, quello di attraccare a Bucarest, utilizzarla come campo – base e poi da lì tentare la scalata della Repubblica di Moldova con doveroso sfondamento in Pridnestrovie, uno degli stati – fantasma della nostra Europa.
Alla convocazione del mister, rispondono, oltre al sottoscritto, altri quattro membri: il solito Jena Plissken, il temerario Gc, il promettente Brunello, l’estroso Marxim.
Ci sono tutti o quasi i presupposti affinchè, anche questa missione, resti vergata negli annali dei viaggi.
I motivi che spingono ad affrontare questa nuova missione sono molteplici: visitare la Repubblica di Moldova, buco nero del nostro peregrinare per l’Europa centro – orientale in quanto unico posto (per me e Jena) in cui non si è ancora messo piede; sfondare in Transnistria, pseudo – ultimo bastione del regime sovietico in Europa; emozionarsi in giro per la campagna moldava; festeggiare il Capodanno testando una meta da molti criticata, Bucarest appunto.
Tra gli organizzatori, però, si afferma anche un altro e valido motivo per cui muovere alla volta della Repubblica di Moldova. Denso di un’alta valenza culturale. E’ come chiudere un cerchio iniziato anni fa calpestando gli stessi passi di Fjodor Dostojevski a Sankt Peterburg, Oscar Wilde a Dublin, Amadeus Mozart a Salzburg.
Il sogno è quello di respirare l’aria della Chisinau finemente decantata da Cangaceiro, Autore senza timori reverenziali, e seguire le sue tracce con in mano la sua opera Omnia.
MERCOLEDI 30 DICEMBRE 2009:
Per motivi organizzativi, spetta a me preparare il campo e salpare alla volta di Bucuresti in solitaria la sera antecedente l’arrivo del gruppone.
Alle 14:00 in punto, ora tradizionalmente stabilita per l’abbandono del luogo di lavoro nei giorni di partenza, sgattàiolo, notato da tutti, fuori dalla Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica, la MegaDitta in cui sono solito servire umilmente i Padroni.
Riesco ad aggrapparmi all’ultimo treno utile in direzione Forlì e, viaggiando da Faenza “alla cosentina”, raggiungo in perfetto orario il capoluogo romagnolo.
In perfetto orario: quattro ore in anticipo sull’orario del mio volo.
L’opzione prescelta è quella di raggiungere il piccolo aerodromo forlivese in bus urbano ed in barba ai sanguisughe travestiti da tassisti, barboneggio nei dintorni della stazione allenando occhi ed orecchie ad intercettare volti ed accenti a me familiari. Non limitandomi ad idiomi e ceppi ma precisando anche la nazionalità precisa. C’è chi si diverte a contare le capre, io mi diverto a riconoscere se una persona è ucraina o bielorussa, serba o montenegrina, moldava o romena.
Estrapolato da questo gioco altamente edificante, rischio quasi di perdere il bus per l’aeroporto che sostava esattamente dietro le mie spalle. Non faccio neanche in tempo a salire completamente sul mezzo pubblico che vengo abbordato dall’autista e dall’unico passeggero presente oltre me. Il discorso spazia dal nucleare, alla Sicilia, al bagaglio a mano.
L’aerodromo romagnolo, piccolo ed essenziale, è intasato. Urla e lamenti si odono dal suo interno, i suoni sono chiaramente familiari. Trattasi dei passeggeri di un volo per Ivano- Frankuvsk, cittò ucraina, che hanno visto il loro volo essere cancellato e svanire con esso il sogno di trascorrere le Feste a in famiglia.
Chi mangerà ora tutti quei panettoni pronti ad essere esportati? E quali regali consegnerà Nonno Gelo durante l’imminente Natale (ortodosso)?
Le lacrime delle attempate signore venute a cercare fortuna in Italia si disperdono per l’aerostazione. Ed anch’esse vengono disperse coattivamente su alcuni pullman per destinazione ignota.
Ho più di due ore da trascorrere nelle sale che costituiscono il piccolo aeroporto e l’unica alternativa è trascorrerle in compagnia dell’autista del bus di cui ho usufruito dei servigi qualche minuto addietro. La conversazione si fa più interessante incuneandosi nei meandri politici che hanno fatto sì che i tassisti cittadini imprimessero i loro diktat all’amministrazione comunale, estromettendo di fatto il servizio pubblico sulla tratta aeroporto – città.
Giunto il momento di accomiatarmi dal mio amico autista, mi dirigo ai controlli bagagli, preceduto da un novello Zambara: in uno zaino sgualcito ed acquistato di terza mano al mercato rionale del pesce di Marotta nei mitici anni ’80, il giovanotto romeno porta seco una macchinetta per il caffè espresso, primo prototipo ed esemplare unico, usata dal commendator Achille Gaggia durante l’inaugurazione della sua azienda nel 1948.
L’adepto di Zambara avrà deciso di rendersi originale e non portare in dono un panettone ai suoi familiari ma direttamente una macchina per il caffè espresso. Come unico bagaglio. A mano.
Il nostro vettore per Bucuresti, gentilmente, data l’ora già inoltrata, ritarda e non mi resta che prendere lezioni intensive di lingua romena da due simpatiche giovanette, una delle quali di chiari antichi lineamenti rom ma di emozionante bellezza.
Lo Zambara romeno ha la macchina per il caffè come bagaglio a mano, io la solita Cappa negativa.
Il posto che la direzione della compagnia aerea mi riserva è quello incuneato tra cinque (tre da un lato, due dall’altro) strani personaggi altamente educati da far impallidire per grazia e portamento i cadetti e le educande della Scuola di Portamento di Oxford gestita dalla Congregazione delle suore svizzere di Città del Vaticano.
Rutti simili, al gusto di whisky e cola acquistati direttamente sull’aereo, li udii l’ultima volta ad un congresso svoltosi a Metelkova, il distretto anarchico di Ljubljana.
Dopo circa due anni attracco nuovamente sul suolo di Baneasa, il secondo aeroporto della capitale romena.
Con una piccola somma di moneta locale al seguito, mi divincolo dai tassisti, abusivi e non e mi dirigo diretto verso la fermata dell’autobus per la città.
E’ tarda notte. La fermata non c’è più. Almeno dove era ubicata ai miei tempi.
Effettuo qualche passo alla rinfusa e, sul vialone che porta in città, opto per costituirmi al prima tassista in cui mi imbatto. Il prezzo è in linea con gli standard e mi piego subito alle sue avances autistiche ma non a quelle di mediatore sessuale. Mi faccio abbandonare davanti l’ingresso dell’ostello precedentemente riservato.
Come due anni fa entro nel cortile, supero il nightclub, salgo le scale e…l’ostello presenta un altro nome e per di più sembra chiuso. Provo a sfondare la porta, a citofonare, a percepire una traccia di vita inutilmente. Non mi resta che telefonare al numero in sovraimpressione sulla porta. La voce dall’altro capo mi segnala che non trattasi dell’ostello da me prenotato.
Kurwa macz !
Bestemmio in polacco classico non conoscendo il romeno.
Ed ora?
Il bello è che anche due anni fa non ci furono difficoltà a trovare l’ostello e solo l’intervento di Jena dall’Italia sbloccò la situazione.
Accompagnato dalla Cappa, scendo in strada e provo a riequilibrare la situazione.
Chiedo lumi ad un giovane impiegato di un ventiquattro ore che si prodiga in romeno ma il suo consiglio è quello di rivolgermi ad un giovane avventore masticante inglese.
Con aria affabile e fraterna cerca di darmi le indicazioni di cui necessito ma… un momento…
“Do you are italian?”, mi rivolge bloccandosi nel mezzo della conversazione.
“Da”, rispondo in maniera spensierata.
“Italiani fuck off! Why you are here? Go Home”, mi consiglia snocciolandomi alcuni scambi di vedute intercorsi tra lui e la gentile polizia di frontiera italiana che, a detta sua, lo trattò male per il solo motivo del suo passaporto.
Piantato in asso, solo e senza bussola, mi gioco la carta Jena, che puntualmente sblocca l’inghippo, inviandomi il numero telefonico dell’ostello in questione.
L’ostello ha di recente traslocato di… trecento metri dalla sua precedente ubicazione.
Attestatomi nella mia accomodazione e tramontati tutti i sogni di nightlife, considerata l’ora tarda, opto per essere abbordato dall’unico italiano ospite della struttura e conversare fino ad un’ora ancora più tarda su viaggi ed esperienze ad essi legate, vista l’alta propensione ad essi di quest’ultimo.
GIOVEDI 31 DICEMBRE 2009:
Indifferente al gallo del canto, non curante delle prime luci dell’aurora valacca, mi lascio dolcemente svegliare da una clamorosa doppietta aerofaga bocca – culo promanante dall’omaccione tedesco, mio coinquilino di stanza.
Il mio programma è quello di dedicarmi alla visita della capitale e spianare, con alcune mosse strategiche, l’arrivo del gruppone previsto in serata.
Accetto l’invito del coinquilino italiano, profondo conoscitore della città e della lingua locale e mi butto in strada, bramoso di inebriarmi di quella volgarità a lungo ricercata e profondamente vissuta la prima volta che misi piede a Bucuresti.
Il vecchio centro storico di Lipscani è poesia, è cultura, è storia.
Con poche innovazioni rispetto ai due anni intercorsi dall’ultimo mio passaggio, riserva sempre gradite emozioni.
Ci allontaniamo dal centro storico e ci inoltriamo, seguendo le indicazioni del mio accompagnatore, verso tracciati cittadini, ancora centrali ma altamente segnati dal passare delle epoche.
I vecchi orpelli di gentilizi palazzi, eleganti villette in stile austro – ungarico, antiche costruzioni di elaborata fattura. Così doveva presentarsi Bucuresti al visitatore di circa un secolo fa.
L’incuria e la trasandatezza, al giorno d’oggi, hanno fatto capolino ma sono il segno di una semplicità, di una volgarità che in alcuni angoli fanno commuovere.
Il mio giudizio è rivolto ovviamente alla zona centrale, non essendomi mai inoltrato, per motivi di tempo, nella Bucarest di periferia ma il suo fascino la capitale lo emana.
E mi accorgerò di ciò solo alla terza volta in cui tornerò in città. Dopo circa dieci giorni da questa visita.
Scoccata una certa ora, il mio cicerone sgomma via in direzione Cluj-Napoca dove proseguirà il suo viaggio. Io mi concedo un supplemento di visita, inanellando via via i luoghi più classici della città, dal Palazzo del Governo a piata Unirii, fino alla maestosa Casa del Popolo dalla dimensione volumetrica impressionante.
Mi attesto su una panchina e mi gusto per alcuni minuti lo spettacolo.
Sull’antistante piata Constitutei fervono i preparativi per l’imminente Capodanno.
A poche ore dall’Evento tutto si sta sistemando al proprio posto in vista dei fragorosi festeggiamenti che coinvolgeranno l’intera popolazione.
Il conto alla rovescia è già iniziato e non mi resta che rientrare in ostello per pettinarmi degnamente per l’ultima volta dell’anno.
Anche perché la Cappa si è ricordata che oggi è Capodanno. La pioggia inizia a scendere copiosa.
Espletate le fasi pettinatorie e brindato con rakija bulgara in compagnia degli altri avventori dell’ostello non mi resta che recarmi sul luogo dell’appuntamento con un mio contatto locale, in qualità di procuratore per ingaggiare un contratto per l’intero gruppo per la serata imminente.
Sotto un’incessante pioggia battente ci dilettiamo in una sorta di aperitivo in un moderno locale del centro discettando dei più svariati argomenti ma, forse a causa della mia pettinata non gradita, l’affare salta, la pioggia miracolosamente cessa, e la controparte saluta.
I piani studiati precedentemente a tavolino sull’asse Firenze – Savona – Verona vengono riposti mestamente.
Cogitando per strada soluzioni dell’ultima ora, mi sento chiamare dal buon Brunello.
Il gruppone si costituisce. La missione ha ufficialmente inizio e siamo pronti a festeggiare.
Non prima di esserci concessi una lauta cena in una saletta sotterranea privata di un ristorante che, grazie a tutta la diplomazia di Marxim, ci lasciamo riservare.
Ben satolli ci mischiamo al fiume in piena di gente che staziona su boulevard Unirii, l’immenso vialone che conduce a piata Constitutei, sede del gigantesco palco che ospita i festeggiamenti per l’Ultimo dell’Anno.
L’atmosfera festosa che si respira a Bucarest in questi momenti non è per nulla paragonabile a quella compassata che respirammo lo scorso anno in piazza a Minsk.
LA MULTI ANI 2010 !
Un’immane esplosione di fuochi pirotecnici e giochi di luce degni di un concerto degli U2 con i Pink Floyd come ospiti e Vasco Rossi da apripista ci abbaglia.
Uno spettacolo mai visto. Davvero memorabile.
Smaltita l’emozione e le scorte alcooliche in nostro possesso, ci rechiamo in un noto locale cittadino, dove proseguiremo i festeggiamenti tra gioventù in libera uscita, bellezze interessanti ed un caldo asfissiante degno dell’estate azera.
Bucuresti non possiede un mercato del pesce, altrimenti saremmo finiti sui suoi banchi come sardine originali del Mediterraneo.
La notte è lunga.
E prosegue nei vicoli altamente caratteristici di Lipscani e nei suoi numerosi localini, dove tra il frastuono dei sound system ed il baccano dei giovani locali, Brunello riesce addirittura ad addormentarsi in piedi come un cavallo.
E’ il segnale.
La prima alba del nuovo anno termina qui.
L’arbitro fischia la fine delle ostilità e rientriamo negli spogliatoi, consci di aver tenuto il campo nonostante giocassimo su un campo difficile.
( continua nella sezione ” Moldova ” )
LUCA PINGITORE
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