“Ammorbidisci il tuo passo. Mi sembra che la superficie della Terra non sia altro che i corpi dei morti,
Cammina lentamente nell’aria, per non calpestare i resti dei servi di Dio.”
Lo scriveva circa mille anni fa il poeta arabo siriano Abu al-Ala al-Maʿarri. Un passo estrapolato da una delle sue opere che, seppur concepito in una accezione diversa, risulta oggi drammaticamente reale. Soprattutto per il fatto di trovarci al suo cospetto in una Siria ancora in guerra. L’antico sarcofago di marmo che conserva le sue spoglie da secoli resiste intatto alla furia della distruzione quasi nascosto da un albero secolare che sembra averlo preservato dalle macerie che giacciono tutto intorno. Siamo a Maarrat Al Numan, il paese natale del poeta. Anzi in quel poco che oramai resta della sua cittadina. E’ particolare come pochi anni dopo la dipartita del letterato questo luogo abbia subìto una prima tragica pagina di storia, conosciuta come il “massacro di Maarrat al Numan” perpetrato dai crociati diretti verso la Terrasanta, ed oggi dopo un migliaio di anni è nuovamente flagellato da una guerra moderna.
Il fragore dei nostri passi su calcinacci, frammenti di vetro, ferraglia, polvere, erbacce è assordante. Piccoli crepitii che diventano tuoni rimbombanti nei nostri stomaci. Corpi di persone morte per fortuna non ce ne sono più ma spontaneamente ammorbidiamo i nostri passi e camminiamo leggeri per rispetto a quello che fino ad una decina di anni fa erano queste strade: la vita.
Il nostro viaggio da Aleppo a Lattakia prevede la ridiscesa obbligata quasi fino ad Hama. Non si può tagliare passando dalla città di Idlib. La provincia in questione è diventata una sorta di riserva per i miliziani dell’Isis, formazione Al Nusra nello specifico, e di decine di altri gruppi appartenenti a quella galassia fondamentalista. Sconfitti nel loro intento principale, quello di rovesciare il Governo siriano in carica ed instaurare un regime improntato sul fondamentalismo estremizzato in luogo dell’antica pacifica convivenza tra etnie e confessioni religiose, è rimasto il problema della ricollocazione dei combattenti. Nessun Paese d’origine ha accettato di rimpatriarli, neppur in maniera coatta traducendoli nelle maglie della propria giustizia. Una presenza troppo ingombrante dal punto di vista politico che in alcuni casi avrebbe potuto dare adito anche a recondite ammissioni e troppo pericoloso dal punto di vista della sicurezza sociale. Un efferato combattente mercenario lo è per sempre e può imbracciare quindi qualsiasi causa. Per soldi o per ideali.
L’accordo non scritto, per coloro che non sono riusciti ad esfiltrare verso altri campi di battaglia quali l’area del Donbass, lo Yemen, la Regione del Tigrè nel Corno d’Africa o altre zone calde già ai limiti del subbuglio armato, è stato quello di chiuderli nella provincia di Idlib. Chiusi però fino ad un certo punto, considerato l’indicibile passaggio di merci dalla retrostante frontiera turca ma anche di rifornimenti provenienti dalla Siria stessa tramite strane triangolazioni di spregiudicati oligarchi medio-orientali.
L’autostrada M5, la principale arteria che collega Damasco ad Aleppo, nel suo tratto nord appunto da Hama ad Aleppo stessa, segna sostanzialmente la frontiera tra la Repubblica Araba Siriana ed il “Governatorato di Al Nusra”. Circa centotrenta chilometri di strada riaperta alla grande circolazione solo da pochi mesi e tenuta in sicurezza dall’esercito regolare siriano che ha preso posizione tra i resti dei villaggi ai margini della grande strada di comunicazione. Le condizioni del manto d’asfalto sono tutto sommate buone ma il traffico è scarso. Transitano praticamente solo tir carichi di approvvigionamenti per Aleppo, il terminale nord del Paese e bus pieni di militari che vanno in licenza o tornano in servizio. Molti pur di concedersi qualche ora nelle proprie case attendono un aleatorio passaggio sul ciglio della strada o sotto un ponte al riparo dal forte vento o dal caldo sole. I check point, soprattutto ai confini tra province, in aree sensibili o in ingesso ed uscita dai centri abitati, sono numerosi. Il controllo del territorio in Siria è capillare. Ne va della sicurezza del viaggiatore ma anche della sicurezza nazionale. In fondo i combattenti antigovernativi si spostarono indisturbati senza intoppi per settimane all’interno del Paese potendo così pianificare la veemente offensiva che poi lanciarono fuoriuscendo dai tombini di Aleppo. Anche per questo a Damasco e nelle grandi città dove la vita è tornata quasi alla normalità moltissimi tombini sono saldati al terreno. E’ già accaduto ma non si sa mai.
La linea che transita da quel che rimane dei villaggi di Saraqib, Maarrat Dibsah, Maarrat Al Numan, svoltando poi verso Kafr Nabudah fino a Qalaat Al Madiq ed il sito di Apamea è per lunghi tratti difesa da un alto terrapieno e da trincee scavate giusto ai margini della strada. La frontiera mobile è proprio qui. A poche centinaia di metri, le case all’orizzonte sono occupate dai miliziani neri. Quasi se ne scorge la presenza. O almeno è quello che noi crediamo di avvertire. Bidoni di grosso metallo una volta adibiti al trasporto di petrolio ed ora arrugginiti e ripieni di terra coprono il nostro passaggio. In accordo con i vecchi carrarmati ma del tutto funzionanti parcheggiati nei resti dei garage o degli esercizi commerciali abbandonati e distrutti ed ora utilizzati dai militari.
Militari che dovunque, qui dove la tensione è più alta o sul mare o nel deserto stepposo del sud est verso l’Iraq dove la situazione è più calma, ci mostrano la loro gentilezza e la loro umanità.
Come il soldato del palazzo storico adibito a quartier generale di un battaglione dell’esercito a Maarrat Al Numan. Un baldo giovane che ci accoglie con la sua simpatia nel servizio di accompagnamento alla tomba dimenticata del poeta Al Ma’arri. Una busta di tabacco è tutto quello che ha da offrirci per ripagarci della nostra visita. E’ lui che ringrazia noi ma saremo noi ad essergli per sempre riconoscenti per averci introdotto alla bellezza dei mosaici originali salvati dalla violenza dei combattimenti e nascosti nei sotterranei di un antico caravanserraglio. E’ già da qualche giorno che vediamo o transitiamo attraverso i resti non archeologici di villaggi e quartieri ma la camminata tra le macerie della cittadina del poeta siriano suscita nuovamente una forte emozione in noi. Come la visita notturna al quartiere armeno di Aleppo o nei vicoli del suk della stessa città. Posti come le cittadine ai lati dell’autostrada o determinate zone di Homs, di Hama o i quartieri Joubar, Barzehe, Al- Kaboun di Damasco [che personalmente avevo già visitato nel 2020] ed i villaggi con muri di terra che caratterizzano la strada da Homs al sito di Palmyra presentano tutti la stessa caratteristica: aree fantasma dove spunta, spesso all’improvviso, qualche anima gioiosa. Bambini, nati praticamente sotto i bombardamenti od in qualche campo profughi in Giordania o in Libano e rientrati a vivere con le proprie famiglie in appartamenti oasi nel mare della distruzione.
Intere località oramai abitate solo dai militari e dai ricordi di coloro che non ci sono più. Morti o scappati.
Ma la Siria non è solo un dramma. La Siria è anche la vivacità del centro di Damasco con i suoi locali, ristoranti, la sua vita notturna, le preghiere nelle moschee e nelle chiese.
E’ la ricostruzione del suk di Aleppo che procede, seppur lentamente.
E’ la gentilezza del popolo ed il piacere del cibo.
Sono le spiagge sul Mar Mediterraneo con l’isola cittadella di Arwad e Cipro che si immagina all’orizzonte.
E’ la bellezza sontuosa del cosiddetto Krak de Chevaliers, l’imponente fortezza utilizzata anche dai templari, uno dei pochissimi castelli al mondo mantenutosi fino ai giorni nostri sostanzialmente in buone condizioni.
E’ la storia arcaica che si è dipanata nel corso dei secoli giungendo fino a noi tramite le testimonianze delle decine di siti archeologici, dimostrazione dei numerosi popoli e delle diverse dinastie che hanno vissuto tra il mare e la Mesopotamia.
Alcuni di questi siti li riscopriamo come visitatori per la prima volta dopo più di dieci anni. Luoghi infilatisi nell’oblio e rimasti fermi così come erano.
Ci facciamo largo, infatti, tra la fitta vegetazione che oramai ricopre le rovine di Ugarit, considerata dagli archeologi uno dei più antichi insediamenti al mondo. Nessun turista o abitante locale, animali a parte, è venuto al cospetto del suo Palazzo Reale dal momento dello scoppio delle ostilità.
Siamo i primi a passeggiare nuovamente sulla “via colonnata” di Apamea. Località antica sorta nel neolitico che ha visto alternarsi greci, romani, persiani, seleucidi, mamelucchi ed infine l’Isis. Da poco liberata e tornata sotto il controllo siriano continua a trovarsi comunque sulla linea di confine e di tiro dei miliziani estremisti che ancora occupano la zona di Idlib. Potenzialmente potremmo forse essere bersagli all’orizzonte ma ci gustiamo appieno l’amenità del luogo e gli scampoli di colloquio con dei giovani pastorelli che accompagnano il loro gregge a masticare l’erba della storia.
Non potevamo infine esimerci dal fare la nostra conoscenza con la “sposa del deserto”: Palmyra, l’antica capitale dell’omonimo regno governato da Zenobia. I gravi danni commessi dalla scelleratezza umana sono ben riconoscibili rispetto a quelli causati dallo scorrere naturale del tempo. Un patrimonio dell’umanità sacrificato alla barbarie umana. Come quando, all’inizio dell’occupazione, i miliziani dell’Isis sul palco dell’anfiteatro romano tagliarono decine di teste ad altrettanti malcapitati con tanto di pubblico costretto ad assistere al tragico spettacolo mentre le telecamere della propaganda ripigliavano la scena.
Aspetto più propriamente turistico ed aspetto drammatico. Viaggiando oggi in Siria non è semplice poter tenere separati i due ambiti.
Ampie zone del Paese sono ancora sotto il controllo di realtà esterne. Tutto l’arco geografico cha da Idlib attraversa la striscia di terra a nord di Aleppo fino al punto di doppio confine con Turchia ed Iraq vede la presenza di differenti attori in campo. Squadroni della morte ed eserciti più o meno regolari di altri Paesi partecipanti al gioco. Anche il recente terremoto che ha colpito la zona ancora interessata dalle operazioni belliche non ha di certo aiutato. Come non aiutano il popolo e l’economia le forti sanzioni imposte dai cosiddetti Paesi occidentali con lo scopo di far cadere un Governo che la maggior parte della gente considera se non il migliore quello, oggi come oggi, comunque più plausibile.
Le sfide sono tante e musulmani e cristiani nelle loro numerose diverse diramazioni come le varie anime etniche che compongono la nazione siriana sono pronti a poter ricominciare. A partire da varie piccole attività commerciali e turistiche che stanno sorgendo. Un segnale di speranza per la Siria, uno dei Paesi a più alto potenziale turistico mondiale. Un Paese segnato nel profondo e che vede la normalità ancora distante.
Un Paese che viene giudicato da lontano senza esser conosciuto dall’interno.
Luca Pingitore
* Articolo redatto per il CeSEM Centro Studi Eurasia-Mediterraneo pubblicato il 09/04/23
https://www.cese-m.eu/cesem/2023/04/viaggio-in-siria-il-paese-che-la-guerra-non-ha-abbattuto/
Follow Us