Appunti dal Kirghizistan 2024

Il silenzio del lago Turpar Kol ti avvolge inebriandoti della sua placidità. Siamo a 3500 metri sul livello del mare.
Sulla superficie delle sue acque piacevolmente fresche si riflette la figura della cima innevata del Peak Lenin.
Il picco Ibn Sina, come è stato rinominato nel 2006, si staglia imperioso con i suoi 7134 metri di altezza praticamente segnando il confine tra Kirghizistan e Tadjikistan.
Raggiungere le rive del lago a piedi, partendo dal campo base utilizzato da alpinisti ed escursionisti oppure da uno degli altri piccoli accampamenti sparsi nell’area, si rivela una camminata dagli aspetti inattesi.
Pendii scoscesi e salite impervie ma praticabili si alternano regalando panorami unici.
Distese verdi, corsi d’acqua da guadare, aquile che solcano il cielo, marmotte che alla vista del raro passante si rintanano velocemente, accampamenti di yurte dai quali bambini ed adulti fuoriescono a salutare il viandante.
I nomadi si trasferiscono qui durante i mesi estivi per consentire a bovini e cavalli di nutrirsi con i migliori pascoli. Proprio i cavalli se non qualche inconsueta motoretta sono gli unici mezzi di trasporto. Anche se in diversi non disdegnano i resistenti fuoristrada UAZ o LADA di tradizione sovietica.
Trascorrere la notte in una yurta ti fa avvicinare alla natura. Qui in Kirghizistan come d’altronde in tutte le altre regioni dell’Asia Centrale dove il suo utilizzo è tipico.
La notte si va letto presto riscaldati dal tepore emanato dalla pechka, la stufa a legna. L’alba è uno spettacolo unico a queste latitudini ed altezze.
Che sia la figura imperiosa del Peak Lenin o la luce tenue data dal riverbero delle acque del lago Son Kul, altro lago sempre a circa 3000 metri ma situato nel centro del paese dei kyrgyzi.
Qui si vive l’abbandono. Il distacco dal resto del mondo. Basta inerpicarsi sulle vicine colline, sedersi nel punto più congeniale, magari vicino ad uno dei numerosi petroglifici rimasti su queste alture sin dall’antichità, e gustarsi lo spettacolo del nulla.
In estate qui il colore del niente è il verde. Verde a perdita d’occhio. Fino al vicino orizzonte azzurro delle acque del lago.
Una enorme distesa sconfinata dove solo il soffio del vento muove la corta erba che, in alcune zone distanti ma visibili, è ruminata da mucche e calpestata da cavalli appartenenti a qualche famiglia di nomadi.
Il bianco delle yurte lontane si frappone tra il verde della natura e l’azzurro delle acque che se non riflettono il sole si confondono con il cielo.
Per raggiungere i primi insediamenti abitati bisogna percorrere strade sterrate, superare alti passi di montagna, affrontare un tornante formato da 33 serpentine a strapiombo.
Percorsi molto spesso accidentali sono quelli che ti permettono di girovagare per il paese incastonato nel centro dell’Asia.
Strade caratterizzate da natura incontrastata e che in alcune zone costeggiano i paesi confinanti potendoli “vedere” a pochi metri di distanza e dove ti imbatti in mercati di merci e di animali.
Strade costellate di punti di ristoro, alla stregua degli antichi caravanserragli dei quali è ancora possibile trovar traccia in Kirghizistan, dove saziarsi con Plov, Manti, Laghman, i piatti tradizionali del paese.
Un paese che alterna la modernità della capitale Bishkek o della seconda città per importanza, Osh, alla semplicità delle cittadine di montagna.
Dove l’ospitalità è sacra e il forestiero è accolto. Siamo d’altronde su una delle direttrici della cosiddetta “Via della Seta”, che si dipanava dalla Cina fino all’Europa.
Un viaggio che nell’antichità durava mesi con numerose complicazioni e traversie ma che veniva ripagato, oltreché dalle preziose mercanzie rinvenute nei vari mercati, dalla straordinarietà di luoghi e popoli.
Una esperienza dove ancora oggi natura e avventura creano un connubio straordinario.

LUCA PINGITORE

* Articolo redatto per www.mywandering.it pubblicato il 18/10/24
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