Norvegia 2010

NORVEGIA GRANDE 1
Sei mesi. Sei mesi che non metto praticamente piede fuori di casa. Dai primi di dicembre, quando sono tornato dall’ultimo weekend fuori, in Appenino con degli amici, non sono uscito da una zona di 20 km. intorno a casa mia, tranne due scampagnate a Pasquetta e per il 25 aprile. Può capitare, d’accordo. Ma quando in contemporanea ti capita anche un periodo stressante, dove devi prendere decisioni importanti che condizioneranno il tuo futuro (o almeno i prossimi 25 anni), e devi affrontare anche un trasloco di sede di lavoro, con tutto quello che comporta in termini di impegni e fatica, succede quello che non pensavi potessi succederti.
Non hai voglia di partire né di muoverti. Il viaggio prospettato (biglietti presi tre mesi fa) ti sembra un altro odioso impegno al quale vorresti sottrarti. Incredibile ma vero. Vorresti solo stare in casa a dormire, possibilmente sedici ore al giorno. Ti ritrovi a fare il tifo per quel vulcano islandese dal nome impronunciabile. Se riprende a buttare fuori cenere, ti rimborseranno i biglietti. Per questo non prenoti alberghi nè altro fino a pochi giorni prima.
Ecco, se riuscite a immaginarvi uno stato d’animo del genere (cosa difficile per voi viaggiatori incalliti) capirete come mi sentivo io verso la metà di maggio. Alla fine il buon senso prevale.
Se non parto, non potrò starmene a casa a riposare, dovrò andare al lavoro. Tanto vale partire, allora, no?
E la destinazione scelta, che avevo in testa fin dall’anno scorso quando poi gli amici mi dirottarono verso l’Andalusia, è l’ideale per chi ne ha le palle piene di un mezzo anno di stress e casini. Natura, verde, un clima fresco (forse anche troppo?) e un ambiente molto “take it easy”, almeno dall’immagine che proietta all’esterno. Si va in Norvegia.
E piano piano, negli ultimi giorni prima della partenza, riesco nuovamente ad assaporare l’idea del viaggio.
Sì, forse è la soluzione migliore, andarsene un po’ in giro da soli senza altre persone in mezzo alle… scatole, beneintenzionate o maleintenzionate che siano. Il piano fortunatamente è pronto dalla scorsa primavera e ha bisogno solo di piccoli aggiustamenti. Partenza mercoledì pomeriggio, rientro domenica sera.
Preparo la roba invernale (sono previste minime di 4°), metto in valigia cuffia di lana e magliettina della salute e prendo il bel giubbottone imbottito che era già stato riposto nell’armadio. La mattina vado al lavoro come al solito, stacco a mezzogiorno e passo da casa a prendere la valigia. All’aeroporto piove e fa freddo, come da qualche giorno. Le previsioni dicono che su nel Nord è previsto sole… speriamo che ci abbiano azzeccato. Per ora il giubbotto pesante serve qui. Salgo sul volo diretto Ryanair, pagato una fesseria (29 euri A/R) e mi sento già più rilassato. Sono di nuovo in viaggio, e mi accorgo di quanto mi fosse mancata questa dimensione.
Dalle Alpi in poi l’Europa è soleggiata.
Atterriamo in mezzo a campi e foreste. L’aeroporto che Ryanair chiama “Oslo“, quello di Sandefjord, è in una zona decisamente rurale, a oltre un’ora e mezzo di bus dalla capitale.
Ma io non vado a Oslo.
Dopo poco meno di due ore, ho un altro aereo, un piccolo turboelica che mi porterà a Bergen, la seconda città della Norvegia, sulla costa atlantica, un ottimo punto di partenza per fare un giro ad ammirare alcuni dei fiordi più belli del paese. I paesaggi dall’alto cominciano a dare un assaggio di cosa vedrò nei prossimi giorni, prima le nevi perenni della catena montuosa che divide est e ovest e poi la miriade di piccole insenature, isolette e fiordi che circonda Bergen, acquattata ai piedi di una montagna e divisa dal mare aperto da tutta una serie di barriere naturali che ne fanno un porto ideale.
Arrivo che sono quasi le nove di sera, ma il cielo è ancora chiaro. In bus arrivo in centro, è piccolo e si gira facilmente a piedi.
Trovo l’ostello dopo qualche bestemmia (perché danno come indirizzo una via quando l’ingresso è in una perpendicolare?) e mollo i bagagli.
Devo mangiare e il cielo è ancora chiaro anche se sono le dieci, per cui doccia veloce e via.
La città non sembra molto viva ma dopo tutto è mercoledì e ristoranti e bar sono poco affollati.
Faccio conoscenza con i prezzi norvegesi: un panino non eccessivamente grande e una bottiglietta d’acqua (ma la coca-cola e le altre bevande costano esattamente la stessa cifra) mi porta via più di 8 euri… Mek Ojonj, come si dice in dialetto norvegese.
Sapevo che era un paese costoso, ma il cibo mi sembra decisamente caro, anche rispetto ai 33 euri al giorno che costa il posto in camerata da 8 in ostello (però pulito, con docce e ces… toilettes confortevoli).
In compenso il clima è un sogno.
Verso le undici, quando fa buio e iniziano ad accendersi i lampioni, ci sono ancora 10°, oggi è stata una bella giornata e dovrebbe esserlo anche domani. Devo alzarmi presto, non ho prenotato il posto per il tour e quindi voglio andare in stazione domattina appena aprono, verso le 7. Perciò torno in ostello e faccio conoscenza con un simpatico tizio tedesco di nome Stefan, che è qui da oltre una settimana e ha fatto tutti i tour della zona possibili e immaginabili, e con un paio di americani con i quali si chiacchiera di rotte aeree: uno sta facendo il tour dell‘Europa e poi vorrebbe andare in Thailandia, disordini o no, ma il prezzo più basso per tornare negli States dall’Asia a quanto pare è il volo diretto dalla Mongolia, quindi pensava di concludere il suo giro lì… dopo essermi opportunamente vergognato per manifesta inferiorità, mi ficco a letto, è stata una lunga giornata e non ho più vent’anni.
E nemmeno trenta, ahimè.
 La mattina del giovedì mi sveglio presto per andare in stazione a prenotare il tour Norway in a nutshell”. Mi ero premunito di scusarmi in anticipo con gli altri ragazzi della camerata ma il mio scrupolo era eccessivo: ce ne sono un paio già in piedi prima di me. Prima delle otto sono in stazione, dove scopro che ci sono biglietti in abbondanza e quindi non c’è da preoccuparsi. Ho il tempo di fare colazione con calma e di farmi un giretto per il parco intorno al grande stagno che sorge quasi al centro della città, deserto sotto una coltre di nuvole mattutine che ben presto si alzeranno. Alle nove meno venti ci muoviamo con il treno locale. I nomi sono mitici, al di là della prima galleria c’è subito Arna, paese che per noi italici evoca il nome della macchina più brutta mai costruita nel nostro paese (sì, peggio della Duna…). Costeggiamo le acque del fiordo che divide la terraferma dall’isola di Osteroy. Malgrado in certi punti non sia più largo di venti metri, fino alla fine degli anni ’90 gli abitanti dell’isola dovevano ricorrere al traghetto per attraversare lo stretto, prima che fosse costruito un ponte. Noto decine e decine di imbarcazioni da diporto, ormeggiate ovunque: ci sono piccoli moli sparsi in ognuno dei meandri dei vari fiordi. Qui la barca è un po’ come il motorino, non uno status symbol ma un mezzo di svago e di trasporto al tempo stesso. Poi, risalendo il fiordo, ci imbattiamo in un nome che mi fa scorrere una lacrimuccia sulla guancia. Dale. A chi non ha letto Tolkien, questo toponimo dirà poco o nulla, ma per quelli come me che hanno sognato sulle pagine dell’Hobbit o del Signore degli Anelli è un nome magico. Sono nella Valle di Dale, e poco importa se non c’è la Montagna Solitaria o il drago Smaug. Nel mondo “reale” Dale è nota nel mondo per la sua fabbrica di maglioni e altri capi di lana: Dale of Norway è un marchio famoso. Risaliamo la valle del Raundalselva, che si intreccia con altri due fiumi per formare uno dei pochissimi sistemi fluviali in Norvegia che non è stato sbarrato per ricavarne energia idroelettrica, ma è stato lasciato agli appassionati della natura e ai canoisti/kayakisti/rafters. Scendiamo nella stazioncina di Voss, tappa per tutti i tour della zona, dove i pullman smistano i turisti nei vari percorsi. Ribecco Stefan, il tedesco della mia camerata, che sta andando a fare il giro del fiordo di Hardanger. Io invece salgo sul pullman che continua a risalire la valle, costeggiando laghi e piccole rapide, prima di svoltare a sinistra verso la Stalheimskleiva, la mitica strada che si arrampica verso l’hotel Stalheim, dove un tempo venivano a soggiornare le teste coronate di tutta Europa. In particolare il Kaiser Guglielmo secondo era un ospite fisso ogni estate, arrivava nel fiordo con il suo panfilo e risaliva in carrozza l’incredibile serie di tornanti con una delle pendenze medie più alte di tutta Europa, con punte del 20%! Oggi la strada si fa solo nell’altro senso, in discesa verso Gudvangen e lo splendido Nærøyfjord, ed è aperta solo dal 1° maggio al 30 settembre.Sono fortunato ad avere scelto questa data alla fine, in aprile sarei dovuto passare, come gli abitanti della valle, dal più recente tunnel che sfocia in fondo alla discesa. Le immagini parlano da sole. Fortunatamente la giornata è stupenda, con un sole e un caldo incredibili per la stagione. A Gudvangen ci aspetta il battello, un negozietto di souvenir e un parcheggio. Qui inizia il viaggio via mare in due piccoli fiordi che si dipartono a forma di V rovesciata verso sud dal Sognefjord, il più grande e profondo (oltre 200 km. dalla costa) di tutta la Norvegia. Il primo tratto è il Nærøyfjord, il più stretto del paese, largo appena 250 metri nel punto più stretto e circondato da montagne che arrivano a 1.700 metri. Mare e sole a pelo d’acqua, verde sulle rive, roccia sopra il verde e neve sulla cima con tante cascate che non si possono nemmeno contare: questo è lo spettacolo. Da restare a bocca aperta. I turisti danno da mangiare ai gabbiani che si gettano in picchiata per afferrare al volo pezzi di pane dalle mani della gente, splendidi soggetti fotografici. La cosa che più colpisce sono i piccoli agglomerati di fattorie lungo le rive, praticamente inaccessibili se non per via d’acqua o con impervi sentieri a piedi (magari avessi il tempo di fare qualche itinerario di trekking). Nomi come Bakka, Styvi, Dyrdal, posti che sembrano fuori dal mondo, ma un tempo non era così. Il traffico lungo la principale direttrice della Norvegia passava di qua, la posta per andare da Oslo a Bergen veniva portata a cavallo fino al porto di Laerdal (più su lungo il Sognefjord), arrivava via nave all’ufficio postale di Styvi (aperto dal 1660 fino al 1990), dove veniva inoltrata a dorso di mulo sui sentieri che costeggiano il fiordo fino a Gudvangen, da dove proseguiva per Voss e Bergen. Questo percorso fu seguito per duecento anni, finché dopo la metà dell’800 non furono introdotti i battelli a vapore. Dyrdal fino agli anni ’30 aveva una chiesa e una scuola: oggi le case sono abitate solo in estate e le fattorie non sono più produttive. Quelle di Bakka invece continuano ad allevare capre e a produrre il famoso formaggio. Questo fiordo è noto per essere frequentato dalle foche, e infatti a un certo punto il comandante del battello rallenta e ce le indica. Sono lì sulle rocce, spaparanzate al sole, non lontano dalla cascata più alta di tutto il fiordo. Placide, poco infastidite dal battello, una presenza per loro consueta e tutto sommato non troppo invadente. Viva la foca, anche se la battuta è scontata… Giriamo la punta estrema che separa Nærøyfjord e Aurlandsfjord, qui il fiordo principale è così largo che a malapena si vede l’altra sponda, sembra di essere in mare aperto. Ma subito ci infiliamo nell’altro braccio della V, meno pittoresco ma anche questo caratteristico a suo modo. A cominciare dalla due fattorie a Stigen, che in norvegese significa “scale”. Questo perchè si affacciano su un precipizio di 300 metri sopra il pelo dell’acqua e si possono raggiungere solo superando alcuni punti per mezzo di scale di legno. La storia narra che gli abitanti di queste fattorie erano soliti ritirare le scale quando vedevano arrivare le imbarcazioni degli esattori delle tasse ecclesiastiche, ed evitavano di pagare con questo sistema. Undredal, poco più giù, è il centro della produzione di formaggio di capra. Ha circa 100 abitanti e la strada che ora lo raggiunge passando da Flåm è stata aperta solo nel 1989: prima era impossibile vedere automobili in questo paesino e la barca era indispensabile agli abitanti per spostarsi. Aurland, sull’altra sponda, è l’unico centro abitato degno di questo nome di tutta la zona, con i suoi circa 1.000 abitanti. Il fiordo finisce a Flåm. Il porto è quasi tutto zona turistica, con campeggio, hotel, ristoranti e pub, il paese è poco più su lungo la valle.Mentre l’orda (fortunatamente non troppo numerosa) di turisti si precipita in cerca di cibo e bevande, io con calma vado a visitare il museo dedicato all’attrazione principale di questo posto, la famosa Flåmsbana, la ferrovia che risale la vallata fino a collegarsi alla linea Bergen-Oslo. Il museo è piccolo ma bene organizzato e racconta la straordinaria storia della costruzione di questa incredibile opera di ingegneria. Quasi un migliaio di uomini lavorarono alla realizzazione di una delle ferrovie a scartamento normale più ripide del mondo, che sale da 0 a quasi 1.000 metri di quota in 20 chilometri. La strada costruita per trasportare i materiali necessari ora è un bellissimo percorso sterrato che sale a zig zag nel punto più ripido della valle, l’ideale per una lunga passeggiata o una pedalata per chi ha gambe buone. C’è in mostra anche una delle motrici storiche, insieme a attrezzi dei minatori, vestiario, altri reperti di quell’epoca eroica. Azzanno un panino al salmone senza infamia e senza lode e sono pronto per salire sul famoso trenino, praticamente tutto il percorso si fa in piedi correndo da un finestrino all’altro per scattare foto, tanti sono gli scorci meravigliosi che si aprono da una curva all’altra: dal punto più profondo della valle in basso (talmente riparato che è l’unico posto in Norvegia dove si coltivano alberi da frutta) all’edificio diroccato che ospitò la centrale idroelettrica che alimentava la linea, in uso fino agli anni 50, ai tunnel e alle cascate, anche qui numerose. In corrispondenza della più grande e famosa è stata costruita una piattaforma di legno e il treno si ferma per far scendere chi vuole fotografare: un po’ troppo turistico, ma lo spettacolo è mozzafiato. La linea finisce alla stazioncina di Myrdal, dove aspetto il treno Oslo-Bergen al sole, in maniche di camicia e con la neve sul terreno. Il treno è quello delle linee a lunga percorrenza ed è comodissimo, poltrone reclinabili col poggiapiedi e all’ingresso del vagone una splendida morettona, occhi verdi, che viaggia con due dalmata ENORMI accucciati sul pavimento, protetto peraltro da un grande telone che la ragazza si è portata appresso (la civiltà dei norvegesi si misura anche da questo). Il tour nel complesso merita assai, anche se la formula è un po’ troppo turistica, sarebbe bello fare lo stesso giro con più calma e magari con un mezzo proprio, dormendo a Flåm o a Gudvangen, ma se si ha poco tempo a disposizione consente di vedere bene tutto, soprattutto il Nærøyfjord è imperdibile. Prima delle sei sono di ritorno a Bergen, è ancora presto così dopo una sosta in ostello vado a fare una passeggiata dalle parti del Bryggen, la vecchia zona dei moli dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità, con i suoi magazzini interamente di legno. Per cena decido di farmi salassare ma voglio provare la cucina tipica norvegese e mi va bene. Il ristorante Holberg, dedicato al famoso commediografo norvegese, ha piatti tipici, arredamento antico e cibo ottimo. Mi alleggeriscono di 35 euri per un piatto di aringhe e una birra, ma la porzione è abbondante, il cestino del pane non micragnoso, il burro ottimo e abbondante e le aringhe sono DI-VI-NE. Le migliori che abbia mai mangiato, meglio di quelle di Amburgo, della Finlandia e dell’Estonia. Sazio, me ne vado a fare un ultimo giretto prima che faccia buio. La nightlife anche oggi non sembra granché, i locali, mezzo vuoti, si concentrano principalmente intorno alla zona del porto turistico e del Bryggen. Ma mi sono alzato alle sette e sono stanco, per cui decido di coricarmi come Cenerentola, per mezzanotte.
Anche oggi mi alzo presto anche se non all’alba; oggi voglio vedere la città, e come prima cosa ho in programma un’escursione sul monte Floyen, che sovrasta il centro, e sulla cui cima c’è un parco raggiungibile o con una serie di viali che si arrampicano a tornanti lungo le pendici, o con una funicolare. Scelgo la funicolare per salire , è molto caratteristica. Insieme a me altri fruitori del parco mattutini, joggers, mamme con bambini, e i camerieri del bar/ristorante che sta sulla cima (li ritroverò all’ora di pranzo). Il panorama dal belvedere sulla cima è spettacolare, non sono ancora le nove del mattino e le nuvole basse avvolgono la città in un bozzolo protettivo, limitando la visibilità a un paio di chilometri. Il parco è molto bello, con una fitta rete di sentieri ampi e ben segnati, laghetti sparsi qua e là e molte aree attrezzate a picnic, con tavoli, sedie, barbecue completi di griglia e tettoie per ripararsi dalla pioggia. In estate qui si passeggia e d’inverno si fa sci di fondo, anche di notte (i sentieri principali sono illuminati). Un gran bel posto. Avevo l’intenzione di fare un giro breve, ma fra una deviazione e l’altra alla fine torno sul belvedere dopo avere fatto quasi cinque chilometri. La giornata è ancora una volta stupenda, le nuvole si sono alzate e con il sole alto nel cielo la vista è se possibile ancora più mozzafiato. Ovviamente c’è anche molta più gente, ma è piacevole stare seduti al sole sui gradini. Tiro mezzogiorno per mangiare al bar prima di scendere in centro, nel menù ci sono i gamberoni reali che mi tentano. Purtroppo quando vado a chiedere, mi dicono che oggi non ce li hanno… mi propongono il piatto di cozze in sostituzione, non sono entusiasta ma vabbè, proviamo. Non mi portano però un piatto, ma uno di quei bowl da insalata, pieno! Tra gusci e tutto ci sarà quasi un chilo di roba… Non sono malaccio e alla fine faccio fuori quasi tutto. Mi avvio alla passeggiata digestiva, i sentieri che scendono nella parte alta del bosco poi si ricollegano alle strade cittadine più elevate. Zigzago un po’ per sbucare dalla parte della chiesa romanica dedicata a Maria, la costruzione più antica di Bergen, che purtroppo è chiusa per restauri fino al 2012. La guardo solo dall’esterno tra i ponteggi, poi procedo verso il museo del Bryggen. La storia delle città anseatiche mi ha sempre affascinato (uno dei miei pallini è fare un giro toccando le principali città della Lega sul Baltico, da Bergen a Tallinn passando per Gronigen, Brema, Amburgo, Rostock, Danzica…) e il museo da questo punto di vista non mi delude, racconta bene l’evoluzione del quartiere dei mercanti tedeschi che va di pari passo con la nascita della città stessa, dal 1100-1200 circa attraverso i vari ampliamenti, e quella che era la vita delle corporazioni commerciali nel Baltico del tardo medioevo e del primo rinascimento. Dopo vado a fare un po’ di foto del Bryggen attuale e me lo giro per bene. Le costruzioni più antiche oggi esistenti sono quelle ricostruite dopo l’incendio del 1702; la parte a sinistra guardando il quartiere di fronte è andata purtroppo distrutta in un altro incendio nel 1955 e le case in quell’area sono ricostruzioni. La differenza, a guardare con attenzione, è evidente, malgrado la verniciatura sia simile. Volevo fare un salto ai musei d’arte, dove ci sono alcuni quadri di Munch e altri grandi pittori, ma chiudono alle 5 e sono ormai le 4 passate. Non vale la pena, per cui passo invece a vedere il mercato del pesce, che si tiene ogni giorno nello spiazzo davanti alla darsena interna, dove è in vendita praticamente ogni esemplare ittico immaginabile. Purtroppo non posso portarmi a casa i gamberoni o le ostriche, ma rimpiango di non avere provato la salsiccia d’alce! C’è anche presso un bar un raduno di harleyisti e di convertibili americane anni ’50, pittoresco. Entro anche al centro di informazioni turistiche, più che altro per vedere gli affreschi, opera di un pittore norvegese dei primi del ‘900. Raffigurano le arti, le scienze, il commercio e altro ancora: alcuni sono veramente belli. Torno in ostello a rinfrescarmi, faccio due chiacchere con un gruppo di inglesi che sono arrivati oggi (a proposito, devo smentire il luogo comune che vuole che gli ostelli siano buoni posti per fare amicizie femminili: sarà una peculiarità locale, ma pare che la clientela qui sia quasi assolutamente maschile!), poi esco nuovamente per andare a vedere la Johanneskirchen, sulla collina dall’altra parte del centro. I parchi pullulano di ragazzi e ragazze che approfittano del sole e del caldo, che da queste parti dev’essere raro, per spaparanzarsi sull’erba in costume da bagno. Gironzolo scattando foto fino all’ora di cena. Solo che le cozze non sono molto d’accordo sul fatto di voler essere digerite, così mi tengo leggero per lo stomaco e per il portafogli e mi accontento di un panino e di una coca digestiva. Stasera sembra che la nightlife prometta meglio, è venerdì e molti pub hanno programmi con gente che suona. In giro ci sono molti più giovani, probabilmente studenti. Sto per proporre a Stefan, il tedesco, e al suo amico di uscire insieme a berci qualcosa quando da un accenno della conversazione capisco che è gay… hmmm, non credo ci piaceranno lo stesso tipo di locali. Comunque per discrezione li lascio soli. Faccio un salto allo Sjoboden, nel Bryggen (i pub si concentrano più o meno intorno a questa zona e alle spalle della Ole Bulls Plass), sento un gruppo non eccezionale, poi mi prende il sonno… inizio a pensare che domani devo alzarmi molto presto (ho il treno per Oslo prima delle sette) e non ho molta voglia di girare per trovare un posto più soddisfacente… sono vecchio, c’è poco da fare. Ne prendo atto con dignità e finita la mia birra me ne vado a nanna prima dell’una.
MORAN
( utente del forum viaggiatorindipendenti.it )
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