Elezioni in Bosnia. Ottobre 2014

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Dopo centinaia di chilometri di normalità autostradale, guadiamo il fiume Sava, lo stesso che poi più a sud nella città di Belgrado si butta nel Danubio, ed un cartello ci saluta dandoci il benvenuto nella Repubblica Serba di Bosnia.
La Bosnia, lo stato costituito dalla Federazione di Bosnia ed Herzegovina e dalla Repubblica Serba di Bosnia, appunto, oltre che dal piccolo distretto speciale di Brcko.
Uno stato i cui confini interni tra le varie entità che lo formano sono stati sanciti a tavolino in seguito agli Accordi di Dayton, in USA.
Uno stato, la Bosnia – Herzegovina, che vede mescolare al suo interno 3 differenti etnie maggioritarie: i bosgnacchi, i serbi ed i croati (oltre alcune altre minoranze).
Uno stato, dal complesso sistema politico in quanto prevede 3 presidenti (uno per etnia) eletti ogni 2 anni esclusivamente dai loro rispettivi gruppi etnici ,controllati dal parlamento e che si scambiano la carica ogni 8 mesi.
Senza parlare, poi, delle istituzioni che a cascata compongono i governi delle due entità serba e bosniaca, dei cantoni bosniaci, dei vari comuni.
Gli echi non ancora sopiti della guerra, le braci ancora accese dell’ odio razziale, il complesso sistema politico vigente, il convivere fianco a fianco di diverse etnie rendono la situazione sociale molto difficile e fanno da sfondo alla nostra missione di osservazione elettorale, motivo del nostro viaggio.
Scendiamo verso la capitale Sarajevo attraversando la provincia bosniaca caratterizzata dalla presenza costante del fiume Bosna, lo stesso da cui prende il nome lo stato, che caratterizza il paesaggio e regala esaltanti visioni della campagna circostante. Sarajevo non è cambiata poi molto dalla mia prima visita datata oramai qualche anno fa.
Durante il mio soggiorno constàto, con un pizzico di piacere, che non ha subito i cambiamenti ed in alcuni casi i veri e propri stravolgimenti di altre città europee quali Varsavia, Cracovia, Riga, Minsk.
Di davvero nuovo c’è la riapertura della famosa Biblioteca, assunta a simbolo culturale degli orrori della guerra e finalmente riconsegnata al pubblico dopo circa 20 anni di abbandono. Non sarà più, ovviamente, il luogo che era fino ai primi anni ’90 ma è un piacere poterla visitare ed immaginarsi gli sfarzi di un tempo.
La capitale bosniaca emana un particolare fascino col suo misto di moderno ed antico sublimato nel vecchio quartiere ottomano di Bashcarshia che tanto ricorda alcune zone di Istanbul. Senza dimenticare la visuale romantica che viene concessa una volta inerpicatisi sulle colline che contornano la città.
Colline dalle quali, durante la guerra, partivano gli attacchi dell’ esercito serbo con lo scopo di conquistare la capitale che, nonostante 4 lunghi anni d’ assedio, riuscì a difendersi senza mai capitolare. Uno dei mezzi che aiutò la città a continuare a vivere, seppur sotto i bombardamenti avversari, fu un tunnel di circa 800 metri costruito nella sua periferia e che, bypassando l’ aeroporto in mano alle forze ONU, sfociava nel territorio bosniaco libero dall’ assedio.
Sarajevo oggi, come durante la mia prima visita di qualche anno fa, si mostra come una città viva, attiva, piena di vita, quasi a dar l’ idea di voler chiudere completamente con il passato tragico. Ma il passato, per molti aspetti, cova ancora sotto la brace.
Te ne accorgi parlando con la gente soprattutto in questi giorni di clima elettorale.
64 partiti e decine di candidati non aiutano la distensione e non facilitano la situazione.
Soprattutto i giovani sono quelli delusi. Ed è sintomatico come proprio i giovani sono quelli che poi, la domenica delle elezioni, si recheranno in numero minore alle urne.
Sono stanchi della corruzione dei politici e soprattutto non comprendono il perché del loro complicato sistema politico.
Un sistema politico che serve, a detta di tutti quelli con cui intavolo delle discussioni su argomenti storico-politici, solo a far sì che un numero molto alto di persone possa ricoprire una carica, sedersi su di una poltrona e trovare il lavoro della vita vivendo sulle spalle del resto della popolazione. Popolazione che è divisa in 4 categorie in cui ognuno è chiamato a registrarsi per poter votare, avere un passaporto, ottenere dei documenti, essere cittadino. In Bosnia devi dichiarare a quale etnia appartieni bosniaca, serba, croata oppure sei ghettizzato nella 4° e più temuta categoria denominata cinicamente “altri”.
Se, ad esempio, sei nato in Bosnia ma hai un padre croato ed una madre serba o la tua famiglia è comunque mista senza che davvero una etnia sia predominante sull’ altra sei semplicemente racchiuso nelle categoria etnica “altri” e sei una sorta di apolide a casa tua.
Forse questa è la più grande stranezza di carattere sociale di questo paese.
Gli “altri”, e ce ne sono tanti, soffrono questa condizione anche per le varie difficoltà che incontrano nella vita di ogni giorno.
Parlando con i moderni ragazzi bosniaci di Sarajevo si evince che vogliono affrancarsi dalla tragica situazione della ancora recente guerra ed andare avanti ma, nonostante le pacate e lucide riflessioni sulla situazione sociale e politica, avverti ogni tanto qualche punta di critica verso l’ etnia serba. Anche in maniera inconsapevole ma ogni tanto il “campanilismo”, chiamiamolo così, spunta fuori.
E mi fa pensare, in termini di ricerca della pace e di oramai reciproca convivenza sotto un unico stato, quello della Bosnia appunto, la targa apposta all’ ingresso della storica Biblioteca che ricorda l’ incendio e la distruzione della stessa durante l’ assedio da parte dei serbi. Un segnale a futura memoria degli orrori che gli ex fratelli serbi ed ora coinquilini compirono. Personalmente l’ ho trovato un controsenso: ricordare si, nascondere la verità no ma il dover ”reclamizzare” in maniera ufficiale la colpa da parte dei serbi è un segnale che il processo di pace completo è ancora lontano.
I giovani di Sarajevo mi fanno notare un’ altra delle tante assurdità che penetrano il loro popolo, la lingua. La lingua, ufficialmente nel mondo chiamata “serbo-croata”, qui è invece “bosniaca”. E guai a fare qualche gaffe appellandola col nome ufficialmente conosciuta a livello internazionale, serbo-croata quindi, altrimenti rischi di offendere l’ uditore locale. Lo stesso interlocutore che poco prima ti ha fatto notare che la sua lingua ha 3 nomi diversi ma è sempre la stessa. Sui pacchetti delle sigarette, su vari documenti ufficiali, dovunque ogni cosa è scritta e ripetuta in 3 lingue. 3 frasi uguali, di cui una in caratteri cirillici, con le stesse parole per non offendere la suscettibilità di nessuno.
Alcuni ragazzi credono di darmi la motivazione di tutte queste contraddizioni, di questa tensione sociale, di questo ingarbugliato sistema politico dando la colpa agli Accordi di Dayton. A Dayton, secondo loro, non ci sono stati vincitori e vinti ma è stata data la parvenza, studiata a tavolino, che ognuna delle 3 entità presenti abbia vinto. E con questa “legittimazione” ognuno fa la voce grossa, pretende, ritiene di dover avere più diritto rispetto agli altri. I miei compagni di discussione affermano che, paradossalmente,forse sarebbe stato meglio decretare un vincitore, cosa che avrebbe favorito l’ uscita da una certa empasse che la presunta parità invece non consente.
Cerco di informarmi anche sui presunti estremisti musulmani che farebbero proselitismo per andare a combattere in Medio Oriente tra le fila dei cosiddetti jidahisti e di cui si parla tanto in Italia. Nessuno ne sa niente e di contro, per strada, in centro, nella zona più musulmana, come nella periferia in cui mi immergo soprattutto il giorno delle elezioni, elementi a supporto di questa pista non ne incontro. Questi presunti reclutatori con i loro campi di addestramento necessiterebbero comunque una indagine a parte magari andando a scandagliare la campagna piuttosto che la capitale.
Qualche ragazzo ha da ridire anche sulla bandiera, finta a dir suo, poiché disegnata ed imposta da qualcuno estraneo e l’ unica cosa a cui richiama tramite i suoi colori, il blu ed il giallo, è l’ Unione Europea.
Unione Europea che è presente in Bosnia in vari modi ed in varie emanazioni molte delle quali legate alla ricostruzione post bellica.
Ma non c’è solo l’ UE presente ovviamente.
Come da tradizione che si rispetti anche altri soggetti, esterni e di dubbi obbiettivi, si trovano sul campo. Lo noto grazie alla mia forte propensione alla ricerca del dettaglio sviluppata soprattutto durante il mio ultimo viaggio a Kiev. Ogni particolare, ogni scritta, ogni movimento a me sospetto viene messo agli atti delle mie “indagini personali”. Registro quasi subito un elemento, apparentemente inutile e di non facile visione in un primo momento, ma che non sfugge a chi è avvezzo a certe tematiche. I cartelloni esplicativi dei principali luoghi d’ interesse culturale e storico disseminati in città, riportano il marchio dell’ organizzazione governativa statunitense USAID – US Agency for International Development.
A Kiev come a Sarajevo la sua presenza è forte. Anche se l’ agenzia stessa non lo nasconde, segnalando sul proprio sito internet la sua missione in Bosnia. Il particolare che mi colpisce, però, e che viene fuori dopo aver esaminato numerosi di questi cartelloni esplicativi, è quello che il marchio USAID fa mostra di se esclusivamente nei luoghi prettamente religiosi quali moschee, chiese e sinagoghe. Non ha un significato preciso o forse si ma è particolare notare come l’ USAID sia intervenuto solo “a favore” delle religioni.
In Bosnia sono comunque presenti decine di organizzazioni ed associazioni governative e non che operano in differenti parti del paese.
Come da antica tradizione per un paese in guerra o uscitone da poco ma comunque con una situazione sociale e politica ancora labile.
I miei sospetti ed in molti casi certezze sulla natura di questi soggetti incontrano un alleato nel padre di un mio contatto che lavora per una di queste organizzazioni: “Secondo mio padre tutte queste ONG o agenzie straniere sono basi di servizi segreti. E lui quindi mi ripete sempre, tu per quale servizio segreto lavori?”
E veniamo al giorno delle elezioni.
La mia missione è suddivisa in 8 team, io farò coppia con una ragazza olandese. Ci troviamo subito d’ accordo su quale zona cittadina andare a svolgere il nostro operato: la periferia.
Per un amante delle zone periferiche come me l’ esaltazione di poterla scandagliare da un punto di vista per certi versi privilegiato è tanta.
Il nostro piano è quello di monitorare la zona limitrofa all’ aeroporto (ed al famoso tunnel) e poi convergere verso il centro per concludere lì le nostre osservazioni. Dobrinja e Grbavica saranno i quartieri che, con la scusa di girare tra i vari seggi, scandaglieremo alla ricerca della “volgarità” e di particolari interessanti.
Risparmio tutte le componenti più tecniche dell’ intera missione comprendenti briefing, incontri in Parlamento, dettagli operativi, elementi elettorali-politici e mi limito a qualche considerazione.
Alla luce comparativa anche della mia precedente esperienza in Ukraijna sempre in ambito elettorale. Come già segnalato l’ affluenza alle urne è costituita molto più da persone anziane che da giovani veri e propri. Giovani invece presenti in alto numero tra le fila degli osservatori dei vari partiti in corsa. Qualcuno di loro ci confessa che per 25 / 50 euro vale la pena sobbarcarsi una lunga giornata elettorale.
La zona di Dobrinja è molto più presente ai seggi rispetto al centro città. Questa è, d’ altronde, una zona altamente popolata e dove l’ architettura austro-ungarica e ottomana del centro lascia spazio ad una architettura di stampo socialista e comune ai vari paesi che frequentavano, anche solo temporaneamente come nel caso della Jugoslavija, il Patto di Varsavia.
E’ la zona, anche, dove sono ancora presenti i segni della guerra in maniera più evidente. Enormi squarci sui palazzi e migliaia di buchi di proiettili sono visibili. Le trivellazioni dei colpi d’ artiglieria rendono le costruzioni enormi groviere. Ed in mente ti vengono le scene dei documentari d’ epoca e le numerose domande su come doveva svolgersi la vita durante quei tragici anni della guerra.
Nonostante la fila fuori dei vari seggi tutto però procede con calma e senza confusione o isterismi. Molto è ordinato come anche i posti riservati per gli osservatori che possono svolgere il loro compito in completa serenità. Come sono lontane le elezioni che osservai a Kiev lo scorso maggio. Qui a Sarajevo mi rendo ancora di più conto di come quelle tanto decantate elezioni ucràine, sotto il fattore procedurale, si siano svolte davvero ad un livello basso.
Qui nella periferia della capitale bosniaca come nel resto della città, le operazioni di voto si svolgono per lo più in maniera legata al Protocollo.
Il banchetto da buffet di Kiev dove tutti si accalcavano, l’ esprimere il proprio voto in fila, il votare più persone insieme non trova riscontro.
Ovvio che qualche scostamento dal regolare svolgimento delle votazioni lo si avverte anche qui ma è davvero poca cosa se comparato alla mia precedente esperienza. Le urne sono di lamiera e non trasparenti; le cabine sono chiuse da alti cartoni e non da tendine semitrasparenti e svolazzanti; in rarissime occasioni si vota in 2 insieme; ai seggi si entra al massimo un paio alla volta; la fila viene rispettata.
I problemi, per lo più, sorgeranno poi in fase di conteggio. Anche nel seggio da noi prescelto, come in altri osservati dagli altri componenti della nostra missione, al momento della conta dei voti le incongruenze e gli errori procedurali non mancheranno ed a volte saranno dipanati direttamente dagli ispettori della Commissione Centrale Elettorale piombati tempestivamente sul posto.
Molti elettori trovano difficoltà a votare per via dei differenti sistemi di voto per eleggere il Presidente, il Parlamento, il Parlamento federale, il Cantone. Ed anche le commissioni avranno difficoltà a comprendere bene il loro lavoro. In tutti c’è però l’ ansia di fare bene ed in molti casi i componenti stessi ci esprimono la loro apprensione affinchè tutto ci risulti chiaro e regolare.
Una stranezza in cui incappiamo è il presidente di un seggio che sembra non saper leggere il cirillico o non lo voglia leggere appositamente in segno di “campanilismo”.
Tra le fila di una commissione elettorale di un seggio ci imbattiamo in un mio personale contatto locale che ci ragguaglia un po’ sulla situazione generale raccontandoci, dal suo punto di vista, come molti candidati e molti partiti partono da una condizione economica differente che dovrebbe poi favorire i più ricchi. I candidati meno influenti non sono supportati economicamente da nessuno e si sono accollati l’ intero peso della campagna elettorale sulle loro tasche arrivando a spendere circa 1000 / 1500 euro che qui in Bosnia è una cifra non di pochissimo conto. Addirittura ci segnala come i partiti più forti abbiano inviato diversi generi di conforto, cibo soprattutto, agli anziani delle comunità delle montagne che sovrastano Sarajevo accompagnandoli a materiale elettorale propagandistico, attuando così una sorta di compravendita del voto verso gente ignorante, anziana e sprovveduta.
La Bosnia, un paese tanto affascinante per storia, popolo, tradizioni, cibo e natura quanto complicato dal punto di vista sociale e politico ed ancora lontano dall’ aver imboccato la strada giusta verso la normalità.

LUCA PINGITORE

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