Tre mesi nella Siberia estrema 2015

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Il progetto “acque siberiane” è stato da me ideato nel 2011 con lo scopo di esplorare quelle regioni della Siberia che altrimenti sarebbero ignorate, dimenticate o semplicemente cancellate dalle rotte di ogni viaggio nella Terra Addormentata. Il 90% almeno dei viaggi in Siberia si attesta, infatti, sulla fascia meridionale di territorio che va dagli Urali centro-meridionali al Pacifico, passando per il lago Bajkal. Qualche eccezione viene fatta dagli amanti del viaggio “sulla strada”: motociclisti e motoristi in genere, velocipedisti e autostoppisti che si spingono, attraverso la Yakutia, fino a Magadan, seguendo l’unica via di comunicazione che collega Mosca e la Siberia con il mare di Okhotsk. Questa pista, denominata “strada delle ossa” per le sue origini legate al gulag e alla morte dei detenuti, è completamente rinnovata ed ha ormai perso quasi del tutto la sua mitica atmosfera, divenendo percorribile tutto l’anno anche con veicoli alla portata di tutti. Detto questo, resta grandemente esclusa dalle rotte del turismo, sotto ogni sua forma, tutta la parte della Siberia e dell’estremo oriente russo collocata tra la linea della Transiberiana e il Mar Glaciale Artico. Perché? La risposta è abbastanza semplice: si tratta dei territori più spopolati, privi di ferrovie, strade, grandi città, collegamenti e riferimenti in guide e resoconti di viaggiatori. Inoltre sono le terre che si spingono sempre più a nord, sempre più lontane dal sole meridionale e sempre più vicine alla tundra gelata. Il modo migliore per scoprirle è viaggiare via fiume, seguendo le arterie vitali della Siberia nascosta: i fiumi che nascono dalle montagne delle regioni centro-meridionali e corrono verso il Polo nord. Ob, Yenisej, Lena è troppo facile elencarli e fanno parte o hanno già fatto parte dei miei viaggi. Ci sono anche altri interessantissimi percorsi legati all’acqua, che si rivelano altrettante porte alla conoscenza di luoghi isolati.
Nel 2015 sono stato tre mesi in Siberia e, tra le varie tappe di questo lungo viaggio, c’è stata anche quella legata appunto al progetto “acque siberiane”, che si è concretizzata nella discesa del fiume Indigirka in Yakutia. Si tratta di un importante corso d’acqua di 1800 km circa che nasce dalle montagne più fredde dell’emisfero nord, dove è situato anche il polo del freddo di Ojmyakon e sfocia nel Mar Glaciale Artico, ad est della Lena. Ho portato avanti una lunga preparazione, circa due anni, per poter affrontare nel migliore dei modi una spedizione tanto lunga quanto difficoltosa. Cartine, equipaggiamento, analisi di varia documentazione e informazioni ma l’ostacolo più duro è stata la ricerca dei compagni di viaggio: più persone, sia in Italia che in Russia, hanno prima accolto con entusiasmo il mio invito, per poi abbandonarmi, costringendomi a partire con degli sconosciuti incontrati all’ultimo momento.
Il fiume Indigirka (assieme a Yana e Kolyma) è uno dei tre grandi e misteriosi corsi d’acqua che solcano la parte orientale della Yakutia. Attrae per il suo spettacolare percorso tra i monti Cherskij, in cui si incunea con un canyon di cento km, stretto e pieno di rapide pericolose. Intelligenza, coraggio e forza sono, in questo ordine, le caratteristiche indispensabili per avventurarsi nella veloce corrente, in territori abitati solo dagli orsi e da qualche cercatore d’oro. Raggiungo Ust-Nera, la città dei minatori fondata con il gulag, dopo 10 giorni dalla partenza da Mosca. Sei giorni di treno, poi uno in pulmino fino a Yakutsk, mi riposo due giorni e riparto sempre in pulmino e dopo 33 ore sulla “strada delle ossa” sbarco a Ust-Nera alle ore 01.00 locali. Ci metto due ore e parecchie telefonate per trovare un posto dove alloggiare. Ovviamente parlando bene in russo. Attendo alcuni giorni i miei compagni di viaggio, partiti dopo di me dalla capitale russa. Finalmente partiamo, dando concretezza a decine e decine di ore di preparativi su carte, mappe, siti internet, libri e resoconti di viaggio. La corrente è molto veloce. Nei primi 45 minuti percorriamo 6 km senza remare. Non abbiamo un motore, non serve per percorrere i 350 km da qui a Khonuu. Ci sono tratti in cui il fiume viaggia a 20/25 km/h. Solchiamo delle acque spettacolarmente inserite in un contesto montuoso disabitato e silenzioso. Foresta, sole praticamente ininterrotto (siamo nel periodo del giorno polare), pietre scolpite dall’erosione sulle cime dei monti, rive deserte, nessuna presenza umana. Gli orsi sono una presenza costante, per quanto impalpabile concretamente. I primi tre giorni scorrono veloci e sarebbero anche tranquilli, ma non riusciamo a rilassarci, il nostro pensiero è fisso al momento cruciale della spedizione: la gola di circa 100 km piena di rapide pericolose, con onde alte “fino a tre metri” in base alla portata del fiume del momento. Il quarto giorno entriamo nel lungo e tenebroso canyon. Siamo tesi, concentrati, carichi e pronti a tutto…ma non basta. C’è solo un modo per capire ciò che attende quelli che si avventurano fin qui: provarlo direttamente. Dopo le prime 5-6 rapide ci fermiamo e raccogliamo i cocci. L’Indigirka ci ha letteralmente preso a schiaffi, nonostante la nostra preparazione, i nostri accorgimenti e le nostre preghiere. In una rapida vedo l’immagine del volto di mia figlia riflessa in un’onda gigantesca frontale, nel momento in cui si infrange su di noi insieme a due onde laterali di uguale portata. Con una sorta di terzo occhio vedo Igor, circa cinquanta metri davanti a me, che annaspa tra le onde abbracciato alla canoa ribaltata. Alcune nostre cose sono strappate dalle imbarcazioni e volano via con la corrente. Remiamo forsennatamente, ma non inutilmente: assieme ad Anya, che viaggia con me sul catamarano, riusciamo a mantenere la “barca” dritta. Prendere le onde, per quanto enormi, frontalmente, ci garantisce di rimanere ai nostri posti e impedisce il ribaltamento, pericolosissimo, dell’imbarcazione. In totale balia della corrente potremmo invece finire sulle pareti di rocce laterali. Degli orsi finalmente si fanno vivi e, da un costone sopraelevato, ci osservano, mentre bagnati e scossi, accendiamo un fuoco tanto improvvisato quanto immenso su una minuscola riva della lunga forra da percorrere. Possiamo contare solo sulle nostre forze: non abbiamo un telefono satellitare e siamo completamente isolati da ogni villaggio o paese. Lottiamo per quattro giorni in queste acque.
All’ottavo giorno di navigazione raggiungiamo Khonuu, dove ci aspetta il direttore del Parco Naturale Momskij e altri nuovi amici. La nostra esplorazione fluviale continua, stavolta controcorrente lungo il fiume Moma, affluente di destra dell’ Indigirka. Scorre nel territorio dell’omonimo Parco, luogo quasi del tutto disabitato e puro. A metà del suo corso è avvolto dall’abbraccio gelido del naled (nevaio perenne) più grande del mondo: 200 kmq e 30 km di lunghezza: ghiaccio, silenzio, vento e un cielo superbo. Prima che il riscaldamento globale lo faccia sparire, questo è uno dei luoghi della Siberia da vedere. Si tratta di un magnifico esempio di ghiaccio silenzioso esteso a perdita d’occhio nell’abbraccio del fiume. Per arrivarci ci dotiamo di una barca a motore (siamo controcorrente) e siamo guidati da un guardiaparco, Sergej. Per tre giorni viaggiamo avanti e indietro sul Moma, fiume ancor più solitario dell’ Indigirka. Il naled ci abbaglia con i suoi riflessi accecanti, tra fiumiciattoli di acqua glaciale, ghiaccio spesso un paio di metri e piccole vallette ondulate all’interno della sua maestosa superficie. Il cielo merita una descrizione a parte, tanta è la sua mutevolezza e ricchezza cromatica. Il vento artico smuove centinaia di nuvole bianche, rosate, grigie, azzurre, blu e nere in un continuo alternarsi sulle nostre teste. Il sole infilza i suoi raggi tra di esse a seconda dei capricci del vento. Noi viviamo in un’atmosfera senza tempo, bevendo l’acqua del fiume e mangiandone i pesci, senza bisogno di nient’altro. Quando rientriamo in paese mi attendono ancora due mesi di viaggio attraverso tutta la Siberia. Al momento del decollo dell’aereo sgangherato, che ci riporta a Yakutsk, penso a quanti posti devo ancora vedere e quante persone ancora incontrare in questo viaggio e sorrido soddisfatto, mentre lancio un’ultima occhiata alla pista sterrata dell’aeroporto di Khonuu.

DANIELE CASTIGLIONI

P. S.:
Il progetto “acque siberiane” continua e probabilmente nel 2018 ci sarà un nuovo viaggio, già in fase organizzativa nei dettagli.
Chiunque fosse interessato può contattarci a
otra@viaggiatorindipendenti.it
l’unica cosa che serve è una ferrea volontà.

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