I battelli solcavano le onde del mar Nero concedendo vacanze privilegiate ai cittadini che provenivano dalle diverse repubbliche dell’ Unione e regalavano esperienze uniche ai pochi turisti stranieri che si permettevano un crociera a cavallo tra la Crimea e le coste dell’ Abkhazia.
Una regione, ai tempi, considerata luogo di villeggiatura d’ elite e degna così di esser disseminata di dacie appartenenti a vacanzieri di una certa importanza all’ interno del partito che si sollazzavano al mare o in montagna.
Come Stalin stesso che, ossessionato dall’ idea di complotti orditi alle sue spalle, si era fatto costruire la sua casa delle vacanze nelle adiacenze del lago Ritsa con tre camere da letto completamente uguali in modo da poter ingannare le stesse guardie del corpo sulla reale stanza da lui utilizzata per la notte.
Sono trascorsi molti anni da quando l’ Abkhazia era, insieme alla Crimea, la spiaggia dell’ Unione Sovietica. Molti sono stati gli avvenimenti trascorsi e la tragedia della guerra ha colpito duramente questo lembo di Caucaso che sta iniziando ad esser riscoperto dalle nuove generazioni e rifrequentato dalle vecchie. Le crisi internazionali che negli ultimi anni hanno intaccato la Russia hanno inevitabilmente fatto da volano per un ritorno in massa del turismo in Abkhazia. Come anche di una migrazione di cittadini russi oramai in pensione che vanno a godersi il lungo riposo dalle fatiche del lavoro di una vita, sollazzandosi al clima mite che soffia da queste parti durante tutto l’ anno. Ne incroceremo vari durante il nostro soggiorno, dalle provenienze più disparate: da Tyumen a San Pietroburgo a Kazan.
Il bus urbano partito da Sochi, in Russia, ci abbandona proprio davanti la frontiera con l’ Abkhazia. Tecnicamente siamo ancora ad Adler, solo un paio di chilometri dietro di noi si dipana il grande Parco Olimpico costruito per le Olimpiadi invernali e riconvertito a circuito di Formula 1, stadio dei Mondiali di calcio del 2018, “capitale dello sport in Russia”. Nella zona della frontiera lo scenario è più confusionario con traffico bloccato, negozi pieni di roba di ogni genere, volgarità diffusa.
Ci accingiamo a varcare la frontiera passando dal tipico prefiltraggio caratteristico di ogni frontiera russa.
Un normale ragazzo intento a scherzare con un baffuto e disinteressato poliziotto ci adocchia da lontano, stranieri in mezzo a decine di russi, e ci intima di fargli controllare i nostri passaporti, sparendo subito dopo con essi nell’ ufficio. Restiamo in compagnia del vecchio poliziotto che, ad occhio e seguendo suoi personalissimi canoni di bellezza, chiede i documenti a campione tra le numerose persone che si recano come noi in Abkhazia a piedi. Sono tutti dotati di passaporti russi o abkhazi, di conseguenza non c’ è motivo di trattenerne qualcuno. A differenza nostra che, uno per volta, veniamo convocati nell’ ufficio di guardia, fotosegnalati d fronte e di profilo come dei gangster americani, prese le impronte digitali dei palmi delle mani e di tutte e dieci le dita e registrato il nostro passaggio da parte dell’ ufficiale del FSB, servizio che gestisce la frontiera così come quella al confine dell’ Ossezia del Sud. Lì, la prima volta che provai a passare, me la cavai con un serrato interrogatorio, qui invece mi tocca l’ ebbrezza della fotosegnalazione e della consegna delle impronte digitali. E ci troviamo solo al punto di prefiltraggio della frontiera vera e propria…
L’ FSB è intento ad immortalarci in foto ricordo mentre i giovani poliziotti di stanza al punto di controllo non mancano di divertirsi alla vista di noi tre italiani, anzi europei come gli piace chiamarci, con domande varie sul più ed il meno, chiedendoci come sta Toto Cutugno ed informandosi su cosa ne pensiamo delle sanzioni verso la Russia e sul livello degli stipendi in Italia.
Una volta liberati ci mettiamo in coda della lunga fila di gente che vuole passare in Abkhazia. La maggior parte di essi sono turisti russi. Siamo già ai primi di settembre inoltrati ma la gente continua ad andare in vacanza. E questo anno in moltissimi hanno optato, oltre che per la Crimea, anche per l’ Abkhazia.
Ce ne renderemo maggiormente conto una volta giunti a Gagra, une delle mete più gettonate dell’ estate.
Un tuffo nel passato, un’ immersione nella semplicità, un salto alle origini che ti emoziona. E’ questa l’ Abkhazia. Uno stato compresso tra il mare e le montagne impervie del Caucaso. A conquistarti, oltre i luoghi, è la gente sempre disponibile e cordiale ma soprattutto esaltata nel vederti straniero ed italiano in viaggio dalle loro parti. Come il ragazzo che nella periferia di Gagra resta così contento di incontrarci che dopo varie frasi cariche di emozione aggiunge “io non so più cosa dire dalla contentezza e dalla sorpresa di vedervi”, o come la venditrice di Sukhum che capendoci stranieri ci regala un oggetto della sua bancarella in segno di felicità. “Come avete saputo dell’ Abkhazia?” “Perchè avete deciso di venire fino a qui?”, sono le domande più frequenti alle quali dobbiamo rispondere. Domande semplici ma che celano il grande orgoglio di essere abkhazi e di sapere che in “Europa” c’ è qualcuno che li conosce e li considera. Viene da anni di guerra e soprattutto di embargo questo popolo e giusto ora inizia a fuoriuscire lentamente da questa situazione.
Ora in Abkhazia, in estate soprattutto, si canta e si balla in ogni ristorante ed in ogni localino in stile Calabria anni ’80 ubicato sulla spiaggia. Ad ogni angolo, spiaggia compresa, mangalia grigliano shashliki a tutte le ore ed a tutte le ore sono serviti kachapuri caldi, kinkhali e la temibile mamaliga, la celebre polenta locale con pezzi di formaggio affumicato da accompagnare magari con gustosissime porzioni di fagioli e da far scender giù nello stomaco con ottimo vino locale. A fine pasto, poi, sono obbligatori alcuni bicchierini di chacha, qui più diffusa della vodka, che serve almeno a stasarti ben bene e ad esser pronto per il prossimo momento conviviale della giornata. E proprio per un pranzo a pomeriggio inoltrato veniamo ricevuti dal “pope” del monastero ortodosso di Kaman il quale, tra un kachapuri alla adjara, un bicchiere di turkhun e molti bicchierini di chacha, ci racconta delle sue antiche origini legate alla dinastia Abaza dell’ Egitto con ramificazioni ovunque e parentele influenti come la nonna del Re di Giordania ed un attuale ministro militare siriano.
Una terra d’ altri tempi l’ Abkhazia, che ti da la possibilità di effettuare un salto nel tempo riportandoti agli anni dell’ epoca sovietica infilandoti nei numerosi siti dell’ epoca abbandonati o distrutti in seguito alle bombe che cadevano dal mare. Come i celebri hotel “Abkhazia” su lungomare di Gagra e quello sul lungomare di Sukhum o come l’ elegante hotel sul fiume Gagripsh con colonne, marmi, intarsi, saloni delle feste, balconcini e terrazze che affacciano sul mar Nero e regalano una intensa vista sul “golfo di Gagra”.
Calpestare quei pavimenti, salire quelle scalinate, toccare quel che resta di un vecchio mosaico sovietico ti riporta indietro nel tempo e ti fanno vivere alcuni attimi di una vita della quale hai solo letto o sentito racconti.
Alla triste realtà di soli pochi anni fa ci riporta, invece, camminare nella zona del “ponte rosso” di Sukhum, la zona cittadina più colpita durante la guerra. L’ area ed il ponte stesso sono oramai rimessi a nuovo ma è facile scorgere su alcuni palazzi, e non solo in questa zona, i segni delle smitragliate, a noi già tanto tristemente familiari come quelle di Sarajevo in Bosnia o di Tskhinval in Ossezia del Sud, che danno l’ idea di quello che accaduto qui e di cosa possa essere una guerra. Una guerra, ci raccontano, avvenuta all’ improvviso con turisti e villeggianti in spiaggia, al mare, in vacanza. Una guerra che il popolo abkhazo non si aspettava, soprattutto non si aspettava azioni del genere da un altro popolo loro fratello e con il quale avevano convissuto fianco a fianco per molti anni. Ci raccontano come, proprio per questi motivi, raggiunsero l’ Abkhazia per combattere molti ceceni, ingusci, adighezi ma anche russi di San Pietroburgo e varie altre località della Russia. Professionisti o gente comune che abbandonarono tutto per scendere sulle coste del mar Nero a combattere senza essere pagati. Molti morirono in battaglia ma quelli che salvarono la vita ancora oggi sono legati all’ Abkhazia e tornano a visitarla. A dire della gente locale quello che più ha colpito l’ Abkhazia, però, non è stata tanto la guerra, seppur tragica ma “veloce”, quanto l’ embargo che ha dovuto subire dal 1993 al 2008. Questo ha stressato il popolo e lo ha ridotto stremato. Gli aiuti provenivano solo dalla Russia verso la quale c’ è un sentimento di riconoscenza anche se in giro per il paese non si notato tantissime scene di giubilo o bandiere o propaganda verso lo Federazione. La riconoscenza la gente la porta dentro. Come il sentimento avverso che alcuni di generazioni più adulte mostrano verso “l’ ubriacone Eltsin” o il “venduto Gorbaciov”. Opinioni nelle quali ci siamo già imbattuti varie altre volte a Mosca, a Tashkent, ad Almaty ed in molti altri posti delle ex Repubbliche Sovietiche.
Ora l’ Abkhazia sta iniziando a riprendersi, soprattutto grazie al turismo e ad una riapertura delle frontiere. Oltre che grazie ad un maggior servizio di infrastrutture. Come il treno estivo che raggiunge la capitale Sukhum tramite la storica ferrovia per anni in disuso ed attraverso la quale si può raggiungere Mosca, San Pietroburgo e poi da li tutte le altre destinazioni del territorio russo. Il transito ferroviario verso la Georgia è, invece, consentito solo ai treni merci.
Entro un anno, hanno promesso, aprirà anche una grande arteria di collegamento stradale che penetrerà attraverso le montagne del Caucaso sfondando poi in Circassia e raggiungendo l’ Ossezia del Nord fino a Vladikavkaz. Magari trattasi delle solite premesse elettorali ma il popolo, e noi viaggiatori con loro, ci speriamo.
Abkhazi, armeni, georgiani, vecchie generazioni di greci con interi quartieri da loro costruiti costituiscono l’ Abkhazia che non è solo Gagra e la capitale Sukhum. L’ Abkhazia è anche il monastero di Novi Afòn, con le sue decorazioni interne paragonabili per colori alla moschea Blu di Istanbul; le adiacenti grotte sotterranee, l’ attrazione naturalistica forse più clamorosa dell’ intero stato; il favoloso lago Ritsa incastonato tra le montagne ed attrazione principale dell’ omonimo parco nazionale comprendente al suo interno canyon, cascate,il fiume Bzipi ed altri piccoli laghi disseminati a queste altezze; è Tkvarcheli, distrutta dalla guerra ed abbandonata; è anche le spiagge di sassolini sul mare blu con le montagne impetuose alle spalle.
BONUS TRACK:
La vecchia ed elegante Jaguar nera sfreccia per le strade della metropoli. Il suo autista, un ebreo abkhazo di madre bulgara, sgasa sull’ accelleratore esaltato dalle note di alcuni successi cantati da Adriano Celentano.
Mosso a simpatia decido di costituirmi e denunciare al tassista il mio essere italiano. E’ un’ apoteosi. Il guidatore allunga appositamente il tragitto per potermi esprimere tutta la sua ammirazione verso l’ ‘ Italia, gli italiani, Celentano, Toto Cutugno e poter stonare a squarciagola le canzoni del “molleggiato” nel cuore della notte della Sochi post olimpica.
Mi trovo, dopo anni, nuovamente nell’ estremità meridionale della costa russa affacciata sul mar Nero. Ai tempi dovevano ancora svolgersi le Olimpiadi e a Sochi iniziavano a mettersi in atto le trasformazioni che la porteranno a divenire la “capitale dello sport in Russia”.
Il Parco Olimpico di Adler, il nuovissimo circuito di Formula 1, lo stadio che ospiterà la Confederation Cup ed i Mondiali di calcio e poi su in montagna il comprensorio di Krasnaya Polyana snaturato dalla costruzione degli eleganti e costosi villaggi di Gorki Gorod e Rosa Khutor sorti dal nulla, erano ancora in fase di posizionamento della prima pietra. Le canzoni di Celentano, però, echeggiavano comunque.
Il “re degli ignoranti” è da sempre il cantante straniero più conosciuto nelle repubbliche del ex Unione Sovietica: da Mosca al Kazakhstan, dall’ Ucraìna a Vladikavkaz, le canzoni di Celentano passano di continuo nelle radio e nelle voci delle popolazioni locali.
Anche su questa marshrutka che ci scarrozza, qui in Abkhazia, dalla zona vecchia di Gagra fino a quella nuova, la musica di Celentano è il leit motiv che continua ad accompagnarci durante tutto il viaggio, fin dal nostro sbarco sulla penisola di Crimea.
LUCA PINGITORE
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