Tra Abkhazia e Georgia

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Un branco di delfini sguazza spensierato nel mar Nero a pochi metri dalla riva costituita esclusivamente da blocchi di cemento frangiflutti nelle adiacenze del porto di Poti. Neanche dieci anni fa Poti ed il suo porto furono teatro di cruente operazioni belliche durante la guerra che vide contrapposta la piccola repubblica dell’ Abkhazia, coadiuvata in suo soccorso dalla Russia, contro la Georgia che non ne accettava, ancora dopo 18 anni, l ‘indipendenza. Dopo quei giorni di guerra, il confine tra i due stati si riattestò sull’ ubicazione originale poche decine di chilometri più a nord e sulla posizione naturale costituita dal fiume Ingur, anzi per la precisione, sulla zona costiera la foce del fiume ricade interamente nella repubblica georgiana. E proprio in quelle poche centinaia di metri che partono dalla riva nord dell’ Ingur ed arrivano al confine abkhazo, nella località di Anaklia, hanno pensato di organizzare ogni estate uno dei più conosciuti festival di musica elettronica. Un’ area verde ricavata dal nulla, bella, pulita, ordinata su un lungomare moderno al quale si accede tramite un futuristico ponte in legno e plexiglass che sovrasta la foce del fiume. Il GEM Festival nasce sulle ceneri del più famoso Kazantip, festival che ogni estate si teneva nella zona di Evpatoria in Crimea. Quando la Crimea passò alla Russia, il festival, organizzato da ucràini, fu annullato e spostato nella “sorella” Georgia ma non ebbe lo stesso successo. L’ idea però piacque ad alcuni georgiani che si inventarono il GEM. In pochi metri quadrati migliaia di ragazzi ballano e fanno festa con alcuni dei migliori dj di caratura internazionale che vengono a proporre i loro esaltanti dj set in questo angolo sperduto del Caucaso. Si balla per un mese esattamente sotto la barriera di alluminio che si estende per chilometri verso l’ interno della Georgia e segna il confine con l’ Abkhazia. Si fa festa sotto lo sguardo attento dei militari abkhazi che controllano l’ aerea sottostante dalle torrette di avvistamento. Si accendono falò sulla spiaggia pietrosa dove il filo spinato delimita il territorio dei due stati. Un festival organizzato appositamente sul confine. Per sbattere in faccia il divertimento sfrenato, la “modernità”, il sogno tipico di “oltre confine”, che già andava tanto in voga nella Berlino divisa in due, ai giovani della popolazione abkhaza. Oppure in segno di pace, secondo la versione degli organizzatori, che estendono il loro invito con tanto di biglietti gratis ai ragazzi abkhazi ma che puntualmente essi non lo prendono neanche in considerazione. Sono ancora non emarginate le ferite della guerra e degli anni di vessazioni ed embargo che hanno dovuto subire. E che ancora oggi persistono.
A circa 40 chilometri di distanza da Anaklia, nel villaggio di Rukhi, è ubicato l’ unico punto di passaggio aperto tra Georgia ed Abkhazia. Il ponte sul fiume Ingur. Costruito nel 1948 dalle squadre del Ministero degli Interni dell’ Unione Sovietica, come recitano le targhe originali dell’ epoca in lingua russa e georgiana, collega la città di Zugdidi, qualche chilometro più a sud e capoluogo della regione della Mingrelia, con l’ Abkhazia. Passi il controllo di frontiera georgiano, cammini a zig zag davanti un ulteriore check-point militare a pochi metri dal ponte, lo percorri, superi il controllo di ammissione sul lato abkhazo se hai la documentazione necessaria e vieni poi ammesso alla frontiera vera e propria. Scenario completamente differente rispetto all’ ingresso in Abkhazia da Adler, sul confine russo a nord del paese. Qui sul confine georgiano l’ atmosfera è molto più rurale con i carretti stile “western” trainati da cavalli che a richiesta ti aiutano a percorrere la distanza tra i due punti di controllo ed il via vai dei mingreli, la popolazione locale, che al discioglimento dell’ Urss ed alla indipendenza dell’ Abkhazia sono rimasti divisi tra i due stati. Sono gli unici georgiani e gli unici abkhazi che passano regolarmente la frontiera. E sono apostrofati come “traditori” da entrambi, poichè sono gli unici che sono rimasti a metà tra Abkhazia e Georgia, col piede dell’ opportunismo in due staffe.
Sostiamo per diverse ore, in giorni differenti, nei circa due chilometri e poco più che separano ufficialmente la Georgia e l’ Abkhazia. Da viaggiatori, nostro malgrado per una serie di imprevisti, diventiamo osservatori della frontiera. La cosiddetta “terra di nessuno” tra le due repubbliche, che terra di nessuno non è in quanto proprio una base militare georgiana è presente seminascosta sottostante l’ imbocco del ponte, proprio nelle adiacenze del check point armato e presenziato da svogliati giovanissimi militari che magari vorrebbero trovarsi altrove, diventa il nostro punto di osservazione. Diventiamo così “esperti” dell’ area in questione e finiamo per aiutare a livello di informazioni sulla frontiera e consigli sull’ Abkhazia, dove siamo già stati in un viaggio precedente , gruppetti di turisti ungheresi e tedeschi (alcuni dei quali anche un pò timorosi di quello che avrebbero trovato al di là della frontiera alludendo ad articoli di disinformazioni letti in patria. Scritti dall’ ufficio e non per esperienza diretta aggiungiamo noi) i quali dubitano sui reali motivi della nostra presenza in un luogo così particolare. Ma noi dobbiamo solo consegnare un pacco. Chi ci crede?
Forse neanche i poliziotti georgiani che ci interrogano sulla storia della Juventus con tanto di quiz su risultati e giocatori degli anni passati o i colleghi sul lato abkhazo che assistiamo nello smistamento della fila di persone che si accingono a superare il loro controllo. Oramai conosciamo le procedure su entrambi i lati. Ed anche i georgiani ci assoldano gratis come interpreti inglese – russo considerato che alcuni di loro non leggono neanche i caratteri latini dei passaporti o comunque non comprendono la nazionalità degli avventori stranieri che si presentano alla frontiera.
Assistiamo al passaggio di strani personaggi turchi ed a quello di presunti diplomatici giordani, come al controllo di routine di un team dell’ IOM, l’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, di cui comprendiamo il funzionamento e su cosa si basano i loro report. In pratica monìtorano solo il lato georgiano, ogni tanto fanno visite di routine al check point e se ne rientrano nello loro base dorata.
Ci imbattiamo, anche qui in frontiera come in altre zone della Georgia, alla banca mobile. In alcune zone rurali non sei tu che vai in banca ma è la banca che viene da te con un furgone-ufficio.
La gente si accalca ai finestrini- desk, un paio di impiegati ricevono le operazioni dall’ interno su dei tavolini-postazioni con computer e stampante mentre l’ autista dorme seduto sul lato guida e l’ agente di scorta, attrezzato di tutto punto, fa presenza all’ esterno.
Non ci facciamo mancare niente e durante la spola tra i due lati, su quello abkhazo, ci imbattiamo anche in un assembramento funebre che attende tra gli strazi la salma in arrivo dall’ altra parte.
La nostra esperienza in frontiera è terminata ma non il nostro giro che dopo le montagne dello Svaneti, dove apprendiamo di un progetto futuro di apertura di un percorso di trekking che attraverserebbe la catena montuosa del Caucaso dal mar Nero al mar Caspio, ci porta nella terza delle repubbliche indipendenti o in questo caso autonoma della Georgia: l’ Ajaria con capitale Batumi.
Città dove i finanziamenti esteri ed europei, nel senso di Unione Europea, hanno trasformato il lungomare chilometrico in un polo di attrazione e divertimento estivo di tutto rispetto. Batumi, già rinomato posto di villeggiatura balneare ai tempi dell’ Urss, negli ultimi anni ha visto trasformare la sua fascia costiera, quella invasa da turisti stranieri, mentre il resto della città è rimasto sostanzialmente sotto la vecchia tradizione georgiana-sovietica. Solo le vecchie babushki che passano e ripassano vendendo pannocchie di mais calde ed altre leccornie della tradizione sovietica richiamano ad un passato non troppo lontano. Come in piccolo ad Anaklia qui a Batumi ordine, pulizia e verde la fanno da padrone con l’ aggiunta di decine di ristoranti turistici, qualche attrazione per bambini e più fontane danzanti in differenti punti dell’ immenso lungomare. E non possono mancare grattacieli sedi di hotel prestigiosi e residence ultramoderni. Batumi è una città divisa in due, quella centrale un pò trasandata e con la tipica confusione caucasica e quella costiera ad uso e consumo dei turisti, tantissimi finanche quelli iraniani, e finanziata dagli europei dell’ UE.
Come il resto della Georgia, tanto diversa dal mio primo viaggio un pò di anni orsono. Come segnale sintomatico della globalizzazione non ci sfuggono le numerose sale del Regno dei Testimoni di Geova, finanche nelle campagne sperdute, facsimili esatti di quelle che si trovano in Italia od altrove.
L’ inglese invece imperversa ovunque nelle scritte, persino polizia è scritto “police”. E sembra quasi di trovarsi non nel centro del Caucaso quando noti varie sedi dell’ agenzia statunitense USAID e dove ovunque sventolano le bandiere dell’ Unione Europea come se la Georgia ne facesse parte. Neanche in Italia o in altri paesi del’ Unione trovi tanti richiami al’ UE, quasi come se fosse un messaggio subliminale da inculcare alla popolazione. Ed alle volte si incappa anche in degli errori clamorosi, come il poster-mappa che saluta coloro che transitano nell’ aeroporto di Kutaisi e che sancisce la fratellanza tra Unione Europea e Georgia, salvo segnalare dentro l’ Unione appunto la repubblica del Caucaso e tenere invece fuori la Croazia che ne è membro ufficiale già da anni.

LUCA PINGITORE

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