Bialystok 2008-2012

bialystok-starowka

“Dla Ciebie mógłbym zrobić wszystko
Co zechcesz powiedz tylko
Naprawdę na dużo mnie stać”
Myslovitzs

Kontakt club, Bialystok, Poland – ore 22.00 circa – febbraio 2012
Giunto in città da poche ore, dopo un’assenza di oltre un anno, il freddo del soleggiato pomeriggio polacco passato tra stazioni e scomparti ferroviari aveva lasciato il posto già da un po’ alla gelida notte. Entrato al Kontakt vengo accolto come di consueto dal sorriso, questa volta un po’ sorpreso, di Paul. Amico barista, comune conoscenza mia e della mia ex ragazza. Le diverse piwo e le vodkine che già pervadono la mia mente avvolgono il locale d’una strana atmosfera. Convonevoli d’ordinanza, notizie fresche su di me, la mia ex e il buon barista. La malinconica serata viene allietata soltanto dai primi ingressi femminili e dalla buona nuova circa il prezzo della vodka in promozione sino alla mezzanotte. 1 zloto cada una…. ed ecco 9 splendenti cilindri di vetro, fumanti dal freddo, venirmi serviti innanzi… carta e penna, qualche appunto, molti ricordi e grandi emozioni….

Non è mia intenzione iniziare un racconto, un’esperienza di viaggio, una guida turistica o quant’altro. Vi sarebbero probabilmente molte altre mete più meritevoli ed interessanti sopra cui comporre pagine di sciocco svago grammaticale. Bialystok è molto più di una città polacca che ha avuto l’onere di ospitarmi per diversi mesi, sopportare le mie stranezze, assecondare le mie manie e tentare di cambiare il mio carattere. La città del fiume bianco (“Bialo – Stok”) è una spersa cittadina di oltre 350 mila abitanti adagiata sulla paludosa steppa a nord est della Polska. Abbandonata là, tra Lituania e Bielorussia. Definita come capitale della Podlaskie, regione situata a nord est della ben più famosa Warszawa, Bialystok non è mai andata oltre raggi di luce riflessa. La grigia città dell’est ha in realtà un fascino ed una storia che meritano d’essere conosciute. Città strana, città di frontiera. Racchiude da sola il più alto numero di ortodossi presenti su tutto il territorio della cattolicissima Polonia. Dista poco meno di 60 km dalla Bielorussia di sovietica quanto Lukascenkana memoria. La periferia non è qui una zona limitata ai contorni urbani. No. L’intera regione, città, centro si presentano come periferici. Non tanto della Polska quanto dell’intera Europa o per lo meno di quel concetto di Europa che viene oggi giorno insegnato nelle scuole. L’assenza di un aereoporto, la lentezza dei collegamenti con la capitale, l’orgoglio simil nazionalista di molti suoi abitanti e quel senso di nostalgica memoria del vecchio regime comunista, sempre più mischiato a derive d’occidente, fanno di Bialystok un posto unico in Europa.
Poco altro che un villaggio sino alla seconda metà del ‘600, la comunità stanziata nella regione, misto di polacchi, lituani e russi, viveva di agricoltura povera, caccia e piccole attività commerciali legate allo sfruttamento del legname. Non vi erano confini ben definiti e lo scambio di merci (poche) ed influenze culturali (molte) erano nella loro limitatezza, costanti. Crocevia del GranDucato di Polonia e Lituania. Soltanto nel 1700 la città, da pochi decenni passata sotto il controllo della famiglia Branicki, conobbe il primo periodo di sviluppo. La casata militare lituana che controllava tutta l’area urbana aveva deciso di porre in Bialystok la dimora estiva e il vanto della famiglia. Jan Klements Branicki sognava di costruire la Versailles dell’est in questo villaggio di boscaioli. Sorse così nel corso del primo ‘700 Palac Branicki, tutt’ora visitabile in città ed oggi adibito a facoltà di medicina. La fine del Gran Ducato di Polonia e Lituania e le spartizioni post napoleoniche consegnarono la città alla Russia zarista che pensò bene di ripopolare la regione degli “scomodi” Ebrei, ormai arroganti e sempre più influenti economicamente in quel di Mosca e San Pietroburgo. Nel corso dell’800 Bialystok si trovò così ad essere ultima città di frontiera del vastissimo Impero Russo, prima confinante del Regno di Polonia, creazione politica pseudo indipendente ma in realtà strettamente sotto il controllo e l’influenza zarista. Da questa sua ambigua posizione, in un periodo di grandi innovazioni e rapidi progressi, la municipalità di Bialystok trasse non pochi vantaggi. Nel 1862 la costruzione del tratto ferroviario Varsavia-San Pietroburgo accelerò notevolmente lo sviluppo cittadino. Tra Otto e Novecento il settore tessile, per effetto degli investimenti russo-prussiani, conobbe uno sviluppo senza pari. Non solo Bialystok ma anche i villaggi circostanti (Suprasl e Tycocin su tutti), assunsero una certa importanza industriale e commerciale. Al termine del Primo conflitto Mondiale la riunificazione polacca ad opera delle truppe guidate da Jozef Pilsudski, decretò l’annessione della città al neo nato stato di Polonia e le conferì la posizione di capitale del voivodato di Bialystockie. A seguito dei disastri della seconda Guerra Mondiale il 75% degli edifici cittadini (la maggior parte dei quali costruiti ancora in legno) vennero rasi al suolo. Liberata dall’occupazione nazista nel luglio ’44, assegnata allo stato comunista polacco, subì nel corso del secondo ‘900 una pesantissima riqualificazione urbana. Destinata a diventare centro industriale per l’intera regione nord orientale della nuova Polonia, gli abitanti delle campagne vennero indotti a migrare in città. Gli anni ’50-’60 del Novecento videro una prima ondata di migrazioni e costruzioni. Gli anni ’70 e ’80 anche. Ad ogni periodo si può ricollegare tutt’oggi una determinata forma dei “blocchi” ed una loro strategica collocazione nei dintorni del quasi conservato centro cittadino, composto da Palac Branicki, dalla cattedrale cattolica neo gotica (ricostruita nel corso del ‘900), dal palazzo del Ratuszow (amministrazione municipale) tardo settecentesco e da alcuni edifici rislaenti al XIX sec disposti lungo ulica Lipowa. Soltanto dal 1999 può fregiarsi del titolo di capitale del voivodato di Podlaskie, regione amministrativa fondata proprio quell’anno.

Rynek Kosciuszki, Bialystok, Poland – ore 23.45 circa febbraio 2012
Nonostante le aspettative del giovedì sera, tipica serata universitaria da sempre orgoglio del Kontakt club, ricevuto l’sms di un’amica indigena, abbandono l’oblio solitario ed alcolico cui stavo trastullando la mia anima e mi dirigo verso il Tunnel pub. Locale alquanto stravagante nella sua sotterranea tipicità polacca. Unico pseudo club affacciato sulla rinata piazza del centro, dotato di gradinata d’ingresso e volti a botte nelle sale sotterranee, non ha mai voluto crescere e divenire luogo di tendenza e folli danze. La pista come sempre deserta sulla sinistra, le panche ed i tavoli del pub ovviamente affollati di polacchi e polacche. Ecco Monika. Sorrisi. Saluti. Ecco il suo ragazzo. Ah…!! Ordino da bere va là. Piwo per tutti, non per me, ormai son di vodka. Mentre la bella ragazza avvia un remember d’altri tempi e il suo orso sghignazza con alticci avventori del pub, io mi perdo nei ricordi.

Era la mattina del 7 ottobre 2008 quando, dopo circa una settimana trascorsa in Polonia, tra Krakow, Rzeszow, Lublin e Warszawa in compagnia dell’amico con cui già tante volte mi ero accompagnato in viaggio per l’Europa presi il treno che dalla capitale polacca mi avrebbe portato nella città, mai visitata prima, sede del mio erasmus, Bialystok. I saluti di rito furono in quell’occasione alquanto distratti in quanto la mia attenzione era già focalizzata al viaggio che stavo intraprendendo da solo e che, né ero certo, avrebbe in qualche modo cambiato la mia vita. Mentre il treno percorreva la “steppa” polacca incorniciata da un pesante cielo grigio e compatto appena scalfito da una fredda pioggerellina autunnale, guardavo fuori dal finestrino cercando di memorizzare quanti più dettagli fosse possibile e ripensando a com’era nata 7 mesi prima l’esperienza che stava iniziado davanti a me. L’arrivo in città nella tarda mattinata fu ricco di emozione, lo stesso clima così desolante, in quel contesto era per me fonte di stimolo ed eccitazione. Chi non è mai stato in un paese dell’ex blocco sovietico troverà difficile capire le senzazioni interiori che provocano in noi occidentali i palazzoni anonimi che circondano il centro di tutte le città, lo stile nelle costruzioni pubbliche finalizzato ad un’esaltazione “cupa” ai nostri occhi di uno stato inteso, nel passato regime, come potenza, come padre e padrone in perfetta sintonia col cielo piatto e uniforme come un soffitto grigio opaco ed una luce che il freddo pungente rende meno luminosa. Raccolti i miei bagagli scesi dal treno e preso un taxi mi recai nel dormitorio universitario situato circa 3 km a sud del centro cittadino, in un tipico quartiere perfierico, attorniato di nulla e blocchi. La palazzina con le camere degli studenti era abbastanza moderna, la camera nel complesso confortevole; due letti, un bagno con doccia un piccolo frigorifero e tendine gialle alle finestre per dare l’illusione della luce solare anche in perfette condizioni di grigio. Lasciate le valigie nella stanza, non essendo il mio coinquilino di cui ignoravo l’identità presente, chiusi la porta e mi incamminai in direzione del centro città per espletare le pratiche di arrivo e allo stesso tempo prender confidenza con quell’ambiente, in apparenza freddo e distaccato, che sarebbe stata la mia casa per alcuni mesi. Fin da subito mi resi conto che, vuoi per il modo di vestire e camminare, vuoi per colore dei capelli e lineamenti, le persone incrociate per la strada soffermavano il loro sguardo curioso sul sottoscritto scambiandosi qualche commento e accennando a volte, un mezzo sorriso. Belle ragazze. Molte. Recatomi subito in facoltà un’altra piacevole sorpresa mi attendeva. Il coordinatore, dott. Boroda, era un’estimatore dell’Italia e di Verona che aveva già avuto modo di visitare. Dopo alcune indicazioni generali sul calendario delle mie lezioni iniziammo a parlare delle differenze tra Italia e Polonia, clima, tradizioni, cibo, caffè e bevande alcoliche in generale, vino, birra e vodka, arrivando alla conclusione condivisa che in fondo, specie nelle regioni di Veneto, Friuli e Trentino, la tradizione del trovarsi e bere in compagnia di amici, a tavola o al “pub” era diffusa e radicata come in Polonia. Tornato in dormitorio, dopo aver celebrato il mio arrivo con la mia prima “piwo” in quel di Bialystok (al Knay pub in Lipowa street), trovai ad attendermi il mio compagno di stanza, Gabri, che assieme ad altri 8 ragazzi catanesi e baresi, guidava la rappresentanza erasmus italiana in città. Tra tutti ero il più anziano e l’unico che non studiava economia. All’ora di cena tutti assieme nella cucina del nostro piano ebbi modo di conoscere anche gli altri, l’impressione fu buona anche se le diversità di accezione dell’erasmus iniziarono fin da subito a emergere. La mia scelta era nata da un desiderio di conoscere la Polonia ed i Polacchi, i miei connazionali, oltre a dimostrare scarsa curiosità e malcelato disprezzo verso il paese che ci ospitava, sembrava volessero ricreare una “little Italy” in città, calendarizzando date, appuntamenti ed ogni genere di attività quotidiana da fare rigorosamente assieme (dalla spesa al supermarket alla palestra, passando per lavanderia e uscite serali…); dal mio punto di vista un incubo. Decisi così, pur considerando tutti come degli ottimi ragazzi ed essendo un pochino intimorito all’idea di “isolarmi” da quel gruppo che nel bene e nel male rappresentava un solido legame con l’Italia, di iniziare a guardarmi intorno per un appartamento privato da affittare dal mese successivo. Dal primo novembre mi sistemai in un bilocale molto acogliente a pochi passi dalla piazza centrale e a circa 10 minuti a piedi dalla mia facoltà… un sogno. Questa decisione fu col senno di poi di un’utilità incredibile anche per il miglioramento del mio inglese e lo studio del polacco (lezioni universitarie ed esami erano infatti svolti in lingua d’oltre manica), che potevo esercitare ogni giorno iniziando a frequentare soltanto polacchi, conosciuti in facoltà, nei locali e nel mio piccolo condominio (i vicini di appartamento, dai più giovani ai più anziani si mostrarono infatti molto ospitali ed educati nei miei confronti, incuriositi non poco da quel giovane italiano che senza creare grossi problemi incontravano e scambiava con loro in “perfetto polacco” i saluti di rito). Parallelamente a tutto questo le lezioni in università si dimostravano interessantissime, gli unici due studenti erasmus della facoltà di storia, due ragazzi turchi, non capivano né parlavano l’inglese, per cui le lezioni erano quanto di più frontale si possa immaginare e mi diedero modo di approfondire di volta in volta gli argomenti che più m’interessavano realizzando vere e proprie discussioni coi docenti. Sul fronte delle relazioni personali, sia pur tra le mille difficoltà che la diversità linguistica generava, cementai alcune amicizie in maniera molto forte; ai primi di dicembre senza esitazioni accettai di prolungare il mio soggiorno di altri 3 mesi. Seguì il lungo inverno polacco, il sole scomparve dal cielo di Bialystok, affacciandosi pallido e freddissimo soltanto in due occasioni, a fine gennaio per due giorni ed a metà febbraio per un giorno. Questi mesi furono senza dubbio i più duri, l’entusiasmo iniziale per ogni piccola cosa si stava tramutando in routinè, il clima non aiutava e generava in me soprattutto, ma anche nei polacchi stessi, una sorta di mini forma depressiva di cui ignoravo l’esistenza e gli effetti. Per fortuna alla fine di marzo il tempo cambiò ed il sole tornò ad illuminare il paesaggio con cadenza più regolare, con indubbi effetti positivi sull’umore e la voglia di fare. Molti infatti mi avevano parlato e messo in guardia dal “freddo” inverno, sinceramente pur avendo toccato medie di -9 / – 14 e punte di gelo quali -24, il freddo e la neve, secca e fine come mai avevo visto in vita (una bufera scatenatasi una sera di gennaio col termometro sceso a -27 mi riportò alla mente le descrizioni delle bufere russo ucraine presenti ne “Il Sergente nella neve” di Rigoni Stern), non incidevano sul morale e sulla quotidinità in maniera negativa, non quanto la totale assenza di luce solare, i tramonti alle 14.30 e l’oscurità che alle tre del pomeriggio già rivestiva ogni cosa.

Ul. Lipowa, Bialystok, Poland – ore. 01.40 circa febbraio 2012
Vedere Monika, una delle ragazze più interessanti, di carattere, indipendenti e belle da me conosciute, fare coppia col tipico polacco da pub, sgualcito, sulla difensiva e sghignazzante di supposta arroganza, non mi ha fatto bene. Sembra quasi che anche lei si sia arresa alla realtà, alla vita ed al mondo che la circonda. Saranno pensieri da vodka in corpo, saranno vaneggiamenti da meno 32 gradi, sarà che mi fermo e girando lo sguardo a 360° pare che sta città mi sia cucita addosso e con essa i suoi abitanti. Sarà…

Terminato quell’erasmus non patii alcuna fatica nel ritorno alla realtà italiana, una parte di me, la mia seconda metà, era infatti saldamente rimasta in Polska a Bialystok. La ragazza con cui da sei mesi facevo coppia fissa era molto più d’una avventura studentesca. Mesi fantastici, vissuti assieme, condivisi in tutto o quasi. La tristezza per il temporaneo addio, la gioia per una vicina riunione non potevano non donarmi energie sconosciute prima. Le tre settimane a distanza passarono tra lavoro, uscite e bevute all’italiana con gli amici di sempre ed il pensiero fisso. A lei, alla Polonia ed a Bialystok. Quante feste, da solo, con Magda, con gli amici italiani che in 13 mesi si erano avventurati alla mia ricerca in quello sperduto angolo di Europa o giù di lì.
Il Kontakt. Locale per eccellenza dei giovani indigeni, due piste da ballo, tre banchi con diversi barman al lavoro. Musica commerciale e non solo. Il luogo dove per la prima volta incrociai lo sguardo con Magda e mi buttai con lei nelle mitiche danze a struscio.
La Pizzeria Savona. Volgare imitazione d’un locale italiano, dotato di ottima visuale sulla piazza, birra ottima, cameriere sorridenti e clientela giovane. L’ideale per pranzi ed aperitivi.
L’M7. Club preferito dagli erasmus, pieno dal mercoledì sera al sabato. Sotterraneo, buio e ricco di fascino. Forse troppo internazionale per colpire al cuore, ma comunque protagonista di grandi bevute e della schivata femminile della mia vita.
L’Izzy. Oggi Rockocò. Club che regalò al sottoscritto il primo abbordo bialystociano andato a buon fine. A dire il vero anche il secondo. Emozione ed occhi lucidi ancor oggi solo a pensarci. Il Tokaj Wengyerski, ristorante ungherese. Posto tre piani sopra l’M7, in un mansardato loft di vetrate a un passo dalla piazza centrale. Rifugio ideale per bersi una buona bottiglia di vino, mangiare uno speziatissimo gulash ed un piccante tagliere di salumi ungheresi “king size”.
Il Leidjs. Ristorantino tipico polacco, nascosto in una traversa a metà Lipowa street. Atmosfera fine anni ’90. Cameriere notevoli, cucina ottima ed abbondante. Evitando i vini, un’ottima birra e bei momenti.
Il Prognozy. Locale assurdo. Bello, curato, tirato. Nel sottoscala d’un palazzo di ulica Lipowa, appena prima dell’ Ortodox curch. Una grande sala da ballo volgarmente abitata dai più rozzi maschioni cittadini. Una minuscola alcova di mattoni faccia a vista con artistico volto a botte popolata delle più belle donzelle di madre patria Polska. Apprezzato e vissuto soprattutto nel post erasmus. Locale che richiede una certa maturità nell’approccio.
Il Cabaret. Pub con postazione dj attiva una o due volte la settimana. Le pubblicità del Martini Rosso la fanno da padrone in questo ambiente particolare e amato dai più orgogliosi nazionalisti di Bialystok. Non sono cattivi, soltanto alternativi e leggermente incazz… Si balla di tutto… dai Cure ai Myslovitz.
Si beve di tutto… dalla vodka alla vodka… passando per la piwo.
Rejis club. Vecchio cinema. Ormai adibito a ristorante, pub, club. Ancora una volta siamo di fronte ad un locale atipico. Apprezzato dagli studenti, quasi mai stranieri. Suona revival musicali polacchi e spacca il martedì sera con un karaoke semideserto ma ricco di contenuti. (l’importante è avere il coraggio di cantare una qualsiasi canzone, polacco o italiana che sia… assicuro buoni risultati).
Il Wedel. Mitica cioccolateria, Austria-Ungheria style, ormai ridotta a franchising in tutta la Polonia. Ma non qui. No. Qui è la regina indiscussa della Rynek. Copiata, imitata ma mai eguagliata. Per mesi e mesi luogo delle mie prime colazioni, affacciato alle grandi vetrate ombreggiate dai frassini e rabbuiate dal freddo inverno. Mattinate, pomeriggi e serate riscaldate dalle mitiche “wedeline” cittadine. Le camerire mai banali, sempre sorridenti e cinte ai fianchi da una gonna bordeaux che tante emozioni seppe sempre regalare al mio animo perso.
La Galeria Biala, L’Alfa Galery, i due Auchan cittadini. Luoghi della più mera occidentalizzazione in terre orientali, centri commerciali dotati di ogni comfort. Ma pur sempre parte della città. Sia pure nelle sembianze di ferite aperte, di paradossi contrastanti e non sensi reali. Luogo di nascita delle “galerianke”, croce e delizia per gli occhi e le coppiette ogni pomeriggio, domeniche comprese. Cinema, boowling, ristoranti, negozi, grandi firme…. non manca nulla, o forse manca tutto.
Metro club. Nascosto nel fondo scala di un palazzo spalle alla Rynek. Alternativo sempre, forse troppo. Musica tra il tecno e il nostalgico. Poca cura degli ambienti, interessanti soprattutto perchè tesi a ricreare un clima ex o post sovietico d’altri tempi. Mitica la porta che separa le due sale azionata a scorrimento da un pulsantone bianco….
Jungle club.. ora New Jungle. Il peggior locale della città. Vodka pessima da far star male. Sempre e comunque. Risse e grettezza. Però quanto calore e quanta tipicità. Una sera su cento da oscar.
Ulica Warszawska. La via della facoltà di Economia. Ricca di bar, tavole calde e pseudo pizzerie. Sede del seminario cittadino. Adiacente la mitica ambasciata bielorussa, vero fortino cittadino. I plateatici estivi aperti in Rynek Kosciuszki da fine maggio a settembre. Spettacolari e unici nel servire birre ghiacciate a tutte le ore. Dalle 9 alle 24.
L’Esperanto caffè. Caffetteria e tavola calda sorto nella facciata della vecchia torre comunale (Ratuszow).
La “Casa della Birra” (Bierhalle). Altra catena sbarcata in città da poco. Apprezzabile per le birre da litro, alcuni piatti di carne e la centralissima posizione in Rynek. Cameriere vestite alla bavarese ma con movenze, stile e sorrisi alla polacca.
Czarci e Legenda pub. Pub, trattorie uniche nel loro genere. A ridosso del centro in ul. Legionowa. Due locali comunicanti e chissà per quale astruso motivo dotati di pseudo vita propria.
Il Legenda arredato in legno massiccio, con richiami alla pesca, ai folletti ed alla bellezza. Bellissime Monika, Marzena e le altre bariste.
Il Czarci. Dotato di angolo con mulino ad acqua funzionante. Più soffuso e grande del fratello Legenda. Bellezza e calore uguali. Dalle birre alle vodke, passando per zuppe, bistecche, cotolette ed insalate.
Hokus Pokus. Sottospecie di pizzeria da evitare. Non fosse per le splendide colazioni a base di pancetta, salsiccia, cetrioli, formaggio e uova (il tutto annaffiato da ottima birra…) servite sino alle 11 del mattino.
The Passion Beach. Disco collocata sotto una tensostruttura in Pisuldskiego street, addobata in maniera pacchiana da spiaggia tropicale (con sabbia vera e palme finte incluse). Locale adorato da molte ragazze cittadine per i balli sud americani. In realtà tristissimo.
Knay pub. Locale lungo ul. Lipowa. Ottimo per le birre e la possibilità di ordinare speziatissimi Narghilè. Sede della mia prima piwo cittadina. Un must.
Castel pub. Assurdo nella sua fattura. Porta in legno verde cigolante. Pianoforte inutilizzato all’ingresso. Centri tavola in pizzo di raso bianco e candele accese sui tavoli. Camino scoppiettante. Luci, rumori e voci soffuse. Luogo ideale per nostalgici d’altri tempi.

Room 306, Crystal Hotel, Bialystok, Poland – ore 08.35 circa febbraio 2012
Una leggera nebbia crea una patina di vissuto fra i miei occhi e la stanza intorno. Non mi abituerò mai abbastanza ai risvegli post sbronza vodkiana. Ieri notte, lasciata Monika, in preda ai ricordi sono finito al Rokcocò ed ora ne pago le dovute conseguenze. Dopo una frugale colazione in hotel l’aria fresca del mattino è la miglior cura contro ogni rincoglionimento. Il sole brilla in cielo e pur non riscaldando l’ambiente oltre i meno 19, infonde energie e forze nuove. Barcollo trascinandomi lungo le vie, le piazze e i pochi monumenti del centro cittadino. Negli ultimi tre anni ogni casa, ogni gradino, ogni metro di strada affacciato nella ristretta area centrale è stato ripulito, abbattuto e ricostruito nel disperato tentativo di donare coerenza e continuità, storia e bellezza, ad un qualcosa che nella realtà non l’avrà mai.

La Rynek principale è tristemente dilaniata da ul. Sienkiewicza che separa la parte profana (centrata dal palazzo dell’ex comune e dalla chiesa ortodossa di San Nicola) da quella sacra (piazzale della cattedrale neo gotica). Il Ratuszow racchiude oggi, oltre all’Esperanto caffè, un museo sulla storia cittadina, molto piccolo in realtà ma con buone documentazioni fotografiche. La Cattedrale è maestosa e merita d’esser vista. I mattoni rossi che la compongono ricordano le più ottocentesche delle fabbriche. Guglie, torri e gradinate riportano i pensieri al sacro gotico architettonico. Ricostruita sulle rovine della vecchia chiesa dell’Assunzione della Vergine di cui rimane parte della faciata seicentesca, nonostante le apparenze ha poco più di un secolo. Appena oltre, passato il museo della guerra (Museum Wojska), si viene assorbiti dal parco di Palac Branicki. Racchiuso fra mura aperte e vialoni maestosi, il giardino dei nobili lituani si mostra come la più adeguata delle cornici per la grandiosa luminosità sprigionata dal bel palazzo di fine settecento. Chicca estiva sono le fontante ritmate che da qualche anno sono tornate ad allietare aiuole e sentieri del nobile parco. Il Teatro Drammatico appena sotto Palac Branicki, oltre ul. Mickiewicza, è poco più di un vecchio blocco sovietico, arricchito da simpatici giochi di fontante e spruzzi d’acqua nel ricostruito piazzale adiacente. La Galeria Alfa è un moderno centro commerciale, aperto nel 2008, ottenuto dalla ristrutturzione di una vecchia fabbrica cittadina. Mattoni rossi e dislivelli la fanno da padroni. Tra le vie Bialowny e Malmeda un piccolo spazio verde contiene, oltre ad una derelitta quanto affascinante fontana, il busto del “grande” L. Zamenhof, glottologo ideatore e sostenitore della lingua esperanto, nato proprio a Bialystok. Così come in città nacque lo scienziato A. Sabin, cui si deve la scoperta del primo vaccino contro la poliomelite.

Castel pub, Bialystok, Poland – ore 13.50 circa febbraio 2012
I minuscoli tavolini del Castel, tondi e traballanti, le sedie rivestite di paglia bucherellata, le candele tremolanti, l’arredo di legno ed ottoni sanno creare atmosfera intima e riservata come poco altro al mondo. L’ottima birra alla spina su cui si specchia il mio volto tirato sembra quasi volermi parlare. In questi pochi metri sono racchiusi la maggior parte dei momenti più importanti dei miei ultimi 3 anni di vita. Il lieto fine non c’è e non ci sarà. Le emozioni però rimangono e riaffiorano ancora i ricordi.

Non solo Bialystok. Nei mesi spesi in città ebbi infatti modo di visitare quasi l’intera regione e tutte le sue piccole grandi chicche d’interesse. Storico, naturalista o semplicemente memorialistico archeologico.
Suprasl, villaggio poco distante dal centro cittadino. Situato a nord est. Sede di una grossa fabbrica russo-prussiana e di uno dei collegi prussiani più importanti della regione.
Krynki. Assurdo villaggio di confine a pochi km dalla Bielorussia. Una rotonda con ben 7 uscite ne determina il centro storico. Una manciata di blocchi metropolitani, disagiati, squallidi, grigi e spersi nella campagna più desolata ne compongono il cuore abitativo. Due alimentari, una chiesa ed un cimitero. Una vecchia e ormai obsoleta fabbrica di cuoiame. La periferia del mondo. Frontiera da sfondare in auto per un ipotetico viaggio in Belarus.
Hainuvka. Città, paesotto di qualche migliaio di abitanti nel sud est della regione. Porta della mitica foresta di Bialowiesa, la più grande riserva europea di bisonti allo stato brado, a metà con la Bielorussia. Centri commerciali, blocchi e tanta solitudine. Una visita al parco nazionale della foresta merita veramente. Una camminata fra la neve nei boschi circostanti, seguendo traccie di lupi e cervi, fermati di tanto in tanto dalle pattuglie di Schengen, ancor di più.
Kruszyniany. Villagio dal sapore storico e mitologico. Avamposto di confine che i sovrani Jagelloni decisero di donare alla compagine Tartara (soldati di ventura mussulmani al servizio dei cattolici polacco-lituani nel corso del ‘700) come segno di gratitudine per i servigi resi nelle guerre settecentesche. I Tartari ed i loro discendenti vi si insediarono per secoli mentre il buon Giovanni Drogo li attendeva invano a Fortezza Bastiani; interessante la moschea donata dai cattolici Jagelloni ai fidati combattenti. Tale costruzione, essendo stata eretta dai maniscalchi regi, presenta le sembianze di una chiesa più che di una moschea.
Augustow. Cittadina turistica confinata nella zona più orientale del laghi della Mazuria. Balneazione povera, pesce ed atmosfera ambigua per un centro che d’estate si popola come pochi in Polonia. Sede negli anni del Pcp (partito comunista polacco) delle vacanze dei dipendenti statali di Bialystok. Oggi contornato da selvaggi percorsi per mountainbike e amanti della canoa.
Tycocin. Villaggio simbolo della tolleranza religiosa. Assurda la sua morfologia pseudo urbana. Tre sezioni. Cattolica, Ebrea ed Islamica. Chiesa, sinagoga e moschea racchiuse nel raggio di circa 200 metri. Un caso storico più unico che raro. Oggi gestito per lo più da ebrei che lavorano in tipiche tavole calde Jewish style.

Bialystok Glowny, Poland – ore 16.15 circa febbraio 2012
Le vetture del treno già orientato verso il sud ovest, verso la capitale, scaldano i motori e gli scomparti prima della partenza. Trovo facilmente posto a sedere. Una bellissima mora dagli occhi di ghiaccio mi fa compagnia con i suoi silenzi. La periferia cittadina, le foreste ed il nulla innevato che scorrono veloci fuori dal finestrino mi fanno sussultare ancora una volta. Come già in passato. In questi momenti solo una domanda percorre la mia mente. Costante. Spasmodica. Nevrotica ed a volte insolente. Sto lasciando casa o vi sto ritornando…???

CESK
( utente del forum viaggiatorindipendenti.it )

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