Cecenia 2017

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Per completezza si consiglia prima di leggere anche il paragrafo sulla Cecenia di questo articolo:
Dalla Cecenia all’ Ossezia del Sud passando per Beslan. Caucaso 2015

 

Il tempo di un selfie che il giovane autista invia in diretta a tutti i sui amici, esaltato per aver incontrato la prima volta in vita sua due italiani raccattati all’ ingresso in città e via per le strade della periferia della capitale della Repubblica. Costeggiamo il mare cittadino, una sorta di lago concepito per scopi differenti da quelli attuali ma utilizzato, poi, come posto di svago per famiglie e sportivi durante le giornate estive. Per certi aspetti riporta alla mente il lago Jarun alla periferia di Zagabria ma questo, con al centro le sue fontane musicali, è il Grozneskoie more, la prima delle numerose “stravaganze” che si possono notare nella rinnovata Grozny, la capitale della Cecenia.
Ero già stato in città un paio di anni fa per una visita fugace ma comunque intensa, riuscendo così a percepire delle sensazioni e scaturire delle analisi, questa volta però, insieme al mio compagno di viaggio, siamo intenzionati ad indagare più a fondo la realtà cittadina e quella della Repubblica che l’ attornia.
Proveniamo in auto da Vladikavkaz, dall’ Ossetia del Nord attraversando il territorio dell’ Inguscezia, un’ altra delle Repubbliche considerate dai più ad alto rischio di turbolenza.
Ci lasciamo alle spalle la zona industriale della capitale osseta, sede di alcune industrie metallurgiche e ci inoltriamo per la campagna con le altitudini della catena montuosa del Caucaso, ancora innevata anche ad altezze più basse rispetto ai sempre-bianchi ghiacciai, che si stagliano alla nostra destra.
L’ autista è molto intenzionato a colloquiare con noi e ci indica i campi ai lati della strada come la risorsa nascente per il futuro della Russia e dell’ Ossetia del Nord in particolare. In seguito alle sanzioni ed al conseguente scarso arrivo di prodotti dall’ estero, afferma, la gente ha iniziato a lavorare le campagne e le semine porteranno entro un anno fasti risultati: pomodori, frutta, verdura, patate locali inonderanno i mercati della zona se non di tutta la Federazione, contando anche lo sviluppo dell’ agricoltura in altri territori dell’ immenso stato russo. Ci indica terreni coltivati e gente al lavoro, arrivando a farsi una risata delle sanzioni imposte alla Russia. Sarà forse una esagerazione la sua ma si nota un piccolo fermento intorno ai campi anche per via di alcune aziende sorte dove fino a pochi mesi fa, tempo del ultimo mio passaggio in zona, si estendevano terreni abbandonati. Negli ultimi periodi, sanzioni o non sanzioni, in base anche ad altri dati avuti rispetto alle parole dell’ autista, nella zona caucasica, da Nalchik in giù, l’ agricoltura pian piano sta cominciando comunque a mettersi in moto.
Durante il tragitto riascoltiamo il vecchio nastro, udito più volte da queste parti e dettato dagli storici attriti sfociati in una cruenta guerra agli inizi degli anni ‘90, delle considerazioni campanilistiche tra il popolo osseto e quello inguscio. Anche i campi incolti in territorio inguscio possono tramutarsi in oggetto di scherno.
Rispetto alla precedente, questa volta, ai rallentamenti in prossimità dei check point situati sul confine tra le due Repubbliche di Ossezia ed Inguscezia, le nostre facce soddisfano la milizia e passiamo senza esser fermati per controlli. Lo stesso accade all’ ingresso nel territorio ceceno, dove la strada si fa più moderna e l’ effigie del suo giovane Presidente saluta i viandanti che si muovono da queste parti.
Il nostro autista, come da tradizione e già da noi preventivato in base alle precedenti esperienze, ci abbandona ai lati della rotonda stradale che segna l’ inizio della città di Grozny. Un po come nel Kosovo tra serbi ed albanesi (anche se li la situazione presenta per molti aspetti delle differenze), qui nel Caucaso del Nord osseti, ingusci e ceceni non si sentono a loro agio a transitare o sostare nelle repubbliche altrui e nonostante le rassicurazioni alla partenza, capita di sovente invece di esser “venduti” a tassisti locali, o presunti tali, una volta superato il cartello d’ ingresso della città di destinazione. Ed è cosi anche questa volta. A caricarci ed a portarci alla nostra meta è un giovane ceceno barbuto, il quale oltre al selfie, inanella una serie di domande incuriosito dalla nostra presenza in città. Avvertire la sorpresa, lo stupore, il piacere e l’ orgoglio di incontrare due stranieri a Grozny come anche poi ci accadrà nelle montagne, sarà l’ emozione che soddisferà la nostra permanenza nella Repubblica caucasica.
Grozny è una città ricostruita ma sostanzialmente viva. Anche di sera seppur non si tirino le ore piccole. Giovani e meno giovani, ragazzi o famiglie, compagnie tutte maschili o amiche tutte donne, uomini con la barba lunga ma curata o ragazze con un foulard alla moda sulla testa ma come anche persone meno tradizionaliste e senza quindi questi tratti distintivi, si muovono per la via principale, intitolata al Presidente russo Putin. In tutta la sua lunghezza, dalla statua dei “tre fratelli” o dei “tre idioti”, a seconda dell’ utilizzo della vecchia toponomastica ufficiale sovietica o di quella moderna in slang giovanile antigovernativa, fino ai grattacieli che si stagliano dietro la grande moschea e che simboleggiano un po la nuova era della città e segnano un contrasto tra il sacro ed il profano. Un viale principale dai continui richiami all’ Italia: dalle boutique di stimati stilisti italiani conosciuti presumibilmente solo qui a negozi e ristoranti con nomi italiani. L’ Italia è sempre una delle nazioni più amate in giro per il mondo. Sulla falsariga di Astana, capitale del Kazakhstan, a Grozny un’ architettura in stile sovietico si mescola a costruzioni esuberanti, alcune anche al limite del kitsch, ma con l’ aggiunta di residenze private dal chiaro influsso mediorientale con alti muri che nascondono la vista di case e giardini e cancelli d’ accesso alle proprietà lavorati e decorati e dalla simbologia che tradisce provenienza, agiatezza o classe sociale dei proprietari. Una visuale completa della capitale si ha dalla terrazza aperta al pubblico su uno dei cinque grattacieli che la sovrastano ma dalla quale non possono scattarsi fotografie in direzione del Palazzo Presidenziale e di tutto il suo enorme complesso di giardini e costruzioni che ne completano il sito. Un orizzonte chiuso dalle alte montagne che si stagliano a sud. E dove ci rechiamo in escursione. Siamo curiosi di visitarle sia dal punto di vista naturalistico, sia da quello più strettamente sociale. Le cronache dei sempre bene informati raccontano di montagne selvagge abitate da estremisti dalle lunghe barbe che, alla stregua delle leggende sui briganti nel Regno delle Due Sicilie nell’800, rendono temibile il passaggio in quelle zone e covano la recrudescenza della tragica guerra che ha sconvolto la Cecenia fino a pochi anni fa.
Ci saranno magari molti elementi che confermerebbero queste tesi, come quella registrata durante il viaggio precedente, secondo la quale la violenza cova ancora sotto le ceneri e potrebbe riaccendersi in maniera efferata da un momento all’ altro ma, relativamente alla nostra esperienza, nessun elemento degno di nota in questo senso si fa notare. Anche se proprio il 23 marzo, anniversario della Costituzione cecena e giorno d’ inizio del nostro nuovo viaggio, si registra in una località della Repubblica un assalto ad una caserma della polizia con gli attentatori che poi verranno uccisi. Ci vengono mostrate le immagini dell’ azione ma non veniamo edotti sulle motivazioni dell’ assalto. Delinquenza o fondamentalismo?
Di certo è che sia Grozny, sia i villaggi, sia le clamorose bellezze naturali ìnsite nelle alture del massiccio montuoso di pertinenza della Cecenia, su per il quale ci inoltriamo tra neve e fango, corsi d’ acqua e cascate, antiche torri e piccoli villaggi agricoli, qualche moschea e valli incontaminate, presentano un capillare controllo del territorio da parte delle forze speciali dell’ esercito. Una presenza che durante il precedente viaggio si era notata poco, forse perché più discreta o forse a causa del breve tempo a disposizione avuto. Enormi militari addestrati per ogni situazione ed equipaggiati di tutto punto, come se stessero al fronte e per di più conducendo una operazione speciale, possono vedersi in vari angoli della città e ad isolati check point nelle montagne. La famosa cenere che copre la violenza?
Può darsi, ma di sicuro l’ unica sensazione che non si avverte è la paura. Il rapporto con la gente è cordiale e di grande premura ed ospitalità ma anche i militari stessi, nelle sperdute montagne, sembrano non esser attratti dal nostro esser stranieri come, invece, è accaduto decine di altre volte da Vyborg in giù e da Brest verso est.
In diversi posti si è avuto a che fare con l’ esercito: in Kosovo, in Palestina, nel Caucaso stesso ma, soffermandoci a pensare neanche più di tanto, qui in città a Grozny siamo alla stregua di una qualsiasi nostra grande città italiana dove l’ operazione “strade sicure” imperversa.
Ed anche l’ elemento che da lontano, ai più, può sembrare dominante in Cecenia, la religione, non è poi presente in maniera così decisa. Anche nei villaggi composti da una manciata di case ed un piccolo cimitero dislocati nelle sterrate ed impervie “famigerate ribelli” montagne, si notano piccole moschee, alcune più moderne, che ti ricordano si di trovarti in una Repubblica musulmana ma non ti danno mai l’ impressione di esser poi così diverse dalla chiese e dalle cappelle che ogni cittadina annovera nei paesi di tradizione cristiana. In Uzbekistan per utilizzare un termine di paragone grosso modo appropriato, la morale religiosa musulmana è molto più asfissiante.
Non mancano, comunque, neanche qui i collegamenti con altri ben più famosi stati musulmani, anche solo ricordando gli studi di Kadyrov padre, il primo presidente della “nuova Cecenia, svolti nelle madrasse dell’ Uzbekistan stesso ed i vari viaggi da lui effettuati in Arabia Saudita, Regno che campeggia anche in alcuni cartelloni pubblicitari che sponsorizzano viaggi verso la penisola arabica. Non manca neanche qualche rubinetto finanziario aperto con questi paesi, come quello per la costruzione di un imponente nuovo hotel di alto sfarzo che sta sorgendo nei pressi della strada intitolata ad una grande icona musulmana dello sport, Muhammad Alì, contiguo allo stadio principale, l’ Ahmat Arena, con bigliettoni che provengono direttamente dal Golfo Persico.
E non mancano, infine, viaggiatori e collaborazioni con stati religiosamente fratelli come la lontana Indonesia, per citarne uno.
La presenza principale che si avverte sin dal momento in cui si oltrepassa la frontiera , entrando in Cecenia, è quella del “Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, per restare nella terminologia in slang giovanile antigovernativa. Le effigi soprattutto di Kadyrov padre e di Kadyrov figlio ma anche quella del Presidente Putin sono evidenti quasi ovunque come già registrato nel corso del primo viaggio in zona. Questa volta crediamo di avere anche la fortuna involontaria di testare gli apparati di sicurezza locali nel corso di una chilometrica camminata notturna attorno il perimetro della tenuta presidenziale. Un elegante quartiere di singole villette con giardini privati e strade chiuse al traffico a motore, check point ad ogni incrocio ed illuminazione soffusa. Nella penombra il gracchiare delle ricetrasmittenti del poliziotto che sovrintende ogni posto di blocco composto da cavalli di frisia e transenne, nascosto al buio della sua guardiola, sembra avvertire del nostro passaggio. Ed il Mercedes scuro che ci sgasa di fianco un paio di volte ci illude di essersi messo in moto per seguire da vicino la nostra marcia. Ma tutto ciò forse è solo un’ illusione collettiva e la nostra passeggiata, in realtà, non ha raccolto l’ interesse di nessuno. Non lo sapremo mai.
Il nostro peregrinare per la città di Grozny ci regala un’ altra lunga passeggiata nel “mikroraion arancione” un quartiere periferico dove tutti i vecchi condomini, restaurati dopo la guerra, sono stati risistemati esteriormente con un vivo colore arancione. Il motivo non cì è chiaro, forse, considerando il fatto che poi il vialone raggiunge lo stadio, un omaggio al glorioso ex calciatore oriundo olandese Gullit che allenò la squadra di calcio del Terek, durante gli anni ruggenti di rilancio della città tramite il calcio.
Notiamo, in un’ altra zona periferica della capitale, l’ enorme caserma dell’ FSB, che fa da base in questa parte di Caucaso da poco uscita da una guerra distruttiva. I suoi uomini sono utilizzati oltre che per le attività di intelligence vere e proprie anche in reparti speciali che controllano frontiere e territorio.
Visitiamo la stazione ferroviaria, utilizzata oramai per pochissimi collegamenti considerato che la vecchia linea è interrotta in Inguscezia e teatro durante la presunta fine della prima guerra cecena di un feroce bombardamento avverso alle milizie dell’ esercito russo che stavano per imbarcarsi sui treni di ritorno in direzione Mosca. Da quel momento impararono la lezione ed i battaglioni furono divisi in piccoli squadroni meno inquadrabili e quindi meno soggetti ad attacchi come quello subito.
Ci inoltriamo ancora più in là per le strade sterrate e ci soffermiamo su, probabilmente, gli unici segni visibili della guerra rimasti in città: due costruzioni dirimpettaie, due vecchie fabbriche, una del tempo sovietico, l’ altra di epoca precedente che mostrano i segni delle granate, dei bombardamenti e del crivellare dell’ artiglieria.
Anche a Belgrado, lasciarono due edifici ad imperitura memoria del bombardamento subito durante la loro guerra*. Li lasciarono appositamente ed in pieno centro città. Qui a Grozny, invece, questi due edifici si trovano nell’ estrema periferia e non per memoria storica.
La guerra è stata completamente cancellata dalla topografia della città.
Resta solo nella vita vissuta del popolo, gran parte del quale è andato all’ estero da immigrato o da profugo, e che, a detta di qualcuno, innamorandosi così dell’ “occidente” sogna una Cecenia simile.
Una Cecenia, però, a parer nostro, che perderebbe in questo modo la sua identità. Di uno degli ultimi luoghi, ai confini dell’ Europa geografica, che regalano emozioni una volta in loco e nostalgia ogni qual volta si ritorna a casa.

* = Anche questi palazzi, però ora, sono in via di abbattimento per esser sostituiti da nuove costruzioni. Visibile segno del cambiamento dei tempi.

LUCA PINGITORE

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