“Mi scusi, ma… Pyongyang dove si trova?”, l’ addetto dell’ aeroporto italiano di partenza cerca timidamente di capire qualcosa sulla mia destinazione. Ha più di un dubbio sul mio viaggio dopo che al check in per Pechino mi sono presentato con esclusivamente un bagaglio a mano. Per di più non ho un visto cinese ed ora salta fuori questa destinazione finale quasi impronunciabile. Gli addetti devono quindi informarsi meglio, confabulano, telefonano e dopo dieci minuti mi viene concesso il permesso di salire a bordo dell’ aereo. Non prima di aver loro scattato una foto-ricordo della mia ricevuta del biglietto per Pyongyang; quando gli ricapita più di vederne un’ altra?
A Pechino e’ arrivato il momento di imbarcarsi sull’ aeromobile della mitica aviolinea di stato della Corea Del Nord: la Air Koryo, compagnia nella black list dell’ Unione Europea e non solo. Il finger, il passaggio che dall’ aeroporto conduce fin dentro l’ aereo, è il tunnel temporale che ti porta in un altro mondo. Realizzi che stai viaggiando per uno degli ultimi posti “originali” sul pianeta. Il viaggio nella Repubblica Democratica Popolare di Corea inizia a tutti gli effetti nel momento in cui si sale sul vettore. L’odore degli anni ’70 emanato dalla rossa e consumata tappezzeria dei sedili ti avvolge all’ istante e l’ emozione di essere a bordo inizia a farsi sentire. E sale sempre più quando ti vengono distribuiti dei quotidiani di informazione, in lingua coreana ed inglese, e delle riviste che reclamizzano le eccellenze della Corea oltre al magazine ufficiale della compagnia di bandiera. Questi ultimi però devi poi restituirli prima di abbandonare l’ aereo e non vale fare il finto tonto imboscandoteli prontamente nel bagaglio. Le hostess si ricordano di averti prestato i giornali.
L’ aereo, forse a causa della suggestione del momento, sembra tremare, rallentare, accelerare poi di colpo. Ma le bellissime, elegantissime e sorridenti hostess di bordo distraggono i tuoi pensieri e ti concentri sul celebre hamburger del vettore aereo che ti viene servito come spuntino. Lo gusti, lo assaggi, lo assapori anche solo per il piacere dell’ “esclusiva”, per avere il privilegio di poter ingurgitare l’ hamburger dell’ Air Koryo, il panino più desiderato in alcuni ambienti di viaggiatori. L’ hamburger, un pò secco, in realtà non è poi così male. I monitor di bordo, a seconda del viaggio, trasmettono concerti di musica pop / folk coreana o reclamizzano luoghi meno conosciuti della parte nord della penisola asiatica. Sull’ aeromobile tutti turisti stranieri e qualche coreano che riconosci dalla fisionomia ma anche dalla spilla che adorna il loro petto: l’ effigie solitaria di Kim Il Sung oppure in compagnia di Kim Jong Il , rispettivamente nonno e padre dell’ attuale guida il Maresciallo Kim Jong Un, a seconda del livello di cui si fa parte. La due tipologie di spille le portano solo i coreani e pochissimi stranieri insigniti per motivi politici o di onorificenza.
Si atterra nel nuovissimo terminal dell’ aeroporto della capitale. Un aerodromo che accoglie al massimo un paio di voli al giorno ma si distingue per modernità ed efficienza. I presunti temuti controlli si risolvono velocemente, anche perché sono molto meno ferrei della Cina appena lasciata o di altri paesi del globo. Compili la carta d’immigrazione di sovietica tradizione direttamente sul volo, la riconsegni al controllo passaporti, passi con i bagagli sotto il metal detector come in qualsiasi altro aeroporto o luogo strategico e se risulta qualcosa di strano scatta una normale ispezione. Molto interesse è dato alle batterie elettroniche e ad eventuali pubblicazioni, libri e giornali, che destano sospetto per i miliziani, quali autori americani o divulgazioni politiche. Il quotidiano italiano “La Repubblica”, sarà per via del nome “sospetto”, non passa e viene sequestrato. In men che non si dica e senza l’ asprezza della dogana cinese si entra ufficialmente in DPRK. L’ istinto da viaggiatore ti spinge ad uscire all’ aria aperta e di respirare la prima brezza di Pyongyang ma sai che devi attendere lo staff di accompagnatori che ti è stato affidato d’ ufficio al momento della conferma del viaggio e per questo educatamente aspetti o sei direttamente tu stesso che ti fai avanti a cercare, tra i vari presenti nell’ atrio, il duo che ti è stato assegnato. Una guida, un interprete, un autista e con sorpresa, anche un cameraman saranno i nostri accompagnatori. Il cameraman girerà una sorta di documentario sul nostro viaggio e poi, alla fine, ce lo proporrà in vendita a prezzi osceni. La supposizione iniziale sarà poi confermata l’ ultima sera, alla richiesta d’ acquisto. Percorriamo con il nostro pullman privato la strada che conduce dall’ aeroporto in città. C’è gente che passeggia e gente in bicicletta ai lati delle strade ma tutto sembra finto, sembrano decine di attori che si muovono in piene stile “villaggio Potemkin” (per restare in ambito della tradizione russa) o da scena di “The Truman Show” se si preferisce. In realtà è tutto vero ma manca qualcosa. Te ne accorgi poi con il passare dei minuti o delle ore. Tutto sembra strano non perché sia realmente finto ma perché non c’è traffico di mezzi di locomozione, non esistono cartelloni pubblicitari, le insegne di negozi o ristoranti si contano quasi e quelle poche, essendo scritte in coreano, risultano all’ occhio occidentale quasi dei disegni. Un mondo ideale, tutto ordinato e pulito, poche auto nella capitale, pochissime nelle altre città, rare in autostrada tanto che la gente cammina o addirittura sosta per riposarsi ai sui margini. Il popolo, alla stregua dell’ Albania di Hoxha, si muove principalmente in bicicletta, quasi tutte noleggiate dallo Stato in una sorta di bike sharing popolare, o si muove con velocipedi elettrici, molto diffusi, ma anche con i mezzi pubblici, soprattutto con il filobus dove alle fermate osservi i cittadini in fila ordinata e composta attendere il proprio turno. Ma molta gente cammina a piedi ed alcuni utilizzano i taxi che, in alcune zone del paese, si muovono addirittura, cosa impensabile oggi da noi in “occidente”, ad energia solare. E pannelli per lo sfruttamento della forza del sole se ne vedono a centinaia sui balconi degli enormi condomini dalla tradizione architettonica socialista, qui abbelliti da piante e fiori, ed anche su numerosi lampioni ai lati delle strade. Per questo la notte la città sembra buia e le luci che si distinguono sono fioche. I pannelli solari hanno carica e luminosità più limitata rispetto all’ energia elettrica. E poi, dopo una certa ora, sostanzialmente si va a letto. La giornata comincia presto. Magari con squadre di bande musicali e majorettes che con le loro performances regalano il buongiorno e danno la carica al popolo nei vari quartieri della città. Pyongyang, a differenza di quanto si possa pensare “al di qua del muro” è una città viva e piena di gente, almeno fino al far della sera e soprattutto in estate considerate le alte temperature al limite del proibitivo. Lo noti dal tuo pullman mentre sei condotto nei vari punti da visitare già programmati o durante le brevi passeggiate che le guide ti concedono tra i larghi viali cittadini. Pyongyang non appare più come la capitale grigia e monotona degli anni passati e chi l’ abbia visitata anni fa e ritorni oggi forse non la riconoscerebbe più. Anche per la Corea del Nord, paradossalmente, i tempi cambiano. Interi palazzi e quartieri sono stati buttati giù, come nella Bucarest di Ceausescu, ed in pochi mesi hanno ripreso forma nuove costruzioni, moltissime sempre fedeli alla concezione condominiale socialista, ma dai colori accesi e da un tocco di originalità in più. Non eccentrica come a Dubai o ad Astana ma magari come nella Grozny ricostruita dopo la guerra cecena, per far intendere chi ha visitato questi posti. Anche la presenza di Kim Il Sung “il Nonno” e di Kim Jong Il il “Padre”non è cosi ingombrante come in altri stati. Sempre per restare al paragone con Grozny, i ritratti di Kadirov “Padre” e l’ attuale presidente Kadirov “Figlio” sono quasi ovunque come d’altronde sono numerosi i luoghi pubblici a loro intitolati. In Corea del Nord non è proprio così. Ritratti del Nonno e del Padre se ne vedono diversi in giro come si ammirano, dal punto di vista artistico, i mosaici che ritraggono a volte l’ uno a volte entrambi in qualche scena popolare e non mancano neanche le statue ma non risulta tutto così pressante. Almeno per chi è abituato a viaggiare in determinati posti. Certo la propaganda non manca e si avverte nei vari poster che richiamano il popolo alla forza del lavoro, ad operare per il futuro glorioso, al sentimento patriottico ma, modellati in un vero e proprio istituto artistico, risultano come opere d’ arte all’ aperto. Arte socialista, ovvio. Nelle campagne, invece, si fanno notare delle bandiere rosse e degli striscioni con scritte in coreano naturalmente. Simboli e slogan che esaltano contadini e lavoratori a produrre e ad andare tutti insieme verso la preminenza. La propaganda si avverte in maniera più cospicua nei racconti con i quali vieni edotto dalle guide sulla storia della Corea. Il respingimento dell’ invasore giapponese, la nascita dello stato coreano, la successiva guerra con gli USA intrapresa sotto l’ egida dell’ ONU. Tutto vero ma nella versione coreana della storia è del tutto assente il cospicuo e decisivo aiuto dell’ Urss dei tempi. Un pò in contraddizione con i reperti e le ricostruzioni di situazioni, operazioni e battaglie che comunque sono visibili nei sfarzosi, moderni ed esaurienti musei della storia e della guerra nei quali sei accompagnato. La Corea del Nord è una Repubblica Popolare, del popolo appunto ed è proprio il popolo tramite la “saggia guida e le preziosi indicazioni sul campo” del “Presidente Eterno” Kim Il Sung è uscito dalle situazioni drammatiche che negli anni hanno coinvolto il paese e lo stanno portando verso la modernità. Modernità che comunque in molti aspetti è innegabile non vederla, anche in dettagli minimi come i ponti per gli attraversamenti pedonali che ti permettono di camminare sopra gli incroci a volte anche tramite serie di intersezioni combinate tra di loro o i nuovi vagoni della metro, le cui stazioni sono adornate con mosaici e sculture che la rendono molto simile a quella di Mosca. Il culto della personalità dei due defunti leader si sublima nella visita al Palazzo del Sole di Kumsusan una sorta di Reggia di Caserta, di Versailles, di Schönbrunn, in versione orientale. Negli ultimi tempi l’ accesso all’ interno del palazzo pare fosse interdetto ai visitatori italiani o comunque non sempre il permesso gli era concesso. Troppo indisciplinati secondo i rigidi schemi coreani di tradizione culturale orientale, caratteristico dal Giappone alla Cina fino alle Coree appunto. Dopo tempo, quindi, ci viene concesso il privilegio di poter visitare il palazzo ma soprattutto l’ onore di poter rendere omaggio alle salme imbalsamate del “Presidente Eterno” ed del “Caro Leader”. Percorrere l’ interno del palazzo ed ossequiare i due ex capi di stato è l’ essenza del viaggio in Corea del Nord. Osservare le rigorose procedure di comportamento; i controlli serrati in ingresso in base ai quali puoi portare con te praticamente solo i vestiti che indossi, eleganti secondo il protocollo; camminare in fila per cinque, per due, per uno a seconda delle situazioni; il silenzio o il parlare con toni molto bassi; transitare sotto le alte e veritiere riproduzioni in cera di padre e figlio; visitare le sale espositive con le auto, i vagoni ferroviari, la nave che utilizzarono i due leader nel corso della loro esistenza; imbattersi fortunosamente nel cambio delle guardie interne; sentirsi addosso l’ atmosfera ovattata e solenne del luogo e del momento; passare attraverso le “gallerie del vento” per purificarsi prima di accedere alle rispettive sale che accolgono le due salme; inchinarsi davanti ad esse su tre lati ma mai su quello posteriore; provare l’ emozione di “guidare” la fila in un momento aulico di tal genere riuscendo a non sbagliare una mossa e a non farla sbagliare a chi ti segue (dato il luogo e l’ ufficialità della situazione anche un dettaglio minore come questo ti carica di responsabilità e di soddisfazione); notare i cittadini coreani sinceramente commossi davanti ai loro “Padri”. Questo è il viaggio in Corea del Nord. Come lo è l’ esser sempre accompagnato ed incanalato nel programma prestabilito, salvo modifiche imposte da situazioni contingenti del momento, ma che comunque ne sei a conoscenza già prima di partire. Per chi non è abituato a farsi trasportare durante un viaggio la situazione può risultare pesante e noiosa dopo un po’ di tempo ma molto dipende anche da come affronti il viaggio, dalla compagnia che ti ritrovi e dal carattere delle guide. Molte di esse sono disponibili ed alla mano ma quando per loro è no è no. Si scherza ma non si discute. Ma non dipende neanche da loro. Dipende dall’ impostazione governativa che gestisce il turismo e la politica locale ma dipende anche da una estrema rigidità mentale del popolo e di conseguenza di funzionari e guide. D’ altronde è terminologia diffusa, da noi, il “viaggiare alla giapponese”: orari prestabiliti in maniera fitta, soste fotografiche e ripartenze, muoversi ordinatamente. In Corea del Nord questa impostazione culturale è sviluppata in maniera più rigorosa. Ma neanche tanto se poi hai la fortuna di trovarti delle guide più “moderne”. Come già detto, i tempi cambiano anche per la Corea del Nord ed allora non ti viene più ritirato il telefonino all’ ingresso; non c’è internet ma un intranet interno e numerosi coreani sono spesso on line, anche con tablet, quasi come nel resto del mondo avendo i loro siti, le loro chat, la loro wikipedia, anche se magari ogni tanto spunta l’ errore [la mappa dell’ Italia dava Castrovillari come uno dei capoluoghi di provincia della Calabria mentre Cosenza, vero centro amministrativo, non era neanche segnato. Da cosentino ho inoltrato tramite le guide formale richiesta di rettifica]; la presenza militare per strada è quasi inesistente (stando almeno all’ esperienza vissuta) ed anche i controlli per strada sono pochi, giusto in entrata ed in uscita dalla città come da tradizione sovietica e si nota appunto la differenza con alcune aree della Russia dove la presenza è per certi versi asfissiante. Ma sei turista ed accompagnato per questo non sei soggetto a controlli e non esistono quindi neanche problemi di sicurezza, tanto da poter lasciare soldi ed apparati fotografici anche incustoditi, “perché da voi c’è il capitalismo, da noi il socialismo”. La voglia di “evadere” e pascolare libero alla scoperta di angoli caratteristici o parecchio interessanti, di scattare foto nei vicoli dei villaggi, di godersi una sosta nelle immense e verdi risaie, di parlare con la gente, prende spesso il sopravvento ma devi fartene una ragione e goderti comunque la possibilità che hai di trovarti in Corea Del Nord. La sera, terminato il programma giornaliero, la trascorri in hotel di lusso, anche essi comunque di retaggio sovietico, bevendoti una discreta birra coreana nel ristorante rotante e panoramico del quarantesimo piano e più o giocando a bowling, a ping pong, a biliardo o a goderti il meritato riposo dopo una giornata piena. Magari intavoli una conversazione con gli altri gruppi di turisti, in quanto cambia l’ ordine del programma e qualche parte dell’ itinerario ma praticamente comitive diverse si incrociano sempre l’ un l’ altra, e forse hai anche l’ opportunità di scambiare alcune battute con qualche coreano che per motivi professionali frequenta gli alberghi. Come, parlanti tutti inglese, può accadere con le sempre sorridenti e gentili cameriere dei ristoranti, le guide dei musei, altri addetti al turismo. Il popolo vero e proprio è poco comunicativo con lo straniero, sarà la non conoscenza della lingua, la diffidenza, l’ esser tu quello strano per loro, le comunicazioni sono molto ridotte. C’ è chi attribuisce questo comportamento a severi ordini impartiti dal governo centrale, magari anche, ma in Corea del Nord bisogna sempre inglobare nelle motivazioni di presunte stranezze comportamentali la mentalità locale e la schematicità alla quale sono abituati da decenni. A volte anche fare un semplice cambio di posto ( la cui scelta è comunque sempre libera ) al tavolo della colazione può mandare in confusione la simpatica cameriera orientale. Orientale appunto come i giapponesi, i cinesi, i nativi asiatici di Hong Kong. Ma bisogna pensare anche alla chiusura mentale di questo popolo che praticamente dagli anni ’50 non conosce quasi per niente realtà alternative. La DPRK è il mondo e non puoi sentire la mancanza, almeno negli strati bassi della scala sociale, di cose, situazioni, emozioni che non hai mai provato e delle quali magari non sei neanche a conoscenza. Probabilmente, per alcuni fattori che nel resto del mondo risultano poi sfuggiti di mano, forse hanno anche un minimo di fortuna.
La Corea del Nord, non è comunque solo la capitale ma è anche il mare, le montagne, le campagne, la diga di 8 chilometri che separa il mare dal mare, i templi buddisti con i suoi monaci, le antiche tombe patrimonio UNESCO delle dinastie storiche. Ma è anche la visita turistica alla frontiera con la parte Sud del paese. Un pò contraddittorio per una frontiera e per una delle frontiere più calde al mondo esser meta per turisti, oggetto di fotografie quasi più che in altre zone del paese, ed avere la possibilità di toccare la linea di demarcazione (questo in realtà può avvenire dal lato sud). La cosiddetta zona demilitarizzata, dove si firmarono nel 1953 gli atti per un armistizio mai tramutato in pace o nella fine delle ostilità (le baracche dove avvennero i colloqui e furono apposte le firme sono visitabili appunto dalla parte nord), con gli accessi turistici da Nord e da Sud regolamentati a giorni alterni ed essendo l’ unico punto nel nord del paese nel quale puoi captare un segnale internet e tornare, per chi ne sentisse la necessità, collegato al mondo, e’ un altro punto importante del viaggio. Anche se in realtà la vera frontiera e la vera situazione critica è possibile notarla altrove rispetto alla zona demilitarizzata e non sempre è compresa dagli itinerari dei tour organizzati. E pensare che per i coreani del nord, la Corea del Sud ufficialmente non esiste evincendo ciò da mappe e rappresentazioni in giro che ritraggono sempre un’ unica Corea unita.
E non tutte le relazioni con la parte sud sono tagliate, prova ne è la presenza durante la nostra visita di alcune delegazioni di squadre di calcio giovanili. A Pyongyang per un torneo internazionale con partecipanti anche da Russia, Bielorussia e Kazakhstan, con tanto di scorta sono stati accompagnati e fatti passare direttamente attraverso la frontiera. Questi ragazzini si porteranno sempre nel loro bagaglio di vita l’ esser stati protagonisti di un evento storico, quello di aver transitato attraverso la frontiera delle due Coree.
E’ palese che con un semplice viaggio da turista non puoi comprendere appieno le dinamiche e conoscere realmente la portata di alcune situazioni. Qualsiasi posto va frequentato almeno un po’ per capirlo e per la Corea del Nord forse ciò non basterebbe appieno. Certo che è un viaggio che va compreso ed affrontato in maniera preparata. Non è questione di essere d’ accordo o meno con alcune situazioni politiche ma è questione di interesse e di apertura mentale. Molte cose possono sembrare strane, altre già viste ma estremizzate, altre ancora davvero interessanti ed innovative. Per il resto è l’ emozione di trascorrere alcuni giorni in un luogo differente da tutti gli altri. Forse anacronistico o forse no.
LUCA PINGITORE
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