Il vecchio pullman arresta la sua marcia, un rapido controllo dei passaporti, un timbro rosso sull’ ultima pagina e ci imbarchiamo sul traghetto. Un viaggio emozionale di circa 30 minuti, i gabbiani accompagnano il percorso della motonave, ci lasciamo alle nostre spalle una bandiera a due colori e ci dirigiamo verso una bandiera a tre colori. Attracchiamo, un altro controllo passaporti, un altro timbro, accanto ad un visto questa volta, e proseguiamo all’ interno di un altro stato.
Alla stregua del guado dello Stretto di Messina, siamo passati dall’ Ucraìna alla Russia, da uno stato verso un altro lasciandoci la Crimea alle spalle.
Sono passati sette anni da quell’ attraversamento dello Stretto di Kerc’. Da allora le cose sono cambiate.
Il vecchio pullman arresta la sua marcia in un grande parcheggio a Port Krym, il controllo passaporti è sostituito da un controllo di sicurezza in stile aeroporto per poter poi accedere al traghetto, vari punti ristoro e persino un piccolo hotel riempiono gli spazi che una volta servivano da dogana, i numerosi torpedoni carichi di turisti russi di rientro dalle vacanze estive si incolonnano in attesa dell’ imbarco, la gente staziona fuori da essi per concedersi un po di brezza della sera. Due pullman attirano la nostra attenzione, li osserviamo meglio. Ci troviamo di fronte ad un particolare di per se storico per noi italiani, o “europei” come ci chiamano da queste parti: i due pullman sono carichi di turisti provenienti da Lugansk, dalla Repubblica Popolare di Lugansk, uno stato che sette anni fa non esisteva. Ma come detto, da allora le cose sono cambiate. La Crimea non è più una Repubblica Autonoma dell’ Ucraìna ma è diventata parte integrante della Federazione Russa. Lugansk non è più una città dell’ Ucraìna ma un territorio che ha intrapreso la strada di Repubblica indipendente. C’è lo stato di guerra a Lugansk. Ma la popolazione si è abituata a convivere in questa situazione e chi può permettersi una vacanza si è concesso qualche giorno al mare in Crimea a giudicare dai pullman in coda agli imbarchi. Come se per il popolo di Lugansk non fosse cambiato niente. Sette anni fa magari gli stessi passeggeri dei bus si recavano al mare in Crimea attraversando le strade di un unico paese. Non hanno perso le loro abitudini neanche ora che fanno parte di due stati differenti ed a separarli ce n’e un terzo che altro non trattasi che del loro vecchio stato d’ appartenenza. Ma questa volta devono affrontare un viaggio più lungo, aggirando l’ Ucraìna stessa.
Una forte emozione imbattersi in turisti di Lugansk. Come è forte l’ emozione di imbarcarsi a distanza di sette anni sul battello per Port Kavkaz e non trovare più nessuna frontiera a sbarrarti il passo. Ora siamo in Russia alla partenza e siamo in Russia anche all’ arrivo. Per circa 30 minuti fluttuiamo sulle onde provocate dai motori della turbonave e ci godiamo la calda aria marina sotto un cielo stellato. Nel buio della notte crimeana volgiamo lo sguardo alla ricerca dei cantieri del ponte che presto collegherà i due estremi dello Stretto. Passeranno meno di sette anni ma anche la nostra prossima volta le cose, qui, saranno cambiate. Il battello potrebbe diventare anch’ esso un romantico ricordo. Come il timbro rosso sull’ ultima pagina del passaporto dell’ epoca che registrava l’ uscita da un paese prima dell’ ingresso in un altro. Giungevamo da Kiev, quella volta, diretti a Simferopol, la capitale della Crimea. Il vecchio aeroporto ci accolse facendoci attraversare la pista d’ atterraggio a piedi verso l’ uscita che portava direttamente sul piazzale, senza dover per forza passare all’ interno della costruzione di sovietica memoria.
Il vetusto ed arrugginito nastro bagagli, più simile ad un vecchio cingolato di carro armato che ad un vero e proprio portabagagli era ubicato all’ aperto. Orde di tassisti ci assalirono per accaparrarsi la nostra proficua, per loro, corsa.
Questa volta invece giungiamo a Simferopol attraverso l’ unica via aerea percorribile, quella proveniente da Mosca.
Il vecchio aeroporto che ci accolse anni fa è relegato a ruolo da comprimario, quasi da museo.
Ora una moderna e funzionale costruzione lo sostituisce nei servizi aeroportuali.
Il primo segnale che avvertiamo della nuova era russa della Crimea.
La tratta di trolley bus più lunga del mondo, invece, resiste. Circa 2 ore e mezza di marcia da Simferopol a Jalta salendo verso il passo di Angarskij e ridiscendendo poi verso Alushta ed il mar Nero. E’ il mezzo più lento ma quello più caratteristico per raggiungere il mare dalla capitale o viceversa.
Nonostante sia fine agosto e la data del 1 settembre che da inizio all’ anno scolastico in Russia è alle porte, non mancano i turisti sull’ intera costa crimeana. D’ altronde a livello meteorologico è ancora piena estate con i 35° gradi e passa che surriscaldano le giornate di questa penisola, luogo di vacanza d’ elite sin dai tempi dell’ Unione Sovietica. Tant’ è che molti, da Krusciov a Gorbaciov, passando per altri illustri della nomenklatura erano possidenti una dacia da queste parti. Ed una nuova era turistica è iniziata ora per la Crimea. Il popolo russo medio, attaccato dalle sanzioni economiche, frenato dalla mirata svalutazione del rublo, chiuso dagli incidenti diplomatici con Egitto e Turchia, esaltato dal forte spirito patriottico, spinto dall’ indole del non doversi inginocchiarsi mai, consapevole delle bellezze dell’ immensa Madrepatria, ha scelto quasi in massa di riversarsi sulle coste del mar Nero, dalla Crimea fin giù all’ Abkhazia. Non solo turisti russi, provenienti addirittura dalla Kamchatka, un altro continente, ma anche uzbeki, bielorussi e da tutte le altre repubbliche ex sovietiche. Anche dall’ Ucraìna stessa. Solo gli “europei” mancano. Inculcati da una forte propaganda denigratoria atta a sovvertire l’ ordine della realtà. Eravamo in Crimea sette anni fa e siamo in Crimea ora. Molto o poco è cambiato. A seconda da quale ambito si guardi la situazione.
Come quello della minoranza Tatara. Trattato da minoranza sotto l’ Ucraìna e trattato da minoranza adesso.
Con l’ unica differenza che molti di loro prima vivevano spesso senza regole precise occupando terreni senza concessioni, aprendo attività commerciali senza licenze o con permessi irregolari e, secondo le voci che registriamo, è proprio questo il reale motivo per il quale ogni tanto montano qualche protesta, essendo essi restii a mettersi in linea con le nuove direttive che giungono da Mosca.
Ma anche l’ ambito economico non è così depresso come viene dipinto. Molti “europei”, in barba alle sanzioni, iniziano ad investire nella penisola nel settore immobiliare e ricettivo soprattutto in ambito turistico. La Crimea, passando dall’ Ucraìna alla Russia, è diventata una nuova “terra di profitto” e ben presto anche gli ultimi retaggi dell’ era precedente, come le poche mense della catena “Smak” o le poche pizzerie “Celentano”, dell’ omonima catena, rimaste intatte al “cambio della guardia”, abbasseranno le saracinesche o comunque convivranno insieme ai nuovi e moderni resort che stanno iniziando a sorgere e volti ad attrarre non solo il popolo russo medio ma oramai anche quello di livello più elevato. Che già comunque non manca, vedendolo frequentare alcuni costosissimi bar e discoteche di Jalta e dell’ intera costa o a giudicare dalle numerose auto di lusso che sfrecciano per le strade di Jalta e Sevastopol, la città dalla quale partì l’ offensiva che liberò la Crimea dai nazisti e dove risiede la flotta della marina russa che riusciamo a visitare.
Per la strade della penisola ci imbattiamo in numerose targhe automobilistiche ucràine di cittadini che, per vari motivi, non hanno cambiato la stessa con quella russa. A parte noi nessuno sembra notare questi ed altri dettagli che a noi, solo sfiorati dalla propaganda denigratoria, appaiono degni di nota. Stupirci di cosa? Di una targa ucraìna appartente magari ad un auto di un russo? In Crimea non siamo nel Donbass. Qui i venti di guerra non ci sono e non avvertiamo neanche i segni della presunta “occupazione russa della penisola”. Uno stato “occupato” o con tensioni sociali e militari non presenta l’ atmosfera semplice ma pacata della Crimea. I carri armati, le armi, le proteste o magari solo la pressione dei governi l’ abbiamo visti viaggiando in Kosovo, in Palestina, ad Istanbul, in Israele, a Kiev e nell’ Ucraìna occidentale durante il cosiddetto “Maidan”, solo per citare alcuni luoghi. Ma non qui in Crimea, una Repubblica che è passata a far parte di un altro stato senza incidenti di sorta. Anche i “soli” 3 giorni di battaglia che portarono la Slovenja a staccarsi dalla Jugoslavija sono un’ esperienza che per la Crimea appare alla stregua di una lunga guerra.
La maggioranza del popolo crimeano è di etnia russa, sotto l’ Ucraìna, seppur come Repubblica Autonoma, l’ economia non era su livelli elevati e come a Kiev o ad Ivano – Frankivsk o come in numerosi altri paesi del mondo anelavano ad introiti maggiori. Per quasi tutti il passaggio, che per moltissimi è trattatosi di un ritorno, alla Russia è stato visto come una opportunità, una seconda chances. Per molti non è cambiato niente e magari appartenere giuridicamente all’ Ucraìna o alla Russia cambia poco, per moltissimi altri è cambiato tanto. Anche solo il fatto di sentirsi a casa.
Eclatanti segnali di giubilo verso la Federazione Russa come la messa in mostra di bandiere, nastrini e poster un po ovunque magari sono meno evidenti, a differenza di quanto notato in altre zone della Russia stessa.
Ma la risposta che ci viene data è sempre la stessa: “Seichas lutchshe”, “Ora è meglio”.
LUCA PINGITORE
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