La mattina seguente, ci svegliamo con discreta calma, illuminati da un radioso sole. Ci accomiatiamo dalla gentile cammarera, nostro pigmalione in Sudak, in quanto si è dimostrata con noi molto accorta e prodiga di consigli e risaliamo, prima a piedi, poi con un taxi, verso l’autovokzal ubicata leggermente fuori città.
L’autovokzal è un sito di interessante architettura volgare. Non ai livelli delle autostazioni da noi frequentate in Albania ma questa di Sudak si fa comunque notare.
Un enorme via vai di pullman e passeggeri incoccia con la decina di nullafacenti che oziano nel piazzale partenze – arrivi con la scusa di ergersi a tassisti. Vendono i loro servigi ad alta voce, sapendo già che gli avventori dell’autovokzal preferiranno il bus alle loro vecchie Lada o Mockba. Ma almeno loro hanno la coscienza a posto, ci hanno provato. E se il lavoro manca non è certo colpa loro.
I nostri programmi sono molti ma confusi. Sarà così per tutto il prosieguo del viaggio. Mai come questa volta decideremo tutto al momento. Riusciamo comunque ad accaparrarci tre biglietti per Feodosija, la città che sorge alla strozzatura geografica della penisola di Crimea. Il breve viaggio verso l’antica Theodosia greca ci regala splendide visuali del territorio e del mare: acque azzurre, sconfinate coltivazioni di viti, verdi montagne, fitti boschi.
Come la Bosnia, la Crimea meriterebbe una visita calma e dettagliata da affrontare in auto, liberi da orari e tabelle di marcia.
Giungiamo a Feodosija, l’antica Theodosia greca, l’antica Caffa genovese. Anche Foedosija, come Sudak, subì varie dominazioni come quella dei mercanti genovesi che costruirono in città edifici, magazzini ed anche qui una imponente fortezza. E proprio alla ricerca di questa fortezza che ci lanciamo. La nostra decisione è quella di abbandonare i bagagli al deposito dell’autostazione, visitare la città ed in serata imbarcarci su un bus per Kerc’.
La brezza marina ed il caldo settembrino regalano alla città un’area gioviale. Le vecchie abitazioni dagli intonaci scrostati, un tempo dovevano ospitare famiglie benestanti. I colori sbiaditi e l’architettura particolare di alcune di queste costruzioni sono a volte nascoste dai folti alberi che ornano i viali. La situazione è, in generale, comunque altamente volgare. Molto è lasciato all’incuria ed all’improvvisazione.
Vista così, la città, non offre molto ma l’aria estiva mi regala ancestrali emozioni di luoghi oramai perduti di quanto, in gioventù, frequentavo la provincia calabrese.
Simili emozioni le avvertii nel quartiere Sinnaia a Sankt Peterburg.
Ci inoltriamo nell’enorme mercato cittadino centrale. La volgarità, stuoli di cianfrusaglie, vestiti, frutta, oggetti di vario tipo la fanno da padrone negli stretti vicoli creati tra un bugigattolo e l’altro che fanno da negozietti.
Dopo il cesso usato in un mercato di Budapest anni fa, qui trovo un altro oggetto in vendita che difficilmente dimenticherò: una pistola con tanto di munizioni.
Ritrovata la retta via nel labirinto del mercato affollato, la visita in città prosegue verso il mare e verso la fortezza. Ci inoltriamo nel grande parco che fa da anticamera alla piazza della vokzal, la stazione ferroviaria. Numerose macchinine elettriche sono pronte su uno spiazzo a divertire festanti fanciulli. Come a Baku, come a Tirana.
La classica statua di Lenin, immancabile in ogni città di Russia, Ukraijna, e Bielorussia ci saluta dal suo piedistallo.
La stazione si apre davanti a noi con un colonnato da cui si accede direttamente ai binari. Il mare è giusto dall’altro lato. Come a due passi notiamo il farrugginoso porto cittadino.
Intuiamo che raggiungere la fortezza a piedi, per distanza, caldo ed orario, non è conveniente e fermiamo al volo un tassista che è ben lieto di accompagnarci fino al sito che ci interessa. La fortezza è lì, sotto uno splendido sole, che regala una limpida luce alle acque del mare sottostanti.
In realtà, restiamo un po’ delusi. La fortezza non è conservata come quella di Sudak e sono presenti solo alcuni resti. Come un intero lato di muraglione ed un paio di torrette di avvistamento. Ci inerpichiamo sulla collinetta su cui poggiano questi resti e ci inoltriamo tra i suoi ruderi. Purtroppo l’incuria dei tempi e dell’uomo ha rovinato questi luoghi. Erbacce e rifiuti sono padroni di quel che resta della fortezza. Come alcune abitazioni ed un’officina meccanica sorte su quella che una volta doveva essere una delle più imponenti fortezze del bacino del Mediterraneo.
Visitiamo la piccola seppur antica chiesa armena sottostante la fortezza, diamo un ultimo sguardo al mare e rientriamo all’autovokzal.
Il bus per Kerc’, l’ultimo lembo di Crimea e di Ukraijna allo stesso tempo, ci attende.
La strada per Kerc’ è tutta diritta e senza limiti all’orizzonte. La campagna circostante, piatta e senza elementi degni di nota, alla lunga quasi diventa noiosa. Riusciamo comunque ad arrivare a Kerc’.
Sbalzati in una città di cui non conosciamo quasi niente a riguardo se non un po’ di elementi storici, cerchiamo di orientarci per raggiungere il centro e trovare un’accomodazione adeguata ai nostri fini palati. Secondo una geniale intuizione del sottoscritto, prendiamo un filobus ed attraversiamo quasi l’intera città. Il filobus ci lascia alla stazione dei treni. Non risolviamo niente, in quanto il centro città e da tutt’altra parte. Ne approfittiamo, comunque, per fare una visita veloce alla più estrema stazione ferroviaria dell’Ukraijna.
Le visite delle località non sono mai complete se non si riescono a vedere le stazioni ferroviarie e gli stadi, espressioni della vita di una comunità.
Non ci perdiamo d’animo e saliamo su un altro filobus che, seguendo le indicazioni dei gentili passeggeri, ci lascia praticamente in ploshad lenina, la piazza principale cittadina.
Ci attestiamo nell’unico e piccolo albergo presente in zona. L’albergo si dimostra un covo di bellezze esagerate. A partire dall’esperta maitresse a finire alle dolci e gentili cammarere. Gli ululati di giubilo si sprecano e c’è chi propone di trascorrere l’intero prosieguo del viaggio chiuso nell’albergo a farsi servire da cotanti piccioni.
Stemperata la tensione e ripresici dagli attimi di smarrimento a fatica, con tanto di doccia fredda, ci pettiniamo per recarci senza esitazione alcuna nel bar dell’albergo.
Ma no!
Proviamo a visitare Kerc’ prima. Siamo alloggiati in pieno centro. La piazza intitolata a Lenin si slarga tra il mare, l’antico teatro, ed il corso principale.
Lenin guarda la dirimpettaia Rossija. Dietro di lui un classico giardino fiorito condito dalla fiamma eterna ad imperitura memoria dei caduti a difesa del nazismo. Dalla piazza parte una lunga scalinata che collega la collina sovrastante. Ci inerpichiamo su non senza fatica.
La scalinata è semplice e non ha niente a che vedere con la scalinata più imperiosa della nostra Europa conosciuta: quella di Erevan.
Sulla collina si erge una colonna con alla sommità un stella rossa che di notte si illumina ed è visibile in lontananza. La vista sulla città è interessante e si riescono a scorgere i vari scorci sottostanti. Anche l’ammasso ferroso del porto è in bella vista da lassù. Ci arrampichiamo fino all’antico faro e sostiamo a meditare sulla campagna circostante e sugli scavi archeologici che escono fuori dalla terra sotto un lato della collina.
La temperatura lievemente ventosa è gradevole e la sosta ci ricarica.
Domani sfonderemo in Rossija via mare. L’emozione sale in gola.
Kerc’ è una delle quattordici città eroine dell’Unione Sovietica. Città elevate al rango di eroe, onorificenza accompagnata dalla medaglia della Stella D’Oro. Le città eroine sono dodici dislocate in Rossija, Belarus’ ed Ukraijna, in compagnia della fortezza di Brest in Bielorussia e della città di Ljubljana in Slovenija.
La fame ed il desiderio di scoprire se l’altissimo livello di bellezze concentrato nell’hotel, trovano corrispondenza nel resto della città, ci fanno muovere.
Ci addentriamo nel corso cittadino. Una strada alberata che tanto ci ricorda la strada principale di Banja Luka in Bosnia. Quasi restiamo ingannati dai ricordi.
La strada ad un certo punto diventa sterrata e si perde nei meandri della restante parte di città.
Le bellezze in giro ci sono ma non è la serata ideale da dedicare ai bagordi. Ad una lauta cena però si. Ce la concediamo seduti ai tavoli sistemati all’aperto di un locale del corso. Annaffiamo i nostri shasliki con un ottima Baltika, la birra russa più famosa.
Il prosieguo della serata, lo dedichiamo alla ricerca di altri angoli nascosti di città e magari alla scoperta di qualche locale notturno che ci possa allietare la serata. I locali ci sono e pompano musica accattivante ma sono deludentemente vuoti. In fondo è domenica sera.
Scandagliamo il romantico lungomare da dove notiamo la luminescente stella rossa che dall’alto della collina emana la propria luce.
Chiudiamo la serata nella caffetteria del nostro albergo, forse il locale più frequentato, restando incantati dalle leggiadre cammarere nello svolgere le loro mansioni.
LUCA PINGITORE
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