Un’ affollata marshrutka mi carica all’ esterno dell’ aeroporto di Zhuliany e mi scarica nelle vicinanze della stazione ferroviaria centrale.
Fa caldo. E’ molto più afoso che in Italia.
E’ trascorso qualche anno dalla mia ultima volta qui ma non avrei mai potuto pensare di ritornarci per una occasione ed in un momento storico come questo.
Ho qualche ora di tempo libero prima di accomodarmi dai miei ospiti nell’ estrema periferia cittadina.
Mi ero ripromesso di fare un giro per la città evitando, come primo impatto, la piazza, suo malgrado, più famosa degli ultimi tempi.
Mi incammino e mi inoltro sempre più nel centro cittadino ma non ci riesco, il richiamo e la bramosia di vedere con i miei occhi la realtà reale e non quella filtrata da giornali, televisioni, blog, opinionisti è troppo forte.
Seguo automaticamente la mia stella cometa e viro verso destra. Ed eccomi arrivato nel cuore della Storia attuale. Sono in Maidan Nezalezhnosti, a Kijev.
La prima cosa che più mi colpisce è l’ aura di silenzio che aleggia in piazza nonostante sia comunque affollata. Decine di passanti, curiosi, militanti, qualche turista locale visitano la piazza come fosse un museo, un sito artistico, un memoriale di guerra. E scattano foto, tante, che poi andranno a forbire i loro vari profili su Vkontakte, Facebook, Instagram o sul nuovissimo Weua nato negli scorsi mesi per raccogliere i fuoriusciti ucràini da Vkontakte stesso, accusato di essere un social network di matrice russa e quindi da boicottare in favore di uno nostrano (ucràino).
Le tende degli occupanti la piazza sono ancora qui oramai da diversi mesi trasformando la zona in un accampamento, un castro di romana memoria, un camping per sfaticati, nullafacenti, disoccupati, esaltati di ideologie militaresche, di filosofie nazionaliste, di cultori della violenza e di qualche nostalgico anticomunista.
Mi aggiro anche io per la piazza e la zona circostante: la tendopoli; il palazzo occupato dai militanti di Pravy Sektor,il gruppo più estremista presente in piazza, il Maidan Press Center, fantomatico centro stampa dei rivoltosi; quel che rimane di alcune barricate; copertoni; bandiere rossonere del Pravy Sektor, qualche bandiera ucràina e dell’ Unione Europea; un poster di Bandera, il loro eroe a cui si rifanno; tanti lumini in ricordo delle persone morte ammazzate; tante fotografie di queste persone; il palazzo bruciato; una forte atmosfera rarefatta, di mesta ed irreale quiete che stride in maniera esponenziale con le decine di bancarelle che vendono i souvenirs delle proteste in Maidan.
Ma come? La gente è morta, per una causa giusta o sbagliata, e voi fabbricate e vendete centinaia di magneti ricordo da attaccare ai frigoriferi di casa con le foto degli scontri?
Ed i calendari? Ogni mese una foto con una angolazione differente di quegli scontri.
Raccapricciante. Oltre l’ offesa ai caduti di entrambi gli schieramenti, sminuite la portata delle vostre proteste.
O forse non c’è niente da sminuire, in fondo queste proteste, questa pseudo rivoluzione, questa sommossa come la si voglia chiamare ha proprio nella sua essenza valori discutibili.
Un pò per istinto, un pò per esperienze personali non ripongo molta fiducia su come ci vengono raccontate le notizie che provengono da zone di crisi. Zone che sono terreno di gioco per interessi contrastanti.
Ero in Georgia nel 2008 subito a ridosso della cosiddetta guerra tra il paese caucasico e la Russia. Fui testimone di una situazione molto differente rispetto a quella che ci era stata dipinta. Addirittura mi imbattei in alcune clamorose bufale mediatiche.
Nel 2011, in Uzbekistan, venni a contatto con una fantomatica “scuola americana di lingua inglese e democrazia”. Un classico collettore di interessi d’ oltreoceano che veniva utilizzato come cavallo di Troia per preparare il terreno ad un futuro, eventuale e sperato rovesciamento del Sistema locale.
Arrivarono a minacciarmi pubblicamente.
Ad Istanbul, nel maggio 2013, assistetti all’ inizio delle drammatiche proteste di popolo che si protrassero per mesi e non ancora, forse, concluse. Notai parecchi particolari che poi vennero riportati da noi in maniera distorta.
Ora mi trovo a Kijev, in diretta con la Storia e voglio indagare a modo mio dopo aver già visionato lo scorso mese di gennaio, in pieno “Maidan”, le realtà di città quali Ivano – Frankivsk e L’ viv.
La prima cosa che mi preme fare, nel corso del mio soggiorno in città è quello di parlare con la gente, di conseguenza con tutti quelli con i quali entro in contatto affronto, ovviamente, la questione.
Almeno quelli in cui mi imbatto asseriscono di annoverare parenti quali nonni o anche genitori di etnia russa. Allora non possono che essere contrari a questa russofobia dilagante che avvolge l’ Ukraijna. E qui scattano le contraddizioni: “I miei parenti sono russi, io sono mezzo russo anche ma… ce l’ ho a morte soprattutto con Putin ma anche con i russi che lo appoggiano”. Ma come, perché? E qui le risposte cadono nel vago, girano intorno l’ obiettivo, fanno voli pindarici.
Trovo una persona che, spontaneamente, mi dice: “Questo governo provvisorio non è buono. La prima cosa che ha fatto è stata quella di abolire, come una delle lingue ufficiali, il russo. Ti rendi conto? Noi siamo di origine russa, parliamo russo”. Bene, forse ho trovato una persona che va controcorrente rispetto alla massa: “Allora tu non sei contro Putin e la Russia?”, “Ah no, ovvio che ce l’ ho con loro…”.
Ma come sono possibili queste contraddizioni? Soprattutto considerando che sto parlando con gente giovane, ventenni, ragazzi moderni.
Si diceva che durante l’ epoca sovietica la Propaganda di regime forgiava le menti. E’ cambiato poco da allora. Non ci sarà un regime, non siamo in epoca sovietica ma la Propaganda, russofoba questa volta, è più che mai attiva. E la gente cresce in buonafede con questi ideali di avversità verso l’ altra parte della medaglia di uno stesso popolo.
Da esterno comprendo comunque la faziosità in buona fede di questa gente, del popolo che aspira, come in qualsiasi parte del mondo, ad una vita migliore, più ricca, al passo con i tempi. Aspirazioni giuste e ideali che nascono naturalmente da circa 50 anni vissuti sotto un tipo di regime. Non dico giusto o sbagliato ma è naturale che dopo tanto tempo la voglia di cambiamento e di novità riesce a sopraffare un popolo. Lo stesso è stato vissuto da noi nel dopoguerra. Abbiamo subito un tipo di regime sulla nostra pelle ed ovviamente non ne vogliamo più sentire parlare, se non qualche nostalgico e qualche ritorno di fiamma. In fondo la storia è ciclica. Ad una dominazione ne segue un’ altra e subito al termine dell’ ultima il popolo si butta a capofitto con speranza e buonafede verso quella che sta arrivando e la “libera” dal giogo.
Un mio contatto polacco viene avvicinato, nei dintorni dell’ alba dopo una notte spensierata, da due pseudo militari e pestato. Trattavasi forse di reclute del campo paramilitare di addestramento per pseudo riservisti del quale ho avuto la possibilità di visionare delle foto reali armi in pugno?
Pseudo riservisti dell’ esercito o forze paramilitari?
Anche a Kijev in questa situazione tesa mi concedo uno dei miei passatempi preferiti di quando viaggio: una salutare passeggiata notturna possibilmente in periferia. Noncurante di eventuali pericoli mi perdo tra i palazzoni della periferia. Mi rivolgo a dei ragazzi per delle indicazioni stradali. Sembrano gentili ed iniziano a rispondermi fin quando non si accorgono che stiamo colloquiando in russo. Eh no, non si parla più in russo, loro parlano solo ucràino. Il tono della conversazione cambia e per farmi scusare (io) devo rispondere a dei loro slogan nazionalistici. Ovviamente sbaglio risposta ma cosa ne posso sapere io di questi slogan a quest’ ora della notte nella profonda e buia periferia di Kijev?
Lo scorso gennaio, per la prima volta, una persona ad Ivano – Frankivsk si rifiutò di conversare con me in russo e terminò lì il nostro incontro.
Una volta era campanilismo da barzellette, ora è praticamente odio tra popoli.
I ragazzacci non accettano i miei errori ed insistono con l’ arroganza nei miei confronti. Uscirò fuori da questa spiacevole situazione grazie ad un paio di intuizioni comunicative legate al mio carattere ironico.
Il taxi corre nella notte di Kijev. Il tassista vedendomi straniero mi chiede come si vive in “Europa”. Gli racconto la mia realtà, non è tutto ora quello che luccica al di là della frontiera. Gli chiedo per chi voterà l’ indomani, mi risponde “per il candidato meno peggio: il cioccolataro Poroshenko”.
E’ la stessa risposta che mi danno tutti gli altri, giovani e meno giovani. Nessuno, del popolo, mi risponde “voto questo perché credo in lui”. No, sono tutti rassegnati. Hanno protestato in piazza, hanno appoggiato la protesta da casa ma sono disillusi.
Il giorno dopo vincerà le elezioni “il candidato meno peggio”.
E per la fautrice di queste rivolte, Julija Timoshenko, la responsabile morale di queste proteste e dei conseguenti morti, la donna che si era fatta usare come paladina dei diritti negati, che ha soffiato sul fuoco, che si è fatta ergere a simbolo dell’ oppressione è stata una vergognosa, per lei, batosta elettorale. Ci siamo sorbiti per anni il suo volto e la sua storia di diritti violati, ha aizzato le folle, ha collaborato a creare tutta questa drammatica situazione ed esce di scena così. In maniera inequivocabile.
In un parco in collina un anziano signore, l’ indomani le elezioni, mi ferma con un forte affanno e con una grande emozione mi dice: “Sono andato a pregare. Spero che da ieri le cose inizino ad andare per il meglio. Speriamo”.
Giunge il mio ultimo giorno a Kijev. Terminato un giro turistico mi butto per l’ ultima volta in Maidan. Questa volta non per scattare fotografie o per passeggiare ma esclusivamente per indagare, per carpire particolari occulti.
Decido, al limite della insospettabilità, di scandagliare palmo a palmo la piazza e l’ area interessata dalla persistente occupazione alla ricerca di dettagli interessanti.
Giro e rigiro tra le tende, attornio le zone off limits, sbircio all’ interno, con la coda dell’ occhio osservo i militanti come sono vestiti alla ricerca di un simbolo, di un segno che possa tradire un qualcosa, passo e ripasso dallo stesso punto finchè non ho messo a fuoco la situazione, studio i volti, mi soffermo finanche a valutare la disposizione delle barricate. Perché? Perché anche la tecnica di costruzione delle stesse può essere sintomatica circa chi sta dietro questo Maidan, quello violento.
Perché ci sta qualcuno dietro? Non è del tutto spontaneo?
Non è lo spazio questo per fare un excursus della situazione ed una disamina. Siamo già arrivati a Kijev consapevoli di quello che c’è dietro, ed in giro ne cerchiamo le prove. O almeno alcune di esse.
Come la stranezza occorsami all’ ingresso della sede del Governo ucràino. A due giorni dalle elezioni noto una delegazione diplomatica straniera fuoriscire dal palazzo. Mi soffermo a guardare e quello che sembra il capo delegazione, elude la scorta, mi si avvicina e mi lancia una battuta: “Non sarai mica un osservatore del partito comunista?”. A parte l’ homour anglosassone ma cosa ci faceva una delegazione straniera in visita al Governo nell’ imminenza delle elezioni? Erano a trattare? O forse ad accordarsi?
E non risulta strano che una società di investimenti, per pura coincidenza, invii del personale in città giusto il tempo della durata del “Maidan”?
E come mai non si vede un poliziotto in giro in circa una settimana di permanenza? Ma se le altre volte ero perennemente fermato per strada dalla milizia locale a caccia di irregolarità danarose per le loro tasche. Non c’è la milizia in giro ma in Maidan le armi girano eccome tra le cinture di questi pseudo para militari agghindate con coltelli presi direttamente dalla scenografia di Rambo e portati con una certa disinvoltura. Armi bianche letalissime nella mani di gente esaltata.
Il coltello deve essere una delle armi predilette in piazza, tanto che in molti si allenano all’ antica disciplina circense del lancio dei coltelli verso delle sagome o degli obiettivi. Peccato che però non siamo in un circo ma in mezzo la gente.
E quelli che girano con la pistola nella fondina? Certo che non sono poliziotti ma sono militanti del “Maidan”. Basta poi lanciare lo sguardo oltre le tende off limits per notare, ad esempio, mitragliatori e munizioni varie.
Ed arriviamo, infine, ai dettagli più clamorosi o particolari notati in piazza.
Girovagàvo quando un idioma molto familiare mi perviene alle orecchie. Una sconosciuta canzone italiana riecheggia per Maidan. Mi avvicino alla fonte e quindi alla tenda dalla quale proviene. Un gruppo di ragazzi canta accompagnandosi alla chitarra in pieno stile relax in spiaggia, una pezzo italiano a me non conosciuto. La tenda è quella targata “Krym”, che dovrebbe indicare gli attivisti provenienti dalla Crimea. Ma come sono italiani? Mi avvicino con circospezione ma a parte la canzone, odo solamente conversazioni in russo ed in inglese. Italiani o meno, qualche straniero presente di sicuro.
Inizio a visionare ad uno ad uno tutti gli adesivi, tutti i volantini, tutte le scritte presenti sui muri, alle (ex) pensiline dei bus, agli ingressi della metro. Uno ad uno. Che trovo?
Un richiamo ad una fantomatica fondazione statunitense: la Fulbright Circle Association.
Cosa è? Cosa c’ entra con “Maidan”?
Ma ovviamente è una fondazione con fondi economici di dubbia provenienza che finanzia l’ esportazione della democrazia fuori dagli USA.
Già mi imbattei in altre di queste organizzazioni “caritatevoli” nel corso di questi mesi di protesta. Come non citare il Polish Solidarity Fund, la Stefan Batory Foundation dell’ ungherese – statunitense Soros maggior finanziatore mondiale della “democrazia”, la USAID – US Agency for International Development?
In piazza è montato un enorme palco dotato di sistema audio – video, luci, antenna parabolica. Il camion del service è parcheggiato di fianco. Un camion come tanti altri. Anche a me era apparso tale durante le mie precedenti passeggiate dei giorni prima. Perché in quelle visite avevo fatto il turista, non il fine osservatore. Ed infatti ecco che spunta fuori che il camion, seppur con targa ucràina, ha provenienza anch’ esso italiana.
E’ marchiato dal logo della ditta di caratura internazionale, un colosso nel settore, dei Fratelli Cartocci di Roma. La più grossa ditta di noleggio set cinematografici, impianti audio – video altamente professionali, regie mobili, sistemi radiotecnici.
Un classico noleggio? Da Roma a Kijev per il “Maidan”? Con i soldi di chi?
Ed arriviamo al clou, alla cosa di cui tutti parlano ma nessuno ( o solo pochi) ne conosce l’ esistenza reale o meno, una istituzione quasi mitologica del “Maidan”.
In un angolo di un muro noto l’ appello alle armi, l’ invito ad arruolarsi, il richiamo a servire la Patria nelle file della SNA, la famigerata Accademia Social – Nazionale Ucràina, una sorta di esercito paramilitare a base volontaria di estrema destra, emanazione di Pravy Sektor, che addestra prima alla battaglia e poi dispiega i suoi battaglioni a guerreggiare nel sud e nell’ est dell’ Ukraijna.
La pubblicità ad arruolarsi gira ma poi, dopo aver contattato la SNA tramite mail o per telefono, da quel momento in poi, vige il massimo segreto su questo esercito illegale.
Come ultima azione della giornata, provo a sfondare ed accedere all’ interno del palazzo occupato ora sede del centro stampa Maidan Press Center. Mi infilo con nonchalance nell’ ingresso ma dopo pochi istanti una ragazza vistosamente alterata dall’ alcool e vestita in mimetica mi sbatte fuori in malo modo. Le rispondo sgarbatamente anche io e vado via. Il blitz non mi è riuscito.
LINKS:
SNA Accademia Social – Nazionale Ucràina:
http://snaua.info/
https://www.facebook.com/groups/sna.in.ua/
F.lli Cartocci:
http://www.cartocci.com/#!
USAID – US Agency for International Development:
http://www.usaid.gov/
Polish Solidarity Fund:
http://solidarityfund.pl/en/
Stefan Batory Foundation:
http://www.batory.org.pl/en
LUCA PINGITORE
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