11-13/12
BangkokO la ami o la odi, non ci sono vie di mezzo. Ed io la amo alla follia. Amo camminare nelle strade piene di gente, amo vedere la folla dei turisti in Khao San, amo correre la mattina presto sul lungofiume, amo il suo mix di spiritualità e corruzione morale, insomma, Bangkok,
je t’aime.
La città mi saluta sempre uguale, il suo caldo umido mi avvolge mentre cammino dentro al finger e la tagliente aria condizionata mi risveglia dopo dieci ore di volo. “Good evening Sir, welcome back in Thailand, have a nice stay” mi dice il doganiere dopo avermi fatto notare che dall’ultima mia visita avevo cambiato il passaporto.
Sawasdee,
Sawasdee, rispondo io nell’unica parola thailandese che conosco, ritiro il mio zaino da settantacinque litri e quindici kg e salgo sul primo taxi.
Where Sil? (la r in Thailandia è pronunciata quasi fosse una l)
Kaho San Road pls,
Kaho San load? 500 hundled bath (circa 10€)
Meter pls
Metel? Metel? Metel is expansive sil
I know but I want meter fare, meter pls
Ok, metel.
Alla fine ne pagherò 280
Stessa cosa al casello dell’autostrada. Mi chiede 50 bath ma sono solo 20 di pedaggio e lo so. Gliene passo 20 dicendo, twenty e lui risponde, yes sil, 20,20. Non lo fanno con cattiveria, ci provano, è un gioco, bisogna conoscere le regole e non alterarsi ma sorridere, sorridere sempre.
A Bangkok ci sono delle ore in cui il traffico è infernale, le 11 di sera del capodanno thailandese (o del compleanno del Re, non ho capito) è una di quelle. Imbottigliati davanti al monumento alla democrazia e senza nessuna possibilità di soluzione rapida decido di scendere e farmela a piedi. Quindici chili di zaino e trenta gradi non sono però l’ideale per fare un km e mezzo di strada così a metà sosta ristoratrice, che durerà più di un’ora, e due birre da 66. Stanco ed un po’ alticcio fermo il primo motorino che passa e per un euro mi faccio portare al mio alloggio. Dopo un check in decisamente lungo ed un’altra birra entro finalmente in camera e mi addormento quasi immediatamente ancora mezzo vestito.
La mattina dopo alle nove la sveglia suona implacabile. Abbastanza intontito mi vesto, bevo un tea e prendo un taxi per il consolato birmano dove chiederò il visto per il Myanmar. Pensavo di poterlo fare in giornata e partire subito la mattina seguente per Yangoon ed invece no
. L’impiegato è irremovibile e mi dice di tornare a ritirarlo il giorno dopo. Ufff, piani saltati. Vabbe’ non tutto il male viene per nuocere, prendiamola con filosofia mi dico. Ed infatti conosco due ragazzi italiani che da qualche mese stanno girando l’Asia ed andiamo a fare colazione insieme. Colazione che in realtà assomiglia più ad un pranzo in quanto è formata da involtini primavera e dalla sempre presente Chang beer. Chiaccheriamo un po’ e verso mezzogiorno ci diamo appuntamento per trovarci a cena.
Torno velocemente in hotel, prendo la digitale e vado a camminare a caso per le vie che portano alla montagna d’oro. Bangkok l’ho vista tutta nel mio scorso viaggio ma questo posto mi aveva lasciato abbastanza impressionato; dall’alto si gode di una pace e di una tranquillità inimmaginabili, mi siedo e mentre guardo il panorama ascoltando un po’ di musica trovo in tasca uno scontrino fiscale con scarabocchiato dietro un numero di stanza, un nome – Anna – un numero di cellulare finlandese e la scritta, call me tomorrow. Guardando l’orario mi accorgo che era qualcuna conosciuta la sera prima. Non me la ricordo proprio, non so chi fosse, non l’ho mai chiamata – sliding doors.
Esco e ritorno in strada e decido di prendere una barca che fa la spola tra le due sponde del Chao Pra per andare a vedere prima il Wat Arun, il tempio dell’alba e poi camminare un po’ per le vie piene di gente, suoni ed odori. Magio qualcosa di non definito da un venditore di strada e compro una coca del 7-11 che gli sta a fianco, riattraverso il fiume e vado a farmi leggere la mano da un vecchietto al mercato degli amuleti.
Vecchietto che ovviamente parlava solo thai quindi non ho capito assolutamente nulla di quello che mi ha detto.
Ma tempo scorre, è ora dell’aperitivo! Torno in hotel, doccia e corro al solito bar a bermi una Tiger. Ci sono posti dove ci si sente a casa anche se si è 10.000 miles aways from home e questo è uno di quelli. Ci son stato la prima volta che sono arrivato a Bangkok da solo, mi son trovato bene e da allora ci ritorno sempre con piacere. Quest’anno la promozione è “prendi una San Miguel e ne avrai una in omaggio”. Ovviamente non me la faccio scappare e così ancor prima di mangiare ho già un litro di birra in circolo. Tanto, teoria mia, con il caldo che fa a Bangkok nulla fa effetto. E fino ad ora ho sempre avuto ragione (quasi...).
Alle otto mi trovo a cena con i due ragazzi (in realtà ragazzo e ragazza) italiani. Parliamo, mangiamo e ci raccontiamo un po’ dei nostri viaggi. Finché, ad un certo punto, non passa Lui, il vero protagonista della serata. La persona in questione è un signore ormai avanti con gli anni, capelli lunghi ormai bianchi che abita in una famosa località montana dell’India e che i due avevano già incontrato qualche settimana prima in treno. Perché dico esser lui il protagonista? Semplicemente perché passeremo tutta la serata a sentire i suoi racconti, le sue esperienze negli anni ’70 ed ’80 quando l’India era davvero altro e non contaminata dai turisti di adesso (altra gente, altri valori, altre motivazioni diceva). Serata fantastica!
La mattina dopo mi alzo con un decisamente forte mal di testa. E’ abbastanza tardi, faccio colazione e vado nella “nuova Bangkok”, quella dei centri commerciali e delle nuove tecnologie a basso costo. Basso costo forse una volta perché dovendo cercare un BlackBerry per un conoscente mi accorgo che i prezzi son decisamente più alti che in Italia.
Faccio colazione in uno pseudo bistrò francese e vado a ritirare il mio passaporto; che tanto non mi interessa più. Il perché lo scoprirete tra poco