Da solo in Bosnia-Herzegovina
Inviato: 24/08/2011, 22:44
Premessa
Viaggiando attraverso questo paese, ho provato sentimenti contrastanti, ma bellissimi.
Nella seguente narrazione mi trovo spesso a descrivere situazioni e persone con aggettivi negativi. Questo per rispondere a un'esigenza di verità che ritengo essenziale in qualsiasi scritto che non sia fantastico. Ma qualsiasi luogo e persona, nella sua miseria, ha suscitato in me una profonda comprensione e solidarietà.
Intoduzione
Sarajevo: un nome che mi ha sempre affascinato. Fin da un lontano giorno in cui, bambino, mi trovavo in Croazia con i miei genitori e vidi profughi e truppe nato, a causa del conflitto nella vicina Bosnia-Hercegovina, il cui centro era quella città assediata. Mi ricordo come allora decisi che ci sarei andato. Dopo vari anni e con vari viaggi alle spalle, è maturato in me un profondo interesse per le città ferite. La fatale storia di Berlino ha reso per me speciale questa città, e i suoi abitanti. Ecco che allora Sarajevo per me rappresenta una meta imprescindibile, insieme al desiderio di capire il popolo bosniaco, le sue etnie e differenze, la difficile convivenza. Ora, dopo esserci stato ho cominciato a capire alcune cose sulle vicende travagliate di questa gente. In Bosnia ci sono due entità geografiche: la Bosnia e la Hercegovina. Le entità politiche sono due: la federazione di Bosnia-Hercegovina, che comprende i bosniaci musulmani e i bosniaci croati cattolici. IL territorio di questa federazione è quello della Bosnia centrale e sud occidentale al confine con la croazia, la capitale è Sarajevo e Mostar è la capitale informale dell'Hercegovina.. L'altra entità politica è la Repubblica Serba di Bosnia-Hercegovina, che si trova nella parte nord orientale del Paese, al confine con la Serbia con capitale Banja Luka, e dove vivono bosniaci serbi di religione cristiana ortodossa. Tenendo fermi questi punti, e senza voler approfondire maggiormente, la guerra scoppiata nel 92 è stata la tragica conclusione di secoli di difficile convivenza, la quale è comunque continuata anche dopo la guerra. Il Paese ha tre presidenti, i quali rappresentano le tre etnie, al governo è attualmente quello della parte musulmana. Per questa disomogeneità, l'unione europea ha negato gli accordi di Schengen ai bosniaci. I quali, soprattutto i miei coetanei viaggiatori con i quali ho avuto modo di scambiare 2 chiacchiere, si sognano di fare un grand tour tra i paesi europei, perchè per ogni singolo stato devono richiedere il visto, e pagarlo a un prezzo sicuramente oneroso per le loro possibilità. Da ciò deriva una tendenza ad approfittarsene del visitatore europeo e non, come si vedrà anche dalle mie vicissitudini.
La gente che ho incontrato mostra in maniera evidente le sofferenze fisiche e morali della recente guerra. I modi che hanno sono sicuramente rudi, il livello dell'inglese parlato e compreso è molto basso. Una cosa positiva è che i prezzi sono veramente bassi, quindi nonostante a volte facciano un cambio euro-marco( 0,52 cent di euro) approssimativo, si cade sempre in piedi.
E ora veniamo a parlare di questo viaggio.
stazione ferroviaria di Sarajevo
esterno della stazione
Partenza
Ma come sono arrivato in questa stazione? Dopo un lungo viaggio in solitaria. Ripercorriamolo insieme.
Reduce da un interrail che ha coperto l'intero mese di luglio, tra regno unito ed Europa centrale, cercavo un modo per affacciarmi a est, girovagando un po da solo in Bosnia.
Immaginavo che una volta là, sarebbe stato abbastanza economico spostarsi e dormire. Informandomi in rete ho scoperto che esiste un autobus di linea che parte due volte alla settimana da Trieste ed affronta tutta la costa croata. Avrei quindi potuto prenderlo fino a Spalato o Dubrovnik e da lì spostarmi in Bosnia, dopo un soggiorno croato. Mi sarebbe piaciuto visitare Dubrovnik, ma essendo nella settimana centrale di agosto i prezzi sono abbastanza alti, e i posti pieni; inoltre, avendo pochi giorni a disposizione propendo per una visita della sola Bosnia. In questo momento mi trovo a Ferrara, e non a Roma, quindi dovrei prendere il treno per Trieste e da lì l'autobus di linea. Consultandomi con un amico che viaggia spessissimo di notte, con ogni mezzo, ma soprattutto treni e autobus, mi dice che la “traversata” è abbastanza ardua, oltre le 15 ore, ma con gli autisti che fanno il bello e il cattivo tempo, si fermano quando e quanto vogliono, passaggi lunghi alle frontiere per controllare i documenti, e altro ancora. Non del tutto convinto provo a cercare una via alternativa per il Balcani. E la trovo! Se guardate sulle porte di una delle qualsiasi chiese delle vostre città troverete molto facilmente dei manifesti per i pellegrinaggi a Medjugorje. É un villaggio appena al di là del confine bosniaco, ma di etnia totalmente croata, in cui da oltre 20 anni ci sono dei fenomeni soprannaturali, di apparizioni, per cui milioni di italiani vi si recano ogni anno.
Mi viene un'idea: telefono all'organizzatrice e spiego la mia situazione, ho bisogno di un passaggio fino a lì, per poi muovermi in autonomia, e quindi le chiedo di pagare solo la tratta in autobus, lei accetta. Addirittura sarebbe possibile, anche se più complicato, prendere il solo passaggio di andata, e poi per tornare, cercarne uno di ritorno tra le decine di gruppi che settimanalmente si trovano a Medjugorje, e risalgono la costa fino a Trieste e Venezia. Non è il mio caso perchè ho i giorni contati e quindi mi assicuro sia l'andata che il ritorno. Magari molti di voi troveranno antipatico passare delle ore in autobus con dei pellegrini che viaggiano con tutt'altro scopo che il vostro. Eppure è una bella occasione: loro vorranno testimoniare la loro fede, voi potrete testimoniare il vostro spirito di viaggio a delle persone che spesso si muovono solo in quelle occasioni o con scopi più turistici. Se poi pensate di trovarvi per diverse ore con un mucchio di anziani che snocciolano litanie siete sulla cattiva strada, infatti ci sono tantissimi giovani, non certo meno simpatici perchè hanno più fede di voi (non è detto), che animeranno il viaggio in maniera un po' diversa, tra canti e racconti.
Armato del mio fatidico zainone mi avvicino all'autobus in partenza alle dieci di sera di fronte a una chiesa di Ferrara. Riposti i bagagli, mi assicuro un posto in cui possa stare con un sedile libero accanto, per poter riposare meglio. Dopo i saluti iniziali il viaggio comincia, ed essendo notturno, c'è un pacifico silenzio. Sentendo un po' di musica provo ad addormentarmi ma capisco che sarà dura riposare, perchè un sedile e un letto non sono la stessa cosa. La prima tappa è dopo un po' di ore a Duino, il che mi fa molto piacere perchè sarebbe un sogno poter scappare a visitare il bellissimo castello, in cui Rilke scrisse le famose elegie, ma è piena notte! Rimango sveglio per godere, dopo poco tempo, della vista di Trieste dall'alto. La città avvolta in una foschia buia, si fa vedere attraverso mille luci, un immagine che non dimenticherò. Il confine sloveno è inesistente, totalmente aperto dalla parte italiana, e con un sommario controllo dalla parte slovena, si arriva infine a quello croato. Qui i controlli sono più rigidi, ma le carte d'identità italiane vengono viste molto velocemente. A bordo c'è una coppia africana, che vive in Italia, ma ha bisogno del visto per entrare in Croazia; hanno tre bambini piccoli. I loro documenti vengono sviscerati con pazienza dall'ufficiale croato, fino a che scopre che il visto è valido dal giorno dopo: niente da fare, non passano! Un neonato nella carrozzina, due bimbi poco più grandi, devono scendere con i genitori e tornare indietro. Sono le 4 di notte, stiamo per chiamare un taxi che li riconduca a Trieste, mentre passa un autobus nel senso inverso. Anche qui fanno storie per prenderli a bordo, ma poi alla fine riescono a salire, pagando lautamente il passaggio. Un po' triste per la scena a cui ho assistito, provo a riaddormentarmi mentre percorriamo i primi chilometri croati. L'autostrada è lunga e noiosa, il paese si estende verso sud in maniera interminabile. Le ore passano, e l'unico diversivo è la sosta in qualche autogrill, per la colazione. Bisogna pagare in Kune, le monete locali, ma non ne ho con me. Il cambio offerto con l'euro è da strozzini, sopratutto perchè è obbligatorio cambiare 50 euro, dovendone spendere solo pochi per la colazione. Aggiro il problema pagando con la carta, e così posso godermi un ottimo cappuccino con brioche. Il viaggio prosegue, con una strada molto monotona. Finalmente si esce dall'autostrada e si prosegue per il confine bosniaco. Il paesaggio comincia a ravvivarsi, con alcune colline ricoperte dal verde. E finalmente la barriera di confine, dove i controlli sono abbastanza lunghi. Non ne sono sicuro ma l'organizzatrice del viaggio, che fa la tratta ogni mese, ormai conosce il capo di questo posto, e per non avere problemi, gli lascia una busta e qualche bottiglione di vino. Passiamo quindi senza problemi. Dopo nemmeno un chilometro inizio ad assistere a scene che non mi lasceranno mai per tutti questi giorni. Lungo la strada donne e uomini vestiti quasi di stracci, vendono ortaggi e vasi di miele, in bancarelle improvvisate lungo il ciglio della strada, costruite con bancali e ferrivecchi. Donne che sembrano appartenere a un epoca molto lontana, con i capelli raccolti in un foulard, e la pazienza di aspettare anche ore sotto il sole, pur di racimolare gli spiccioli quotidiani. Solo più tardi mi renderò conto che questa parte vicino alla Croazia, è molto ben sviluppata grazie al resto del paese. Certamente Medjugorje ha portato con sé anche ogni tipo di business. Qui ci sono concessionari di auto lungo la strada, hotel e negozi di vestiti firmati. Roba che addentrandomi nel paese sparirà; non mancano certo i concessionari, ma in questa parte dell'Hercegovina tutto è più simile alla Croazia, e quindi di riflesso all'Europa. Pochi chilometri dopo il confine si arriva a Medjugorje. Chi soggiorna qui può tranquillamente pagare tutto in euro e parlare italiano. Infatti ci sono tantissimi negozi e alberghi: solo questa cittadina ha 11.000 posti letto, più che in tutto il resto della Bosnia. Il villaggio è caratterizzato dalla famosa chiesa nella piazza principale, e dalle varie case e hotel che si snodano accanto. Ci sono due colline, la collina della croce, il Krisevac, e la collina delle apparizioni, il Podbrdo. I pellegrini effettuano l'ascesa ad entrambe.
Io non posso partire subito, devo aspettare la mattina, e quindi faccio un giro perlustrativo, trovo un internet point e vado a bermi qualche birra. La temperatura è molto calda, come avrò modo di notare nei giorni seguenti, ma è quasi sera e si sta abbastanza bene. Dall'Italia mi sono informato degli orari degli autobus usando questo comodissimo sito che consiglio a tutti: [url="http://www.autobusni-kolodvor.com/en/terminal.aspx?k=173&d=070&dat=13.08.2010"]http://www.autobusni-kolodvor.com/en/te ... 13.08.2010[/url]
Da Medjugorje per inoltrarmi nel resto del Paese devo obbligatoriamente prendere un autobus per Mostar. Da Mostar c'è l'unico treno della Bosnia, che al prezzo di 10 marchi ( 5 euro) porta a Sarajevo. Ci sono solo due treni al giorno, uno alle 8 del mattino e uno alle 18 di sera. Vorrei prendere quello delle 8 ma non trovo un autobus che mi porti così presto a Mostar. Deciso quindi di andare direttamente a Sarajevo, che dista 4 ore da Medjugorje. Sono munito della Lonely Planet inglese sui Balcani, e di altre info prese on line. So che ci deve essere una stazione degli autobus, e mi reco dunque a cercarla. Mi dicono che è vicino alla posta. Nei pressi della posta vedo solo un cortile sporchissimo dove vengono scaricate ogni tipo di cose sul ciglio della strada, e una pensilina totalmente ricoperta di carte pubblicitarie, in bosniaco ovviamente. La plastica della pensilina è squarciata e vandalizzata in alcuni punti. Rimango un po' perplesso, non c'è un orario affisso, se non quello degli autobus internazionali, che in alcuni giorni portano anche a Malmoe o a Berlino.
Il viale che porta alla posta ha una fila di ristoranti e bar, e un pub, con un atmosfera da romanzo bukovskiano. Mi infilo in un pub e mi faccio servire una Karlovacko pivo, ghiacciata e ottima. Faccio alcune domande in inglese alla barista, ma non mi capisce, ci provo con l'italiano. Dopo vari tentativi capisce che cerco la stazione, mi indica la posta ma poi mi fa capire che non ne sa niente. Dopo altre richieste fallimentari entro nella posta, dove una impiegata parla inglese e mi dice che quella è fermata è la “stazione” e che i biglietti si comprano a bordo. Era quello che immaginavo ma non pensavo fosse così difficile averne una conferma. Dopo qualche birra vado a dormire in albergo, ho infatti concordato anche per questa notte e la cena. A cena quando affermo che sono in partenza la mattina seguente per Sarajevo, strabuzzano gli occhi: “ E che ci vai a fare a Sarajevo”- è la domanda che mi viene rivolta. Rispondo che vado a conoscerla. Rispondo che questo è un paese musulmano, pieno di moschee, e che siamo in pieno ramadan, ma le persone che sono state qui diverse volte non se lo immaginano nemmeno; forse il mio viaggio può essere servito a qualcosa.
Finalmente arriva la mattina, e con tanta adrenalina addosso, e il mio immancabile zaino, mi reco alla fermata degli autobus. C'è qualche persona in attesa, e un poliziotto che si guarda attorno. Gli dico la parola Sarajevo e lui annuisce. Non mi resta che aspettare. Abbastanza puntuale arriva il mio autobus. L'autista scende a fare i biglietti, sono circa 11 euro, dopodiché mi strappa lo zaino dalle mani e lo butta violentemente nel vano bagagli. Questo gesto sancisce il mio benvenuto in Bosnia. Comincio a meravigliarmi divertito dei modi di questa gente, e di come sono tutto le cose qua.
L'autobus nella sua sporcizia è bellissimo, lo trovo poetico: sedili di velluto sporchi di merda, chewingum e cicche di sigarette. Da alcuni sedili spuntano le molle, e in altri si fanno semplicemente sentire sul sedere. Sembra che da questo velluto marrone spunti polvere ad ogni movimento, e avendo i pantaloni corti, ho un esperienza sensoriale maggiore con quello che mi circonda. Mi piace questa rudezza: sono felice.
La cosa positiva è che l'aria condizionata è al massimo e quindi posso godermi della vista dal finestrino. Presto la strada comincia ad inerpicarsi e diventa un percorso tra strade strettissime di montagna, con numerose e pericolose curve. Non esagero dicendo che su questi autobus si rischia la vita. I conducenti guidano a una velocità esagerata e affrontano le curve in maniera spericolata. In più guidano perennemente con una sola mano, poiché sono sempre impegnati a fumare o a parlare al cellulare. Gradualmente ci si abitua anche a questa situazione e così mi concentro sul paesaggio. Le montagne e vallate sono molto belle, e spesso delle macerie a bordo strada ricordano come questi posti sono stati contesi spargendo molto sangue durante la guerra. In poco più di mezz'ora si arriva a Mostar, che si vede inizialmente dall'alto, incastonata com'è in una vallata, divisa dal fiume Neretva. Non riesco a vedere niente della città, per fortuna, visto che sarà la mia tappa sulla via del ritorno, se non un enorme cimitero che dalla cima di una montagna scende verso la città, posto in verticale. Le tombe sono tantissime, e anche se non riesco a vederlo con i miei occhi, so che portano la data del 1992.
Per ora vedo solo la stazione secondaria, e non mi viene svelato quel gioiello che è Mostar. Senza alcun sospetto proseguo il mio viaggio verso la capitale. Per diverso tempo la strada costeggia il fiume, dal colore spettacolare, che sull'altra riva è costeggiato dalla ferrovia. Il percorso sostanzialmente è lo stesso, quindi non mi perdo il meraviglioso panorama. Rimango come ipnotizzato a fissare il colore dell'acqua, che sembra possedere qualche strano sortilegio. Osservo le persone che per sfuggire dal caldo vi si tuffano costantemente. Le montagne dalle bellissime forme mi ricordano come questo paese abbia potuto ospitare le olimpiadi invernali. In alcuni punti il fiume si apre in bacini più ampi, dando vita a dei laghi bellissimi.
Lungo il tragitto numerosi ponti sovrastano la Neretva, alcuni dei quali molto spettacolari.
Presto comincio a scorgere i primi minareti, svettanti sopra ogni villaggio, anche di poche case. Sono le prime moschee che vedo nella mia vita, e sono emozionato, anche perchè dalla cima di esse sventola la bandiera verde con il simbolo dell'Islam. I bosniaci musulmani sono chiamati bosgnacchi, e costituiscono il sostrato molto antico, infatti la Bosnia è stata parte dell'impero ottomano per oltre 400 anni. E l'islam è la vera e prima religione della bosnia. I cattolici sono una minoranza di origine croata, e gli ortodossi sono i serbi: i più odiati. Inizialmente cattolici e musulmani furono uniti nella lotta contro i serbi ortodossi. Poi le tre fazioni si divisero e combatterono senza pietà. I musulmano furono i più colpiti, portati in campi di concentramento, massacrati e cacciati dai serbi. Sarebbe impensabile oggi un matrimonio tra un bosniaco serbo e una musulmana, e viceversa. Proprio la cattedrale ortodossa di Sarajevo è la più distrutta. Ora che la Bosnia ha un premier musulmano, la religione diventa un collante essenziale, e le moschee vengono ricostruite ed erette con grande orgoglio, Vedo con i miei occhi dall'autobus i muratori lavorare all'edificazione di nuove moschee, bianche, con il classico minareto longilineo.
La mia colonna sonora di questo viaggio è quella di un cantante che si è dedicato a dare voce agli ultimi, i diseredati, i profughi: Manu Chao. Il mio ricordo di questi paesaggi rimarrà sempre legato ai versi di Clandestino, Desaparecido, Rainin in Paradise, Bongo Bong, e soprattutto POLITIK KILLS:
politik use drugs
politik use bombs
politik need torpedoes
politik needs blood
thats why my friend is an evidence politik is violence
what my friend is a evidence politik is violence
Le montagne e i laghi formano dei paesaggi da cartolina mozzafiato, e mi chiedo come la gente di qui si possa essere dedicata alla guerra di fronte a una bellezza naturale così evidente. Presso Jablanica soprattutto ci sono dei luoghi in cui si può fare una splendida villeggiatura, a prezzi irrisori sicuramente, e che consiglio a tutti.
L'autista continua la sua guida spericolata, fumando e parlando al cellulare. La cosa curiosa è che le fermate sono personalizzate: oltre a quelle principali nei paesi, spesso le persone chiedono di essere lasciate a un certo punto della strada, vicino alla loro casa. Gli altri passeggeri sono locali che vanno da un villaggio all'altro e qualche persona che va nella capitale, una coppia australiana sta facendo il tratto da Dubrovnik a Sarajevo. I volti delle persone sono duri e arcigni, solcati dalle rughe che danno l'idea di come alcuni mesi e anni terribili possano valere come se fossero molti di più. Per ore l'autobus transita su strade di montagna e costeggiando il fiume, solo una ventina di chilometir prima di entrare in città inizia una specie di superstrada, che costituisce l'arteria esterna della capitale, ma che paragonata con le nostre strade potrebbe essere una provinciale. Finalmente si scorgono le periferie di quella che sembra essere una grande città. Grandi palazzoni dalla vernice scrostata e pieni di buchi di pallottole, alcuni ancora con grandi vestigia di guerra, danno subito l'idea di dove ci troviamo. L'autobus fa diverse fermate cittadine prima di arrivare alla stazione degli autobus, giusto accanto a quella dei treni. Eccomi finalmente arrivato nel cuore della Bosnia, dopo un lungo viaggio in solitaria, con tanta voglia di visitare questa città.
Sarajevo
La stazione degli autobus è adiacente a quella dei treni, che è deserta. I treni giornalieri sono veramente pochi e l'atmosfera è surreale. Nell'atrio della stazione non c'è nessuno passeggero, nessun impiegato. Sotto il sole cocente mi avvio verso la il grande piazzale, anch'esso con un atmosfera un po' desolata ma affascinante. La prima immagine che vedo è quella di alcuni bambini, di etnia gitana, che scorrazzano per tutta la piazza, sporchi, poco vestiti, alcuni completamente nudi. Rimango molto stupito da questa situazione, che meriterebbe una fotografia, ma per pudore preferisco non fotografare certe scene forti, e farò così anche nel proseguo del viaggio. Vedo i binari del tram, che porta in centro, e di fronte ad essi un'edicola.
La prima cosa che chiedo è una bottiglia di aranciata ghiacciata, che mi costa poco più di 50 centesimi, poi un biglietto dei mezzi pubblici, 70 centesimi. Non so ancora che mi aspetta la peggiore disavventura di questo viaggio. Arriva il tram e salgo. Dopo pochissimi metri il mezzo si inchioda e dobbiamo scendere tutti perché c'è un guasto. Prendo allora quello che passa subito dopo, con il biglietto che avevo appena vidimato. L'autobus svolta verso una grande strada, dove vedo il leggendario Holiday Inn giallo, dove risiedevano tutti i giornalisti in tempo di guerra, e fu colpito anch'esso dai bombardamenti: questa via ha un nome emblematico, è il viale dei cecchini. Dopo nemmeno una fermata salgono i controllori. Un tizio dal viso molto rude dice che il mio biglietto non va bene: “problem, problem”, inizia a gridare. Io inizio a spiegare la situazione, di come ci hanno fatto scendere dal tram per un guasto, ma lui non capisce, o non vuole capire, nemmeno una parola del mio inglese. I modi usati sono molto aggressivi e con atteggiamenti spietati. Io sono decisamente infastidito dalla situazione, perché non è colpa mia che il mezzo si sia bloccato. Lui continua a farmi vedere che sul mio biglietto c'è un numero, che probabilmente indica la matricola del veicolo, che è differente da quello in cui siamo. Nella sventura mi assiste un po' di fortuna, ci sono altri italiani. Sono una coppia di Roma, con la quale ho scambiato qualche parola mentre aspettavo il tram. Hanno visitato Sarajevo e sono diretti a Belgrado. Una volta capita la situazione, mi vengono in soccorso, facendo letteralmente casino. Nel frattempo si scende, i controllori e noi italiani. Il tizio cattivo viene accerchiato da noi tre che protestiamo in inglese, ma lui non vuole capire una sola parola, e per mettere un po' di paura grida: “passport, passport”, vuole il mio documento. Io glielo do e capisco che lui non vuole assolutamente lasciarsi scappare l'occasione di intascare un po' di soldi, nonostante sappia perfettamente quello che sia successo. Ora mi dice che devo pagare: “money, money”, si tratta di 26 marchi, tredici euro. La cifra mi fa quasi ridere, perchè rispetto ai 100 euro della multa che fanno a roma, questa è decisamente più leggera. Ma il ragazzo romano mi fa notare che con quei soldi posso farmi una decina di birre qui a Sarajevo, e quindi non cedo. Noi 3 continuiamo a gridare e ora anche gli altri controllori ci accerchiano. A un certo punto, uno più anziano e alto comincia a discutere con quello che mi ha fermato, e ben presto iniziano a litigare nella loro lingua. Pur non capendo una parola intendiamo che l'altro vuole lasciarmi andare, mentre quello più giovane vuole i soldi. La situazione si risolve quando quello vecchio, sicuramente più autorevole, strappa il mio documento dalle mani dell'altro, me lo consegna e mi fa segno di andare. Non me lo faccio ripetere due volte e volto le spalle insieme ai miei soccorritori romani, mentre gli altri due continuano un'accesa discussione. Questo è benvenuto che ricevo a Sarajevo. Sono abbastanza scosso, perché dopo 4 ore di un tranquillo viaggio in cui mi sono riempito gli occhi di tanta bellezza, non mi sarei mai aspettato di dover essere portato così rudemente coi piedi per terra, in una discussione con un ufficiale bosniaco. Infatti, anche se si trattava soltanto di un controllore, aveva un aspetto marziale. Ora mi sento veramente felice di avere 26 marchi in più, dal momento che il mio ostello ne costa 22. Non so come ringraziare i ragazzi che sono venuti in mio soccorso, ma per loro si tratta semplice di un gesto di solidarietà verso un connazionale. Non contenti decidono di accompagnarmi verso la zona in cui si trova il mio ostello. Pensandoci ora, il loro incontro è stato davvero provvidenziale, perché in quel momento, con 40 gradi, lo zaino in spalla, e un imprevisto del genere, ero un po' fuori di me. Sarajevo mi accoglie in maniera molto forte, anche perché appena prendiamo la prima via che ci porta nel cuore del centro, che si sviluppa in maniera concentrica, mi trovo di fronte alla grande moschea di Baščaršija.
Siamo in periodo di ramadan, oggi è venerdì e si sta svolgendo la solenne preghiera. É uno spettacolo mi lascia una forte impressione: per la prima volta mi sento “dentro” una situazione di cui ho sempre sentito parlare, o che ho immaginato. Il muezzin intona la preghiera e una folla di uomini inginocchiati ognuno sul suo tappetino riempie tutta la moschea e il cortile esterno. Quante volte sentiamo parlare di islam al telegiornale, quante volte questi mezzi di conoscenza, ci allontanano rendendoci sempre più “altri” e diversi. Ora che sono a pochi metri da questa scena, mi sembra del tutto naturale, così come nel viaggio in autobus, vedere un minareto in ogni cittadina, così come in Italia un campanile in ogni paese. Quello che si apprende viaggiando è la fantastica varietà degli usi e costumi umani, che nella loro diversificazione possono ricondursi ad alcuni origini comuni. Naturalmente è enorme lo stupore di assistere a questa scena, in un attimo vedo la mia prima moschea, e proprio durante la preghiera del venerdì di ramadan, uno dei giorni più sacri di tutto l'anno per i musulmani. MI sento fortunato e apprezzo tantissimo questa opportunità. Questi pensieri circolano nella mia testa in pochi secondi, giusto il tempo di alcuni sguardi, mentre seguo i miei connazionali-salvatori, che mi stanno indicando la strada. Tutt'intorno alla moschea, la struttura del quartiere mi lascia frastornato. Ci si trova in un quartiere dallo stile ottomano, ovviamente ricostruito dopo la guerra, ma come da altre parti in Bosnia, restaurato in maniera molto accurata.
Viuzze acciottolate costituiscono questo piccolo labirinto di Baščaršija, che ha tutto l'aspetto di un suk orientale. I muri di pietra degli edifici sono coperti da particolari tetti marroni, che sono caratteristici dello stile del posto. In questo quartiere è tutto un susseguirsi dei più disparati negozi artigianali, che vendono tappeti, tessuti, ogni tipo di oggetto in rame, dalle incisioni alle tipiche tazzine da caffè in stile turco.
Non sono stato in Turchia ma, chissà perché, ho l'impressione di trovarmici. Sarà per i profumi e i colori così differenti, che mi avvolgono ed avvincono. Sarajevo è bellissima.
Dopo questo primo e insufficiente sguardo dalla città, è giunto il momento di separarmi dai miei amici romani; gli auguro un buon viaggio verso la Serbia e vado in ostello. Questo si trova in una via del centro, di fronte alla cattedrale cattolica, che immagino ispiri quella di Medjugorje, data la simile architettura.
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Mi trovo in quella parte del centro in cui si passa, dalla parte ottomana, a quella austro-ungarica. Si può notare a vista d'occhio il cambio architetturale. Mi dirigo verso l'ostello. È l'hostel city center, e dico senz'altro che si tratta dell'ostello più organizzato in cui sia mai stato. Si trova all'ultimo piano di un palazzo molto centrale e comodo per visitare la città. L'ho prenotato mandando una semplice e-mail, e loro questa mattina, mi hanno scritto un sms per dirmi che mi stavano aspettando e chiedendomi una conferma, metodi molto familiari ma apprezzati. L'ostello è completamente in legno e parquet. A differenza di quanto mi immaginavo, lo standard è altissimi. Numerosi computer con internet gratuito, divani e common room attrezzata con schermo al plasma e playstation 3. È decisamente troppo, è vero, ma non pensate che sia un ostello molto globalizzato: all'ingresso è assolutamente obbligatorio togliere qualsiasi tipo di calzatura, ciabatte e infradito comprese e girare scalzi. Numerosi cartelli indicano di attenersi a questo tipo di comportamento, e nonostante tutto, appena varcata la soglia, lo stesso messaggio viene gridato nel caso non si sapesse leggere. Anche i ragazzi della reception camminano scalzi. Qui avviene così a casa, in moschea, e in altri luoghi presumo. Contento di attenermi alle tradizioni locali, lo sono maggiormente quando entro nella mia camera. É molto spaziosa e comoda, e approfitto subito della doccia. Tra il viaggio in autobus e le varie disavventure sono completamente sudato: sono le 14 e ci sono quaranta gradi. La doccia è rigenerante: la sensazione di infilarsi una camicia di lino, e uscire a passeggiare con la propria macchina fotografica è molto vicina a quella della massima libertà.
Con occhi curiosi e passo avido mi inoltro in Baščaršija, percorrendola fino in fondo, dove si trova la piazza Sebilj, famosa per la sua fontana e per i piccioni che vi si radunano.
Sarà per il caldo, ma io di piccioni non ne vedo, c'è invece una lunga coda per abbeverarsi. Tra la piazza e le viuzze ci sono numerose moschee. Sarajevo è la città in cui si trovano in pochi metri una chiesa, una moschea e una sinagoga; questo la rende unica. Dopo queste prime considerazioni, mi ricordo di aver saltato il pranzo, e in pieno pomeriggio, con un caldo infernale, mi sforzo di mangiare. Mi siedo in uno dei tanti magnifici ristorantini dai tavolini di legno e tovaglie e tappeti colorati. Ordino Ćevapčići e pivo. I primi sono il piatto nazionale bosniaco, anche se si trovano in tutti i balcani. Si tratta di piccole salsicce di carne, molto saporite, servite all'interno di una focaccia, spesso con della cipolla. É il piatto di cui i bosniaci vanno matti, perché voltando lo sguardo, si vede Ćevapči ovunque.
Pivo è il nome slavo per la birra, e anche se la tradizione vuole che il Ćevapči vada accompagnato da un bicchiere di latte, io sono estremamente ansioso di provare la Sarajevsko Pivo.
La spesa totale è meno di tre euro. La carne è molto buona, dal sapore casereccio, la birra ghiacciata sarà mia fedele e generosa compagna di questi giorni. Dopo questo lauto e veloce pasto, continuo a camminare per le stradine, e mi ritrovo dietro la moschea. Decido di entrare nel cortile. Un buffo cartello mostra i divieti, tra qui quello di entrare con un mitra; forse da queste parti può essere come considerato come un telefono cellulare. Dopo la preghiera, il posto si è svuotato, rimangono solamente alcuni uomini che giacciono sui tappeti sotto il portico dell'ingresso. Qui si trovano ammassati tappetini colorati di ogni qualità, che i fedeli possono prendere liberamente. Non riesco a capire molto quello che fanno: uomini sdraiati nelle più varie posizioni, sembrano più fare una siesta pomeridiana, che pregare. Non mi trattengo a lungo in questo luogo, che seppur molto interessante, non trovo molto familiare, e non mi va di fare il turista curioso e che fotografa morbosamente ogni angolo, come un giapponese in una nostra cattedrale.
Nel cortile e intorno alla moschea tutte le donne che vedo indossano il velo; alcune scelgono nei mercatini attorni i tessuti e i colori, molto sgargianti e attraenti. Non sembrano donne sottomesse, ho visto con i miei occhi una donna rimproverare il marito in mezzo alla strada. Più avanti scopro un mercato coperto, che ospita in un antico edificio in pietra, molto fresco, i migliori artigiani. Compro un bellissimo velo viola, dai bordi di tantissimi colori. Sono curioso di spingermi verso la parte austroungarica, alle soglie della quale, è posto un fuoco perenne. Qui cominciano i negozi più commerciali, con una vera e propria via dello shopping, ma a parte una Benetton, non vedo nessuna grande multinazionale. Alla fine di questo viale è stato costruito un moderno palazzo che ospita un piccolo centro commerciale, qui considerato il posto più all'avanguardia, con cinema, discoteca, ristoranti. Finalmente trovo uno sbocco sul fiume e i ponti, che a dire la verità sono entrambi in miniatura. Il “fiume” cittadino, la Miljacka, è poco più di un canale, e i ponti molto piccoli, anche se su uno di essi il “ponte latino” è stato assassinato l'erede al trono dell'Impero Austro Ungarico Francesco Ferdinando per mano del giovane nazionalista serbo Gavrilo Princip, dando inizio alla prima guerra mondiale.
Non riesco ancora a vederlo, ma posso avere una panoramica su questa parte della città, dove spicca il maestoso edificio dell'accademia di belle arti, dalla cupola verde.
Che follia assediare questa città; inoltrandomi a zonzo per le vie trovo un sacco di palazzi “groviera”, trafitti da un tantissimi buchi di proiettili. Sono ancora così, fanno parte dello skyline di Sarajevo. Anche alcuni palazzi governativi presentano queste ferite, e su di essi sventola la bandiera bosniaca, a dimostrazione che la vita va avanti, oltre la follia.
Torno in ostello. La common room è affollatissima. Ragazzi olandesi si sfidano a partite di calcio virtuali alla playstation. Altri ospiti rimangono fissi sui pc per ore, senza darmi la possibilità di controllare la posta e fare una telefonata skype. Noto un paio di facce simpatiche e decido di scambiare qualche parola. Questo evento cambierà il mio viaggio. Faccio amicizia con Ferrán e Joan, due ragazzi spagnoli, che stanno girando tutti i Balcani in autobus. Mi raccontano il loro itinerario: dalla Slovenia sono scesi in Croazia, a Zagabria e poi a Spalato; di qui a Sarajevo. Hanno intenzione di proseguire per Mostar e Dubrovnik. Io racconto del inter-rail che ho fatto il mese precedente, tra Scozia, Inghilterra e resto d'Europa. Rimangono molto colpiti da queste esperienze di viaggio perché non hanno mai usufruito del pass ferroviario. Troviamo subito terreno comune e decidiamo di passare la serata insieme, andando a cena e poi a scoprire la notte di Sarajevo.
Viaggiando attraverso questo paese, ho provato sentimenti contrastanti, ma bellissimi.
Nella seguente narrazione mi trovo spesso a descrivere situazioni e persone con aggettivi negativi. Questo per rispondere a un'esigenza di verità che ritengo essenziale in qualsiasi scritto che non sia fantastico. Ma qualsiasi luogo e persona, nella sua miseria, ha suscitato in me una profonda comprensione e solidarietà.
Intoduzione
Sarajevo: un nome che mi ha sempre affascinato. Fin da un lontano giorno in cui, bambino, mi trovavo in Croazia con i miei genitori e vidi profughi e truppe nato, a causa del conflitto nella vicina Bosnia-Hercegovina, il cui centro era quella città assediata. Mi ricordo come allora decisi che ci sarei andato. Dopo vari anni e con vari viaggi alle spalle, è maturato in me un profondo interesse per le città ferite. La fatale storia di Berlino ha reso per me speciale questa città, e i suoi abitanti. Ecco che allora Sarajevo per me rappresenta una meta imprescindibile, insieme al desiderio di capire il popolo bosniaco, le sue etnie e differenze, la difficile convivenza. Ora, dopo esserci stato ho cominciato a capire alcune cose sulle vicende travagliate di questa gente. In Bosnia ci sono due entità geografiche: la Bosnia e la Hercegovina. Le entità politiche sono due: la federazione di Bosnia-Hercegovina, che comprende i bosniaci musulmani e i bosniaci croati cattolici. IL territorio di questa federazione è quello della Bosnia centrale e sud occidentale al confine con la croazia, la capitale è Sarajevo e Mostar è la capitale informale dell'Hercegovina.. L'altra entità politica è la Repubblica Serba di Bosnia-Hercegovina, che si trova nella parte nord orientale del Paese, al confine con la Serbia con capitale Banja Luka, e dove vivono bosniaci serbi di religione cristiana ortodossa. Tenendo fermi questi punti, e senza voler approfondire maggiormente, la guerra scoppiata nel 92 è stata la tragica conclusione di secoli di difficile convivenza, la quale è comunque continuata anche dopo la guerra. Il Paese ha tre presidenti, i quali rappresentano le tre etnie, al governo è attualmente quello della parte musulmana. Per questa disomogeneità, l'unione europea ha negato gli accordi di Schengen ai bosniaci. I quali, soprattutto i miei coetanei viaggiatori con i quali ho avuto modo di scambiare 2 chiacchiere, si sognano di fare un grand tour tra i paesi europei, perchè per ogni singolo stato devono richiedere il visto, e pagarlo a un prezzo sicuramente oneroso per le loro possibilità. Da ciò deriva una tendenza ad approfittarsene del visitatore europeo e non, come si vedrà anche dalle mie vicissitudini.
La gente che ho incontrato mostra in maniera evidente le sofferenze fisiche e morali della recente guerra. I modi che hanno sono sicuramente rudi, il livello dell'inglese parlato e compreso è molto basso. Una cosa positiva è che i prezzi sono veramente bassi, quindi nonostante a volte facciano un cambio euro-marco( 0,52 cent di euro) approssimativo, si cade sempre in piedi.
E ora veniamo a parlare di questo viaggio.
stazione ferroviaria di Sarajevo
esterno della stazione
Partenza
Ma come sono arrivato in questa stazione? Dopo un lungo viaggio in solitaria. Ripercorriamolo insieme.
Reduce da un interrail che ha coperto l'intero mese di luglio, tra regno unito ed Europa centrale, cercavo un modo per affacciarmi a est, girovagando un po da solo in Bosnia.
Immaginavo che una volta là, sarebbe stato abbastanza economico spostarsi e dormire. Informandomi in rete ho scoperto che esiste un autobus di linea che parte due volte alla settimana da Trieste ed affronta tutta la costa croata. Avrei quindi potuto prenderlo fino a Spalato o Dubrovnik e da lì spostarmi in Bosnia, dopo un soggiorno croato. Mi sarebbe piaciuto visitare Dubrovnik, ma essendo nella settimana centrale di agosto i prezzi sono abbastanza alti, e i posti pieni; inoltre, avendo pochi giorni a disposizione propendo per una visita della sola Bosnia. In questo momento mi trovo a Ferrara, e non a Roma, quindi dovrei prendere il treno per Trieste e da lì l'autobus di linea. Consultandomi con un amico che viaggia spessissimo di notte, con ogni mezzo, ma soprattutto treni e autobus, mi dice che la “traversata” è abbastanza ardua, oltre le 15 ore, ma con gli autisti che fanno il bello e il cattivo tempo, si fermano quando e quanto vogliono, passaggi lunghi alle frontiere per controllare i documenti, e altro ancora. Non del tutto convinto provo a cercare una via alternativa per il Balcani. E la trovo! Se guardate sulle porte di una delle qualsiasi chiese delle vostre città troverete molto facilmente dei manifesti per i pellegrinaggi a Medjugorje. É un villaggio appena al di là del confine bosniaco, ma di etnia totalmente croata, in cui da oltre 20 anni ci sono dei fenomeni soprannaturali, di apparizioni, per cui milioni di italiani vi si recano ogni anno.
Mi viene un'idea: telefono all'organizzatrice e spiego la mia situazione, ho bisogno di un passaggio fino a lì, per poi muovermi in autonomia, e quindi le chiedo di pagare solo la tratta in autobus, lei accetta. Addirittura sarebbe possibile, anche se più complicato, prendere il solo passaggio di andata, e poi per tornare, cercarne uno di ritorno tra le decine di gruppi che settimanalmente si trovano a Medjugorje, e risalgono la costa fino a Trieste e Venezia. Non è il mio caso perchè ho i giorni contati e quindi mi assicuro sia l'andata che il ritorno. Magari molti di voi troveranno antipatico passare delle ore in autobus con dei pellegrini che viaggiano con tutt'altro scopo che il vostro. Eppure è una bella occasione: loro vorranno testimoniare la loro fede, voi potrete testimoniare il vostro spirito di viaggio a delle persone che spesso si muovono solo in quelle occasioni o con scopi più turistici. Se poi pensate di trovarvi per diverse ore con un mucchio di anziani che snocciolano litanie siete sulla cattiva strada, infatti ci sono tantissimi giovani, non certo meno simpatici perchè hanno più fede di voi (non è detto), che animeranno il viaggio in maniera un po' diversa, tra canti e racconti.
Armato del mio fatidico zainone mi avvicino all'autobus in partenza alle dieci di sera di fronte a una chiesa di Ferrara. Riposti i bagagli, mi assicuro un posto in cui possa stare con un sedile libero accanto, per poter riposare meglio. Dopo i saluti iniziali il viaggio comincia, ed essendo notturno, c'è un pacifico silenzio. Sentendo un po' di musica provo ad addormentarmi ma capisco che sarà dura riposare, perchè un sedile e un letto non sono la stessa cosa. La prima tappa è dopo un po' di ore a Duino, il che mi fa molto piacere perchè sarebbe un sogno poter scappare a visitare il bellissimo castello, in cui Rilke scrisse le famose elegie, ma è piena notte! Rimango sveglio per godere, dopo poco tempo, della vista di Trieste dall'alto. La città avvolta in una foschia buia, si fa vedere attraverso mille luci, un immagine che non dimenticherò. Il confine sloveno è inesistente, totalmente aperto dalla parte italiana, e con un sommario controllo dalla parte slovena, si arriva infine a quello croato. Qui i controlli sono più rigidi, ma le carte d'identità italiane vengono viste molto velocemente. A bordo c'è una coppia africana, che vive in Italia, ma ha bisogno del visto per entrare in Croazia; hanno tre bambini piccoli. I loro documenti vengono sviscerati con pazienza dall'ufficiale croato, fino a che scopre che il visto è valido dal giorno dopo: niente da fare, non passano! Un neonato nella carrozzina, due bimbi poco più grandi, devono scendere con i genitori e tornare indietro. Sono le 4 di notte, stiamo per chiamare un taxi che li riconduca a Trieste, mentre passa un autobus nel senso inverso. Anche qui fanno storie per prenderli a bordo, ma poi alla fine riescono a salire, pagando lautamente il passaggio. Un po' triste per la scena a cui ho assistito, provo a riaddormentarmi mentre percorriamo i primi chilometri croati. L'autostrada è lunga e noiosa, il paese si estende verso sud in maniera interminabile. Le ore passano, e l'unico diversivo è la sosta in qualche autogrill, per la colazione. Bisogna pagare in Kune, le monete locali, ma non ne ho con me. Il cambio offerto con l'euro è da strozzini, sopratutto perchè è obbligatorio cambiare 50 euro, dovendone spendere solo pochi per la colazione. Aggiro il problema pagando con la carta, e così posso godermi un ottimo cappuccino con brioche. Il viaggio prosegue, con una strada molto monotona. Finalmente si esce dall'autostrada e si prosegue per il confine bosniaco. Il paesaggio comincia a ravvivarsi, con alcune colline ricoperte dal verde. E finalmente la barriera di confine, dove i controlli sono abbastanza lunghi. Non ne sono sicuro ma l'organizzatrice del viaggio, che fa la tratta ogni mese, ormai conosce il capo di questo posto, e per non avere problemi, gli lascia una busta e qualche bottiglione di vino. Passiamo quindi senza problemi. Dopo nemmeno un chilometro inizio ad assistere a scene che non mi lasceranno mai per tutti questi giorni. Lungo la strada donne e uomini vestiti quasi di stracci, vendono ortaggi e vasi di miele, in bancarelle improvvisate lungo il ciglio della strada, costruite con bancali e ferrivecchi. Donne che sembrano appartenere a un epoca molto lontana, con i capelli raccolti in un foulard, e la pazienza di aspettare anche ore sotto il sole, pur di racimolare gli spiccioli quotidiani. Solo più tardi mi renderò conto che questa parte vicino alla Croazia, è molto ben sviluppata grazie al resto del paese. Certamente Medjugorje ha portato con sé anche ogni tipo di business. Qui ci sono concessionari di auto lungo la strada, hotel e negozi di vestiti firmati. Roba che addentrandomi nel paese sparirà; non mancano certo i concessionari, ma in questa parte dell'Hercegovina tutto è più simile alla Croazia, e quindi di riflesso all'Europa. Pochi chilometri dopo il confine si arriva a Medjugorje. Chi soggiorna qui può tranquillamente pagare tutto in euro e parlare italiano. Infatti ci sono tantissimi negozi e alberghi: solo questa cittadina ha 11.000 posti letto, più che in tutto il resto della Bosnia. Il villaggio è caratterizzato dalla famosa chiesa nella piazza principale, e dalle varie case e hotel che si snodano accanto. Ci sono due colline, la collina della croce, il Krisevac, e la collina delle apparizioni, il Podbrdo. I pellegrini effettuano l'ascesa ad entrambe.
Io non posso partire subito, devo aspettare la mattina, e quindi faccio un giro perlustrativo, trovo un internet point e vado a bermi qualche birra. La temperatura è molto calda, come avrò modo di notare nei giorni seguenti, ma è quasi sera e si sta abbastanza bene. Dall'Italia mi sono informato degli orari degli autobus usando questo comodissimo sito che consiglio a tutti: [url="http://www.autobusni-kolodvor.com/en/terminal.aspx?k=173&d=070&dat=13.08.2010"]http://www.autobusni-kolodvor.com/en/te ... 13.08.2010[/url]
Da Medjugorje per inoltrarmi nel resto del Paese devo obbligatoriamente prendere un autobus per Mostar. Da Mostar c'è l'unico treno della Bosnia, che al prezzo di 10 marchi ( 5 euro) porta a Sarajevo. Ci sono solo due treni al giorno, uno alle 8 del mattino e uno alle 18 di sera. Vorrei prendere quello delle 8 ma non trovo un autobus che mi porti così presto a Mostar. Deciso quindi di andare direttamente a Sarajevo, che dista 4 ore da Medjugorje. Sono munito della Lonely Planet inglese sui Balcani, e di altre info prese on line. So che ci deve essere una stazione degli autobus, e mi reco dunque a cercarla. Mi dicono che è vicino alla posta. Nei pressi della posta vedo solo un cortile sporchissimo dove vengono scaricate ogni tipo di cose sul ciglio della strada, e una pensilina totalmente ricoperta di carte pubblicitarie, in bosniaco ovviamente. La plastica della pensilina è squarciata e vandalizzata in alcuni punti. Rimango un po' perplesso, non c'è un orario affisso, se non quello degli autobus internazionali, che in alcuni giorni portano anche a Malmoe o a Berlino.
Il viale che porta alla posta ha una fila di ristoranti e bar, e un pub, con un atmosfera da romanzo bukovskiano. Mi infilo in un pub e mi faccio servire una Karlovacko pivo, ghiacciata e ottima. Faccio alcune domande in inglese alla barista, ma non mi capisce, ci provo con l'italiano. Dopo vari tentativi capisce che cerco la stazione, mi indica la posta ma poi mi fa capire che non ne sa niente. Dopo altre richieste fallimentari entro nella posta, dove una impiegata parla inglese e mi dice che quella è fermata è la “stazione” e che i biglietti si comprano a bordo. Era quello che immaginavo ma non pensavo fosse così difficile averne una conferma. Dopo qualche birra vado a dormire in albergo, ho infatti concordato anche per questa notte e la cena. A cena quando affermo che sono in partenza la mattina seguente per Sarajevo, strabuzzano gli occhi: “ E che ci vai a fare a Sarajevo”- è la domanda che mi viene rivolta. Rispondo che vado a conoscerla. Rispondo che questo è un paese musulmano, pieno di moschee, e che siamo in pieno ramadan, ma le persone che sono state qui diverse volte non se lo immaginano nemmeno; forse il mio viaggio può essere servito a qualcosa.
Finalmente arriva la mattina, e con tanta adrenalina addosso, e il mio immancabile zaino, mi reco alla fermata degli autobus. C'è qualche persona in attesa, e un poliziotto che si guarda attorno. Gli dico la parola Sarajevo e lui annuisce. Non mi resta che aspettare. Abbastanza puntuale arriva il mio autobus. L'autista scende a fare i biglietti, sono circa 11 euro, dopodiché mi strappa lo zaino dalle mani e lo butta violentemente nel vano bagagli. Questo gesto sancisce il mio benvenuto in Bosnia. Comincio a meravigliarmi divertito dei modi di questa gente, e di come sono tutto le cose qua.
L'autobus nella sua sporcizia è bellissimo, lo trovo poetico: sedili di velluto sporchi di merda, chewingum e cicche di sigarette. Da alcuni sedili spuntano le molle, e in altri si fanno semplicemente sentire sul sedere. Sembra che da questo velluto marrone spunti polvere ad ogni movimento, e avendo i pantaloni corti, ho un esperienza sensoriale maggiore con quello che mi circonda. Mi piace questa rudezza: sono felice.
La cosa positiva è che l'aria condizionata è al massimo e quindi posso godermi della vista dal finestrino. Presto la strada comincia ad inerpicarsi e diventa un percorso tra strade strettissime di montagna, con numerose e pericolose curve. Non esagero dicendo che su questi autobus si rischia la vita. I conducenti guidano a una velocità esagerata e affrontano le curve in maniera spericolata. In più guidano perennemente con una sola mano, poiché sono sempre impegnati a fumare o a parlare al cellulare. Gradualmente ci si abitua anche a questa situazione e così mi concentro sul paesaggio. Le montagne e vallate sono molto belle, e spesso delle macerie a bordo strada ricordano come questi posti sono stati contesi spargendo molto sangue durante la guerra. In poco più di mezz'ora si arriva a Mostar, che si vede inizialmente dall'alto, incastonata com'è in una vallata, divisa dal fiume Neretva. Non riesco a vedere niente della città, per fortuna, visto che sarà la mia tappa sulla via del ritorno, se non un enorme cimitero che dalla cima di una montagna scende verso la città, posto in verticale. Le tombe sono tantissime, e anche se non riesco a vederlo con i miei occhi, so che portano la data del 1992.
Per ora vedo solo la stazione secondaria, e non mi viene svelato quel gioiello che è Mostar. Senza alcun sospetto proseguo il mio viaggio verso la capitale. Per diverso tempo la strada costeggia il fiume, dal colore spettacolare, che sull'altra riva è costeggiato dalla ferrovia. Il percorso sostanzialmente è lo stesso, quindi non mi perdo il meraviglioso panorama. Rimango come ipnotizzato a fissare il colore dell'acqua, che sembra possedere qualche strano sortilegio. Osservo le persone che per sfuggire dal caldo vi si tuffano costantemente. Le montagne dalle bellissime forme mi ricordano come questo paese abbia potuto ospitare le olimpiadi invernali. In alcuni punti il fiume si apre in bacini più ampi, dando vita a dei laghi bellissimi.
Lungo il tragitto numerosi ponti sovrastano la Neretva, alcuni dei quali molto spettacolari.
Presto comincio a scorgere i primi minareti, svettanti sopra ogni villaggio, anche di poche case. Sono le prime moschee che vedo nella mia vita, e sono emozionato, anche perchè dalla cima di esse sventola la bandiera verde con il simbolo dell'Islam. I bosniaci musulmani sono chiamati bosgnacchi, e costituiscono il sostrato molto antico, infatti la Bosnia è stata parte dell'impero ottomano per oltre 400 anni. E l'islam è la vera e prima religione della bosnia. I cattolici sono una minoranza di origine croata, e gli ortodossi sono i serbi: i più odiati. Inizialmente cattolici e musulmani furono uniti nella lotta contro i serbi ortodossi. Poi le tre fazioni si divisero e combatterono senza pietà. I musulmano furono i più colpiti, portati in campi di concentramento, massacrati e cacciati dai serbi. Sarebbe impensabile oggi un matrimonio tra un bosniaco serbo e una musulmana, e viceversa. Proprio la cattedrale ortodossa di Sarajevo è la più distrutta. Ora che la Bosnia ha un premier musulmano, la religione diventa un collante essenziale, e le moschee vengono ricostruite ed erette con grande orgoglio, Vedo con i miei occhi dall'autobus i muratori lavorare all'edificazione di nuove moschee, bianche, con il classico minareto longilineo.
La mia colonna sonora di questo viaggio è quella di un cantante che si è dedicato a dare voce agli ultimi, i diseredati, i profughi: Manu Chao. Il mio ricordo di questi paesaggi rimarrà sempre legato ai versi di Clandestino, Desaparecido, Rainin in Paradise, Bongo Bong, e soprattutto POLITIK KILLS:
politik use drugs
politik use bombs
politik need torpedoes
politik needs blood
thats why my friend is an evidence politik is violence
what my friend is a evidence politik is violence
Le montagne e i laghi formano dei paesaggi da cartolina mozzafiato, e mi chiedo come la gente di qui si possa essere dedicata alla guerra di fronte a una bellezza naturale così evidente. Presso Jablanica soprattutto ci sono dei luoghi in cui si può fare una splendida villeggiatura, a prezzi irrisori sicuramente, e che consiglio a tutti.
L'autista continua la sua guida spericolata, fumando e parlando al cellulare. La cosa curiosa è che le fermate sono personalizzate: oltre a quelle principali nei paesi, spesso le persone chiedono di essere lasciate a un certo punto della strada, vicino alla loro casa. Gli altri passeggeri sono locali che vanno da un villaggio all'altro e qualche persona che va nella capitale, una coppia australiana sta facendo il tratto da Dubrovnik a Sarajevo. I volti delle persone sono duri e arcigni, solcati dalle rughe che danno l'idea di come alcuni mesi e anni terribili possano valere come se fossero molti di più. Per ore l'autobus transita su strade di montagna e costeggiando il fiume, solo una ventina di chilometir prima di entrare in città inizia una specie di superstrada, che costituisce l'arteria esterna della capitale, ma che paragonata con le nostre strade potrebbe essere una provinciale. Finalmente si scorgono le periferie di quella che sembra essere una grande città. Grandi palazzoni dalla vernice scrostata e pieni di buchi di pallottole, alcuni ancora con grandi vestigia di guerra, danno subito l'idea di dove ci troviamo. L'autobus fa diverse fermate cittadine prima di arrivare alla stazione degli autobus, giusto accanto a quella dei treni. Eccomi finalmente arrivato nel cuore della Bosnia, dopo un lungo viaggio in solitaria, con tanta voglia di visitare questa città.
Sarajevo
La stazione degli autobus è adiacente a quella dei treni, che è deserta. I treni giornalieri sono veramente pochi e l'atmosfera è surreale. Nell'atrio della stazione non c'è nessuno passeggero, nessun impiegato. Sotto il sole cocente mi avvio verso la il grande piazzale, anch'esso con un atmosfera un po' desolata ma affascinante. La prima immagine che vedo è quella di alcuni bambini, di etnia gitana, che scorrazzano per tutta la piazza, sporchi, poco vestiti, alcuni completamente nudi. Rimango molto stupito da questa situazione, che meriterebbe una fotografia, ma per pudore preferisco non fotografare certe scene forti, e farò così anche nel proseguo del viaggio. Vedo i binari del tram, che porta in centro, e di fronte ad essi un'edicola.
La prima cosa che chiedo è una bottiglia di aranciata ghiacciata, che mi costa poco più di 50 centesimi, poi un biglietto dei mezzi pubblici, 70 centesimi. Non so ancora che mi aspetta la peggiore disavventura di questo viaggio. Arriva il tram e salgo. Dopo pochissimi metri il mezzo si inchioda e dobbiamo scendere tutti perché c'è un guasto. Prendo allora quello che passa subito dopo, con il biglietto che avevo appena vidimato. L'autobus svolta verso una grande strada, dove vedo il leggendario Holiday Inn giallo, dove risiedevano tutti i giornalisti in tempo di guerra, e fu colpito anch'esso dai bombardamenti: questa via ha un nome emblematico, è il viale dei cecchini. Dopo nemmeno una fermata salgono i controllori. Un tizio dal viso molto rude dice che il mio biglietto non va bene: “problem, problem”, inizia a gridare. Io inizio a spiegare la situazione, di come ci hanno fatto scendere dal tram per un guasto, ma lui non capisce, o non vuole capire, nemmeno una parola del mio inglese. I modi usati sono molto aggressivi e con atteggiamenti spietati. Io sono decisamente infastidito dalla situazione, perché non è colpa mia che il mezzo si sia bloccato. Lui continua a farmi vedere che sul mio biglietto c'è un numero, che probabilmente indica la matricola del veicolo, che è differente da quello in cui siamo. Nella sventura mi assiste un po' di fortuna, ci sono altri italiani. Sono una coppia di Roma, con la quale ho scambiato qualche parola mentre aspettavo il tram. Hanno visitato Sarajevo e sono diretti a Belgrado. Una volta capita la situazione, mi vengono in soccorso, facendo letteralmente casino. Nel frattempo si scende, i controllori e noi italiani. Il tizio cattivo viene accerchiato da noi tre che protestiamo in inglese, ma lui non vuole capire una sola parola, e per mettere un po' di paura grida: “passport, passport”, vuole il mio documento. Io glielo do e capisco che lui non vuole assolutamente lasciarsi scappare l'occasione di intascare un po' di soldi, nonostante sappia perfettamente quello che sia successo. Ora mi dice che devo pagare: “money, money”, si tratta di 26 marchi, tredici euro. La cifra mi fa quasi ridere, perchè rispetto ai 100 euro della multa che fanno a roma, questa è decisamente più leggera. Ma il ragazzo romano mi fa notare che con quei soldi posso farmi una decina di birre qui a Sarajevo, e quindi non cedo. Noi 3 continuiamo a gridare e ora anche gli altri controllori ci accerchiano. A un certo punto, uno più anziano e alto comincia a discutere con quello che mi ha fermato, e ben presto iniziano a litigare nella loro lingua. Pur non capendo una parola intendiamo che l'altro vuole lasciarmi andare, mentre quello più giovane vuole i soldi. La situazione si risolve quando quello vecchio, sicuramente più autorevole, strappa il mio documento dalle mani dell'altro, me lo consegna e mi fa segno di andare. Non me lo faccio ripetere due volte e volto le spalle insieme ai miei soccorritori romani, mentre gli altri due continuano un'accesa discussione. Questo è benvenuto che ricevo a Sarajevo. Sono abbastanza scosso, perché dopo 4 ore di un tranquillo viaggio in cui mi sono riempito gli occhi di tanta bellezza, non mi sarei mai aspettato di dover essere portato così rudemente coi piedi per terra, in una discussione con un ufficiale bosniaco. Infatti, anche se si trattava soltanto di un controllore, aveva un aspetto marziale. Ora mi sento veramente felice di avere 26 marchi in più, dal momento che il mio ostello ne costa 22. Non so come ringraziare i ragazzi che sono venuti in mio soccorso, ma per loro si tratta semplice di un gesto di solidarietà verso un connazionale. Non contenti decidono di accompagnarmi verso la zona in cui si trova il mio ostello. Pensandoci ora, il loro incontro è stato davvero provvidenziale, perché in quel momento, con 40 gradi, lo zaino in spalla, e un imprevisto del genere, ero un po' fuori di me. Sarajevo mi accoglie in maniera molto forte, anche perché appena prendiamo la prima via che ci porta nel cuore del centro, che si sviluppa in maniera concentrica, mi trovo di fronte alla grande moschea di Baščaršija.
Siamo in periodo di ramadan, oggi è venerdì e si sta svolgendo la solenne preghiera. É uno spettacolo mi lascia una forte impressione: per la prima volta mi sento “dentro” una situazione di cui ho sempre sentito parlare, o che ho immaginato. Il muezzin intona la preghiera e una folla di uomini inginocchiati ognuno sul suo tappetino riempie tutta la moschea e il cortile esterno. Quante volte sentiamo parlare di islam al telegiornale, quante volte questi mezzi di conoscenza, ci allontanano rendendoci sempre più “altri” e diversi. Ora che sono a pochi metri da questa scena, mi sembra del tutto naturale, così come nel viaggio in autobus, vedere un minareto in ogni cittadina, così come in Italia un campanile in ogni paese. Quello che si apprende viaggiando è la fantastica varietà degli usi e costumi umani, che nella loro diversificazione possono ricondursi ad alcuni origini comuni. Naturalmente è enorme lo stupore di assistere a questa scena, in un attimo vedo la mia prima moschea, e proprio durante la preghiera del venerdì di ramadan, uno dei giorni più sacri di tutto l'anno per i musulmani. MI sento fortunato e apprezzo tantissimo questa opportunità. Questi pensieri circolano nella mia testa in pochi secondi, giusto il tempo di alcuni sguardi, mentre seguo i miei connazionali-salvatori, che mi stanno indicando la strada. Tutt'intorno alla moschea, la struttura del quartiere mi lascia frastornato. Ci si trova in un quartiere dallo stile ottomano, ovviamente ricostruito dopo la guerra, ma come da altre parti in Bosnia, restaurato in maniera molto accurata.
Viuzze acciottolate costituiscono questo piccolo labirinto di Baščaršija, che ha tutto l'aspetto di un suk orientale. I muri di pietra degli edifici sono coperti da particolari tetti marroni, che sono caratteristici dello stile del posto. In questo quartiere è tutto un susseguirsi dei più disparati negozi artigianali, che vendono tappeti, tessuti, ogni tipo di oggetto in rame, dalle incisioni alle tipiche tazzine da caffè in stile turco.
Non sono stato in Turchia ma, chissà perché, ho l'impressione di trovarmici. Sarà per i profumi e i colori così differenti, che mi avvolgono ed avvincono. Sarajevo è bellissima.
Dopo questo primo e insufficiente sguardo dalla città, è giunto il momento di separarmi dai miei amici romani; gli auguro un buon viaggio verso la Serbia e vado in ostello. Questo si trova in una via del centro, di fronte alla cattedrale cattolica, che immagino ispiri quella di Medjugorje, data la simile architettura.
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Mi trovo in quella parte del centro in cui si passa, dalla parte ottomana, a quella austro-ungarica. Si può notare a vista d'occhio il cambio architetturale. Mi dirigo verso l'ostello. È l'hostel city center, e dico senz'altro che si tratta dell'ostello più organizzato in cui sia mai stato. Si trova all'ultimo piano di un palazzo molto centrale e comodo per visitare la città. L'ho prenotato mandando una semplice e-mail, e loro questa mattina, mi hanno scritto un sms per dirmi che mi stavano aspettando e chiedendomi una conferma, metodi molto familiari ma apprezzati. L'ostello è completamente in legno e parquet. A differenza di quanto mi immaginavo, lo standard è altissimi. Numerosi computer con internet gratuito, divani e common room attrezzata con schermo al plasma e playstation 3. È decisamente troppo, è vero, ma non pensate che sia un ostello molto globalizzato: all'ingresso è assolutamente obbligatorio togliere qualsiasi tipo di calzatura, ciabatte e infradito comprese e girare scalzi. Numerosi cartelli indicano di attenersi a questo tipo di comportamento, e nonostante tutto, appena varcata la soglia, lo stesso messaggio viene gridato nel caso non si sapesse leggere. Anche i ragazzi della reception camminano scalzi. Qui avviene così a casa, in moschea, e in altri luoghi presumo. Contento di attenermi alle tradizioni locali, lo sono maggiormente quando entro nella mia camera. É molto spaziosa e comoda, e approfitto subito della doccia. Tra il viaggio in autobus e le varie disavventure sono completamente sudato: sono le 14 e ci sono quaranta gradi. La doccia è rigenerante: la sensazione di infilarsi una camicia di lino, e uscire a passeggiare con la propria macchina fotografica è molto vicina a quella della massima libertà.
Con occhi curiosi e passo avido mi inoltro in Baščaršija, percorrendola fino in fondo, dove si trova la piazza Sebilj, famosa per la sua fontana e per i piccioni che vi si radunano.
Sarà per il caldo, ma io di piccioni non ne vedo, c'è invece una lunga coda per abbeverarsi. Tra la piazza e le viuzze ci sono numerose moschee. Sarajevo è la città in cui si trovano in pochi metri una chiesa, una moschea e una sinagoga; questo la rende unica. Dopo queste prime considerazioni, mi ricordo di aver saltato il pranzo, e in pieno pomeriggio, con un caldo infernale, mi sforzo di mangiare. Mi siedo in uno dei tanti magnifici ristorantini dai tavolini di legno e tovaglie e tappeti colorati. Ordino Ćevapčići e pivo. I primi sono il piatto nazionale bosniaco, anche se si trovano in tutti i balcani. Si tratta di piccole salsicce di carne, molto saporite, servite all'interno di una focaccia, spesso con della cipolla. É il piatto di cui i bosniaci vanno matti, perché voltando lo sguardo, si vede Ćevapči ovunque.
Pivo è il nome slavo per la birra, e anche se la tradizione vuole che il Ćevapči vada accompagnato da un bicchiere di latte, io sono estremamente ansioso di provare la Sarajevsko Pivo.
La spesa totale è meno di tre euro. La carne è molto buona, dal sapore casereccio, la birra ghiacciata sarà mia fedele e generosa compagna di questi giorni. Dopo questo lauto e veloce pasto, continuo a camminare per le stradine, e mi ritrovo dietro la moschea. Decido di entrare nel cortile. Un buffo cartello mostra i divieti, tra qui quello di entrare con un mitra; forse da queste parti può essere come considerato come un telefono cellulare. Dopo la preghiera, il posto si è svuotato, rimangono solamente alcuni uomini che giacciono sui tappeti sotto il portico dell'ingresso. Qui si trovano ammassati tappetini colorati di ogni qualità, che i fedeli possono prendere liberamente. Non riesco a capire molto quello che fanno: uomini sdraiati nelle più varie posizioni, sembrano più fare una siesta pomeridiana, che pregare. Non mi trattengo a lungo in questo luogo, che seppur molto interessante, non trovo molto familiare, e non mi va di fare il turista curioso e che fotografa morbosamente ogni angolo, come un giapponese in una nostra cattedrale.
Nel cortile e intorno alla moschea tutte le donne che vedo indossano il velo; alcune scelgono nei mercatini attorni i tessuti e i colori, molto sgargianti e attraenti. Non sembrano donne sottomesse, ho visto con i miei occhi una donna rimproverare il marito in mezzo alla strada. Più avanti scopro un mercato coperto, che ospita in un antico edificio in pietra, molto fresco, i migliori artigiani. Compro un bellissimo velo viola, dai bordi di tantissimi colori. Sono curioso di spingermi verso la parte austroungarica, alle soglie della quale, è posto un fuoco perenne. Qui cominciano i negozi più commerciali, con una vera e propria via dello shopping, ma a parte una Benetton, non vedo nessuna grande multinazionale. Alla fine di questo viale è stato costruito un moderno palazzo che ospita un piccolo centro commerciale, qui considerato il posto più all'avanguardia, con cinema, discoteca, ristoranti. Finalmente trovo uno sbocco sul fiume e i ponti, che a dire la verità sono entrambi in miniatura. Il “fiume” cittadino, la Miljacka, è poco più di un canale, e i ponti molto piccoli, anche se su uno di essi il “ponte latino” è stato assassinato l'erede al trono dell'Impero Austro Ungarico Francesco Ferdinando per mano del giovane nazionalista serbo Gavrilo Princip, dando inizio alla prima guerra mondiale.
Non riesco ancora a vederlo, ma posso avere una panoramica su questa parte della città, dove spicca il maestoso edificio dell'accademia di belle arti, dalla cupola verde.
Che follia assediare questa città; inoltrandomi a zonzo per le vie trovo un sacco di palazzi “groviera”, trafitti da un tantissimi buchi di proiettili. Sono ancora così, fanno parte dello skyline di Sarajevo. Anche alcuni palazzi governativi presentano queste ferite, e su di essi sventola la bandiera bosniaca, a dimostrazione che la vita va avanti, oltre la follia.
Torno in ostello. La common room è affollatissima. Ragazzi olandesi si sfidano a partite di calcio virtuali alla playstation. Altri ospiti rimangono fissi sui pc per ore, senza darmi la possibilità di controllare la posta e fare una telefonata skype. Noto un paio di facce simpatiche e decido di scambiare qualche parola. Questo evento cambierà il mio viaggio. Faccio amicizia con Ferrán e Joan, due ragazzi spagnoli, che stanno girando tutti i Balcani in autobus. Mi raccontano il loro itinerario: dalla Slovenia sono scesi in Croazia, a Zagabria e poi a Spalato; di qui a Sarajevo. Hanno intenzione di proseguire per Mostar e Dubrovnik. Io racconto del inter-rail che ho fatto il mese precedente, tra Scozia, Inghilterra e resto d'Europa. Rimangono molto colpiti da queste esperienze di viaggio perché non hanno mai usufruito del pass ferroviario. Troviamo subito terreno comune e decidiamo di passare la serata insieme, andando a cena e poi a scoprire la notte di Sarajevo.