Emir Kusturica, o della ex jugoslavia
Inviato: 03/02/2009, 17:11
Questo l'articolo che scrissi anni fa per Cinemah. Il fascino che ha sempre esercitato su di me questo regista apolide eppure innamorato della sua terra penso traspaia molto chiaramente. Vidi Underground con un moto quasi di fastidio, tanto era forte il materiale trattato e quanto il dolore che ne traspariva, un fastidio che mi spinse ad approfondire e meglio valutare.
Quanto segue e' frutto quindi di anni di studio, di film visti e rivisti diverse volte, di vari incontri con l'autore. E' denominato il Fellini dei Balcani eppure, per quanto ami il nostro Fellini, secondo me il paragone e' riduttivo.
Emir Kusturica
http://www.cinemah.com/schede/kusturica.html
CIO' CHE E' IN ALTO E' IN BASSO, CIO' CHE E' IN BASSO E' IN ALTO: IL CINEMA DI EMIR KUSTURICA
"Quando è sparita la Jugoslavia, io sono diventato invisibile".
Alaska. Un cane bianco leva il muso al cielo, ed annusa l'aria fredda. E' un'immagine di una bellezza e di una potenza straordinaria, ma non abbiamo il tempo per commuoverci, ché un attimo dopo eccoci a seguire il volo lieve di un palloncino rosso, che ci porta dritti a New York, dritti nel sogno americano di un uomo di Sarajevo.
Impossibile fare ordine in un cinema che fa della poetica del disordine e del disequilibrio la sua forza, impossibile fermarsi a pensare o a riflettere di fronte al caleidoscopio di immagini eccessive, sfrenate e contraddittorie che sono, da sempre, il tratto distintivo del cinema di Emir Kusturica. E allora non possiamo far altro che seguire quel palloncino, o un velo da sposa, e lasciare che lui, l'uomo di Sarajevo, ci apra il suo cuore...
Arte, storia, guerra, bambini, immagini grottesche, discriminazioni razziali, c'è già tutto nel cortometraggio che Kusturica gira come suo saggio di diploma nel 1978, "Guernica": un padre spiega al figlio che gli ebrei si riconoscono per le dimensioni e la forma del naso e il bambino, nel suo personalissimo tentativo di ribellarsi alla discriminazione di cui si sente oggetto, prende un album di famiglia, vi ritaglia tutti i nasi fino a ricomporli in un'immagine, grottesca e caotica, disordinata e terribile, come il celebre dipinto di Picasso. Lo sguardo del bambino sul mondo, qui appena accennato, torna prepotentemente in "Papà è in viaggio d'affari" (1985), dove diviene la vera chiave di lettura del film: è il piccolo Malik, infatti, che ci accompagna attraverso il dipanarsi della storia, con il candore della sua età (papà non è stato deportato in un campo di lavoro per aver parlato male del regime di Tito, papà è... in viaggio d'affari). E' il piccolo Malik che fa da complice involontario ai tradimenti del padre. E', infine, il piccolo Malik quello che sembra avere, più di tutti, il senso della famiglia, dell'unione.
Il film si chiude con un banchetto di nozze, si chiude su due donne, la sposa e la madre di Malik, di nuovo incinta. Si chiude su un matrimonio, evento che si ripete nella quasi totalità dei film di Kusturica, e si chiude sulla figura della donna, portatrice dolorosa della continuità dell'esistenza.
Ed è proprio il tema familiare quello che sembra stare più a cuore a Emir Kusturica, ancorché spesso metafora di eventi più complessi, in quanto microcosmo perfetto in cui rispecchiare, e realizzare, il macrocosmo.
Nel suo primo lungometraggio, "Arrivano le spose" (1979), tutta la storia si svolge nei pressi di una pensione gestita da una donna e dai suoi due figli, avuti da padri diversi: una minuscola cellula sociale dove prevalgono la violenza, l'omertà, la perversione, la cupezza, tanto che, nonostante alcuni rari momenti comici e alcune altrettanto rare aperture nei boschi ciò che più si prova è un forte senso di claustrofobia, che culmina nello stupro collettivo del festino finale del quale nulla vediamo e tutto capiamo. In "Ti ricordi di Dolly Bell?" (1981) un vecchio brontolone, ubriacone e simpaticissimo cerca di gestire la propria famiglia come fosse una sezione di partito. In "Underground" (1995) due uomini amano la stessa donna: una metafora forse un po' banale e scontata per esprimere la condizione jugoslava, ma che consente a Kusturica di narrare mezzo secolo del suo paese attraverso "il realismo dell'irrealtà", di far provare a tutti noi quanto quella terra da lui tanto amata stia affondando. "Underground" è il suo film più eccessivo, più ridondante, più immaginifico, più tutto. Una vera indigestione di suoni immagini colori significati, un rifluire di emozioni che - a parere di chi scrive - aveva trovato assai migliore espressione nel piccolo ed immaturo "Bar Titanic" (1980): lì, a inchiodare Mento e Stjepan l'uno contro l'altro, piccola e meschina gente che la guerra mette contro senza apparente motivo, era bastata l'immagine del quadro del famosissimo transatlantico che scivola dalla parete del bar.
Emir Kusturica vive il disordine non solo come cifra stilistica, ma anche come formazione culturale ed esistenziale: legato ad un concetto di una Jugoslavia multietnica che nella realtà non esiste o comunque non esiste più, contrario ideologicamente a qualsiasi concezione di tipo nazionalistico, nel suo "rifiuto di appartenenza" si avvicina per forza di cose al mondo dei gitani, onirico, magmatico, senza costrizioni di tempo e spazio, panico, a strettissimo contatto con la natura e gli animali. "Il tempo dei gitani" (1989) e "Gatto nero gatto bianco" (1998) sono i film in cui Kusturica si è sentito più libero, sono mondi che seguono leggi fisiche proprie, dove tutto è possibile, anche che le spose volino, i cucchiai camminino sui muri, i morti resuscitino, i corpi levitino, i tacchini divengano amici fraterni, i maiali divorino automobili, i gatti facciano da testimoni ad un matrimonio. Se proprio dovessimo scegliere un'immagine su cui far posare il nostro palloncino rosso, un'immagine capace di riassumere in se' il cinema di questo "acrobata gitano" ("Credo che il circo sia la forma spettacolare più forte prima del cinema, una di quelle che lo ha anticipato", Emir Kusturica, 1998), sarebbe quella del fiume ne "Il tempo dei gitani": luci, suoni, sogni, colori, persone che si mescolano le une con le altre, magia. Il cinema di Emir Kusturica, 44 anni, è questo, e molto di più. Sconvolto e incattivito dalla scia di polemiche seguita all'uscita di "Underground", Kusturica giurò che mai più in vita sua avrebbe girato un film. Per fortuna non ha mantenuto fede alla sua parola.
Quanto segue e' frutto quindi di anni di studio, di film visti e rivisti diverse volte, di vari incontri con l'autore. E' denominato il Fellini dei Balcani eppure, per quanto ami il nostro Fellini, secondo me il paragone e' riduttivo.
Emir Kusturica
http://www.cinemah.com/schede/kusturica.html
CIO' CHE E' IN ALTO E' IN BASSO, CIO' CHE E' IN BASSO E' IN ALTO: IL CINEMA DI EMIR KUSTURICA
"Quando è sparita la Jugoslavia, io sono diventato invisibile".
Alaska. Un cane bianco leva il muso al cielo, ed annusa l'aria fredda. E' un'immagine di una bellezza e di una potenza straordinaria, ma non abbiamo il tempo per commuoverci, ché un attimo dopo eccoci a seguire il volo lieve di un palloncino rosso, che ci porta dritti a New York, dritti nel sogno americano di un uomo di Sarajevo.
Impossibile fare ordine in un cinema che fa della poetica del disordine e del disequilibrio la sua forza, impossibile fermarsi a pensare o a riflettere di fronte al caleidoscopio di immagini eccessive, sfrenate e contraddittorie che sono, da sempre, il tratto distintivo del cinema di Emir Kusturica. E allora non possiamo far altro che seguire quel palloncino, o un velo da sposa, e lasciare che lui, l'uomo di Sarajevo, ci apra il suo cuore...
Arte, storia, guerra, bambini, immagini grottesche, discriminazioni razziali, c'è già tutto nel cortometraggio che Kusturica gira come suo saggio di diploma nel 1978, "Guernica": un padre spiega al figlio che gli ebrei si riconoscono per le dimensioni e la forma del naso e il bambino, nel suo personalissimo tentativo di ribellarsi alla discriminazione di cui si sente oggetto, prende un album di famiglia, vi ritaglia tutti i nasi fino a ricomporli in un'immagine, grottesca e caotica, disordinata e terribile, come il celebre dipinto di Picasso. Lo sguardo del bambino sul mondo, qui appena accennato, torna prepotentemente in "Papà è in viaggio d'affari" (1985), dove diviene la vera chiave di lettura del film: è il piccolo Malik, infatti, che ci accompagna attraverso il dipanarsi della storia, con il candore della sua età (papà non è stato deportato in un campo di lavoro per aver parlato male del regime di Tito, papà è... in viaggio d'affari). E' il piccolo Malik che fa da complice involontario ai tradimenti del padre. E', infine, il piccolo Malik quello che sembra avere, più di tutti, il senso della famiglia, dell'unione.
Il film si chiude con un banchetto di nozze, si chiude su due donne, la sposa e la madre di Malik, di nuovo incinta. Si chiude su un matrimonio, evento che si ripete nella quasi totalità dei film di Kusturica, e si chiude sulla figura della donna, portatrice dolorosa della continuità dell'esistenza.
Ed è proprio il tema familiare quello che sembra stare più a cuore a Emir Kusturica, ancorché spesso metafora di eventi più complessi, in quanto microcosmo perfetto in cui rispecchiare, e realizzare, il macrocosmo.
Nel suo primo lungometraggio, "Arrivano le spose" (1979), tutta la storia si svolge nei pressi di una pensione gestita da una donna e dai suoi due figli, avuti da padri diversi: una minuscola cellula sociale dove prevalgono la violenza, l'omertà, la perversione, la cupezza, tanto che, nonostante alcuni rari momenti comici e alcune altrettanto rare aperture nei boschi ciò che più si prova è un forte senso di claustrofobia, che culmina nello stupro collettivo del festino finale del quale nulla vediamo e tutto capiamo. In "Ti ricordi di Dolly Bell?" (1981) un vecchio brontolone, ubriacone e simpaticissimo cerca di gestire la propria famiglia come fosse una sezione di partito. In "Underground" (1995) due uomini amano la stessa donna: una metafora forse un po' banale e scontata per esprimere la condizione jugoslava, ma che consente a Kusturica di narrare mezzo secolo del suo paese attraverso "il realismo dell'irrealtà", di far provare a tutti noi quanto quella terra da lui tanto amata stia affondando. "Underground" è il suo film più eccessivo, più ridondante, più immaginifico, più tutto. Una vera indigestione di suoni immagini colori significati, un rifluire di emozioni che - a parere di chi scrive - aveva trovato assai migliore espressione nel piccolo ed immaturo "Bar Titanic" (1980): lì, a inchiodare Mento e Stjepan l'uno contro l'altro, piccola e meschina gente che la guerra mette contro senza apparente motivo, era bastata l'immagine del quadro del famosissimo transatlantico che scivola dalla parete del bar.
Emir Kusturica vive il disordine non solo come cifra stilistica, ma anche come formazione culturale ed esistenziale: legato ad un concetto di una Jugoslavia multietnica che nella realtà non esiste o comunque non esiste più, contrario ideologicamente a qualsiasi concezione di tipo nazionalistico, nel suo "rifiuto di appartenenza" si avvicina per forza di cose al mondo dei gitani, onirico, magmatico, senza costrizioni di tempo e spazio, panico, a strettissimo contatto con la natura e gli animali. "Il tempo dei gitani" (1989) e "Gatto nero gatto bianco" (1998) sono i film in cui Kusturica si è sentito più libero, sono mondi che seguono leggi fisiche proprie, dove tutto è possibile, anche che le spose volino, i cucchiai camminino sui muri, i morti resuscitino, i corpi levitino, i tacchini divengano amici fraterni, i maiali divorino automobili, i gatti facciano da testimoni ad un matrimonio. Se proprio dovessimo scegliere un'immagine su cui far posare il nostro palloncino rosso, un'immagine capace di riassumere in se' il cinema di questo "acrobata gitano" ("Credo che il circo sia la forma spettacolare più forte prima del cinema, una di quelle che lo ha anticipato", Emir Kusturica, 1998), sarebbe quella del fiume ne "Il tempo dei gitani": luci, suoni, sogni, colori, persone che si mescolano le une con le altre, magia. Il cinema di Emir Kusturica, 44 anni, è questo, e molto di più. Sconvolto e incattivito dalla scia di polemiche seguita all'uscita di "Underground", Kusturica giurò che mai più in vita sua avrebbe girato un film. Per fortuna non ha mantenuto fede alla sua parola.