Giorni: partenza 9/9 – ritorno 14/9
Partecipanti: io, da solo. Serata del 13 e volo di rientro in compagnia di un altro forumista (che ora, per dare un po’ di suspence, non svelo) e due suoi amici.
Tragitto: Przemysl – L’viv - Krakow
Giorno 1: Przemysl
“Sto per partire. Ho sensazioni brutte. Vedremo”. Con questo sms salutavo G. prima di imbarcarmi sul volo Bergamo – Cracovia. Per problemi di lavoro ha dato forfait e mi ritrovo in solitaria. Brutte sensazioni non date dal fatto di essere da solo, non è la prima volta. Per una serie di problemi personali di varia natura, non ultimo il fatto che accidentalmente mi ero quasi rotto il piede destro dieci giorni prima e ancora il dolore non cessava. 20 giorni di continue Caporetto, su tutti i fronti. E finalmente un viaggio, la cura migliore. Viaggiare allontana, almeno per un po’, dalla realtà. È una banalità, ma mai come questa volta ne avevo bisogno.
Manca la tensione, l’emozione, l’allegria che spesso accompagnano il giorno della partenza. Sino all’ultimo, alla sera prima, sono stato tentato di abbandonare l’impresa, ma alla fine eccomi qua. Ancora un altro volo, ancora un’altra avventura.
Atterrerò a Cracovia ma fuggirò subito via. Non ho voglia di rivederla e non fosse per obbligo l’ultimo giorno prima del rientro, la eviterei. Ho voglia di novità.
Atterro e mi dirigo subito al trenino che porta in centro. Ho circa 60 minuti di tempo, sulla carta, per arrivare a Krakow Glowny e prendere il primo treno per Prezmysl. Solo che il trenino delle 12:54 non arriva. È saltato. Tutto ciò è tremendamente italiano. Bene, mi sembra giusto, così il distaccamento dalle tradizioni italiane per abbracciare quelle straniere sarà meno traumatico.
Ora sono costretto a prendere quello delle 13:24 e ho circa 20 minuti di tempo per prendere il treno per Przemysl più giusto, gli altri ci mettono troppo o partono troppo in ritardo. Non ho ancora prenotato nulla, non posso arrivare troppo tardi nella cittadina polacca, rischierei di non vedere nulla. Il salto del treno mi costringe ad evitare il pranzo. Arriverò a Preszmysl a stomaco vuoto, quasi senza bere (se si esclude mezza bottiglietta d’acqua), senza nulla in mano. Arrivo previsto: 17:50 circa. In realtà ho mandato un paio di e-mail a un alberghetto e a un ostello ma non ho ottenuto risposta, quindi non ho ancora la certezza di un tetto sulla testa.
Il treno mi regalerà la prima sorpresa curiosa del viaggio.
Ho portato con me John a farmi compagnia. John Fante, uno dei miei scrittori preferiti. Leggere in treno è sempre piacevole. Il racconto parla di un cane frocio (parole dell’autore) che irrompe in casa, in un periodo di grandi cambiamenti personali nella vita del protagonista, ovvero l’alter ego dell’autore.
Ed ecco che dopo un’oretta compare un uomo.
Si avvicina, sui 45 – 50 anni, moro, un paio di baffetti e un cappellino blu in testa. Sino ad allora era rimasto al suo posto, nei sedili dietro. Nota una rivista abbandonata sul sedile accanto al mio. In polacco mi chiede se può prenderla. Io non capisco una parola di polacco, conosco a malapena il significato della parola tak.
“I don’t speak polish, sorry. But I think that you can take it”.
Sorpreso, mi chiede da dove vengo. Si siede sul sedile davanti al mio e mi stringe la mano.
Un’altra cosa piacevole, quando si viaggia da soli, è trovare qualcuno con cui scambiare due chiacchere per qualche minuto, quindi accetto la conversazione.
Dopo le solite formalità, ovvero nome, città di provenienza, etc. mi chiede l’età.
“31”.
“oh, really? You look younger, I thought you are 23, 24”. Ok, non è la prima persona a rivelarmelo e oggettivamente ne dimostro meno. Poi passa a complimentarsi con i miei capelli. Io, ingenuo, non realizzo ancora dove vuole andare a parare e assecondo. Ma stavolta un po’ mi insospettisco. Ok, ho i riccioli, ma li ho appena tagliati e poi a dire il vero non capisco il perché di quel complimento, non è niente di eccezionale. Quando i complimenti arrivano agli occhi, al volto, etc. intuisco cosa sta accadendo.
Devo confessare che non mi ha dato fastidio, ma mi ha dato una strana sensazione. Un gay ci ha spudoratamente provato con me.
A rendere tutto surreale, come detto, il racconto “Il mio cane stupido” che stavo leggendo. Mi ributto sulla lettura, facendogli così capire che ha gettato l’amo al pesce sbagliato. Resto sulla sponda femminile e, a dirla tutta, non ho alcuna intenzione di cambiare parrocchia. Ad est, in fondo, si va anche perché su quella sponda il pesce che mi piace abbonda. Ed è di qualità pregiata.
Arrivo a Przemysl e decido, google maps alla mano, di recarmi all’alberghetto a cui avevo scritto senza ottenere risposta. La città mi sembra piacevole, bellina.
È in posizione strategica, accanto alla stazione, e costa poco. Trascinandomi con la borsa per via del piede che, proprio appena sceso dal treno inizia a darmi fastidio, arrivo dopo circa un quarto d’ora all’indirizzo. Noto sulla strada che alcune attività sono chiuse, forse per la crisi economica. La cosa mi insospettisce e provo a pensare “no, non posso essere così sfortunato. Se non ha risposto è perché avrà avuto problemi con Internet”. Purtroppo la mia sensazione si tramuta in realtà. Dell’albergo Hala non c’è più nulla, è chiuso. Rimane l’attività di palestra che gestiva assieme all’hotel. La città emana una sensazione di tristezza, è tutto grigio. Come il mio futuro prossimo. Non so dove andare a parare e inizio a realizzare che avrò pochissimo tempo per visitarla. Ho con me un elenco di alberghetti, ostelli, guesthouse preso da Internet. È una cittadina, non è che ne offra moltissimi e non tutti sono a buon mercato. Decido di prendere un taxi. Gli chiedo di portarmi all’indirizzo di una turistycke dome (o qualcosa di simile, non conosco il polacco), una sorta di ostello. Arrivo, gli chiedo di attendere un paio di minuti, dandogli un paio di zloty in più. Entro alla reception e chiedo se hanno un letto. “No, full”.
Il tempo stringe. Non ho ancora un posto dove riparare. Ci sarà una mangiatoia, un bue e un asinello da qualche parte.
Ma ancora è un po’ presto per arrivare a quella soluzione estrema, mancano ancora 3 mesi e mezzo.
Così decido di andare all’ostello. Io non amo gli ostelli. Li scelgo solo se hanno il bagno privato, perché sono in grado di adattarmi a tutto ma non al fatto di condividere con altri camera, bagno e pure i miei effetti personali. Ma non è tempo per fare certi ragionamenti, sono già le 7. Attraversiamo un ponte, 200 metri ed eccoci arrivati. Non sono lontanissimo dal centro. La struttura si presenta molto simile alla casa della famiglia Addams. Il cancello cigola e per entrare c’è da passare da un giardinetto spettrale. L’ingresso è sul retro.
Inabitato. Sono l’unico ospite. Prendo una camera doppia, che userò a singola ma purtroppo il bagno è in comune. Con me stesso visto che sono solo. Il problema è che fa schifo. Non credo di aver mai visto un bagno così sporco e sozzo. Nella doccia c’è pure del calcinaccio caduto dal muro. Chiedo le prime cose alla ragazza della reception che non parla inglese. Tra le mie domande una: “come mai ho solo una chiave? Quella del cancello non me la dai?”. Ottengo una risposta che mi gela il sangue nelle vene, una nuova montagna di cacca mi sommerge ulteriormente: “no, alle 22 noi chiudiamo tutto”.
“E se rientro dopo?”
“Riapriamo alle 6”.
“Ma che cazzo di ostello è?” penso fra me.
Ora mi ritrovo con due opzioni:
a) doccia veloce, uscita e rientro in tempo
b) uscita per mangiare visto che ho fame, rientro per le 22. Doccia e a letto.
Scelgo la b. Sono già le 19:30. E ormai ho realizzato che della città vedrò ben poco. Salgo in camera, prendo le prime cose, esco.
Apro la porta, sto camminando lungo il giardino di rovi. Quando, a un tratto, sento da lontano una voce gracchiante:
“10 pm!”
Nemmeno a 14 anni avevo un coprifuoco così anticipato. E mia mamma non hai mai scassato così tanto le palle.
“fanculo” è la mia risposta, non ad alta voce per non aggravare le mie già precarie condizioni.
Sbatto il cancello ed ecco che la città si presenta a me.
Scelgo un fast food veloce, Mr. Hamburger, e poi mi dirigo verso la piazza principale.
È sera, è un mercoledì. C’è in giro poca gente e qualche ubriacone. E un italiano al telefono. Pensavo di essere un pionere, l’unico pirla capace di fare nottata qui.
Anche in questo caso mi sbagliavo. Ma la mia regola “no italians abroad” la rispetto.
La città è veramente carina e non mancano i bar, almeno in centro. A dire il vero non dovrebbero mancare nemmeno i club, sul sito cittadino ne elencavano 6 o 7.
Ha una bella piazza centrale con dei bei giardinetti e un paio di piazze adiacenti. Una torre appena sopra la collina ed è tagliata in due dal passaggio di un fiume. Ma appena fuori dal centro il degrado è totale. Mette quasi tristezza. Palazzi fatiscenti, ubriaconi.
Ma dispiace soprattutto perché il tempo è tiranno. Mi devo limitare a impressioni personali. Almeno il centro e le vie adiacenti ho avuto modo di girarle. Quello che penso è che sia una bella cittadina, merita una visita. In quanto a vita notturna, meriterebbe solo nelle w-e ma quasi nessuno conosce l’inglese.
Ormai è arrivato il momento di rientrare in ostello, dopo una breve sosta in un negozietto a prendere acqua e brioche con cui fare colazione l’indomani, prima di attraversare il confine.
Rientro e mi accorgo dopo pochi minuti che mi sembra di stare all’Overlock hotel (se ricordo bene il nome).
Unico ospite di un hotel in degrado. Non ho voglia di girare per il palazzo, potrei realmente finire in una stanza e ritrovarmi a festeggiare una festa surreale tenutasi 50 anni prima.
Non c’è nulla da festeggiare. Due piani più sotto dorme il ragazzo che gestisce l’ostello e che non ho ancora conosciuto.
Speriamo non venga durante la notte a rompere la porta con un’accetta e gli occhi spiritati. Chiudo energeticamente la porta e mi addormento.
Il giorno dopo sarà una giornata faticosa, ancora in cammino verso nuove destinazioni.