Passiamo invece a qualcosa che più difficilmente ci affascina: la cultura del "clan".
Fin dall'antichità, quando il Giappone era formato da vari "staterelli" formatisi sulla base dei clan, l'appartenenza ad un gruppo è sempre stata fondamentale per i giapponesi. L'individuo da solo non è nessuno. L'individuo ha senso solo se fa parte di un gruppo e porta giovamento al gruppo stesso. E' più importante che il gruppo rimanga compatto piuttosto che un singolo individuo si copra di gloria per le sue imprese personali. Per il gruppo ci si sacrifica, si deve dare tutto.
Questo modo di pensare contrasta grandemente col nostro individualismo occidentale, con la nostra identità personale, con la centralità dell'IO e dell'EGO che possiamo riscontrare nella nostra cultura.
In Giappone l'imperativo categorico è non dar fastidio agli altri. Per questo non si starnutisce in pubblico, è considerato maleducato. Per questo se si è raffreddati si indossa la mascherina, per non contagiare in giro, mica per non prendersi malattie dagli altri. Per questo hanno sviluppato tutto un complicato sistema di inchini, frasi mezze dette mezze no, accenni e altri metodi per dire di no senza doverlo dire. Alcuni dicono che sia ipocrisia. In effetti non esternare mai ciò che si pensa o prova davvero non è bello. Io non amo per niente questo modo di fare, ma devo riconoscere che si tratta semplicemente di un sistema come un altro, che funziona a patto che tutti ne conoscano le regole. Se io so che un momento di incertezza indica che l'altro non è d'accordo, allora il messaggio passa anche senza parole. Il problema si pone quando una cultura di questo tipo ne incontra un'altra con modo di fare diverso. Se un americano dice "ci penso, vediamoci domani e ti darò una risposta" significa che davvero vuole pensarci. Se lo dice un giapponese vuol dire che la risposta è no.
Altre occasioni in cui si dimostra questo spirito di gruppo, ad esempio, sono le grandi tavolate di amici al bar. Ordineranno tutti la stessa cosa, o quasi. Se qualcuno vuole proporre di fare qualcosa, prima ci sarà un giro di consultazione per capire se la cosa ha almeno qualche sostenitore e poi verrà proposta, quando l'esito positivo è quasi scontato.
Anche a scuola è data grande importanza ai gruppi. Finite le ore di lezione, gli studenti possono partecipare alle attività dei vari "club", quelli sportivi, quelli culturali, ballo, poesia, musica, etc. Non far parte di nessun gruppo vuol dire essere socialmente isolati, praticamente dei paria.
Ovviamente questa cultura di gruppo si rifà anche a tutta la storia feudale del Giappone: i "signorotti" avevano il loro clan e i loro sottoposti, che erano principalmente fedeli al loro capo e solo dopo allo shogun e all'imperatore. Da questa stessa "filosofia" derivano anche tutte le storie dei cartoni animati dove il protagonista deve combattere per il bene dell'umanità sacrificando se stesso e i suoi desideri. Se sostituiamo al signorotto il presidente della ditta e al clan i colleghi e l'azienda, si capisce da dove venga lo stakanovismo dei giapponesi. Se se ne vanno presto dal lavoro vengono visti male, perche' vanno a casa a curare la propria persona, invece di restare e supportare il gruppo, il clan, la vera famiglia (cioè l'azienda).
Del resto l'azienda dà molto al dipendente: oltre al senso di sicurezza e appartenenza anche un gruppo con cui uscire nei fine settimana (organizzati dall'azienda...) e se sei scapolo e ormani non più giovanissimo arriva perfino a presentarti qualche fanciulla nubile, visto che un dipendente sposato è più socialmente accettato (più integrato) di uno scapolo. La cosa assurda è che dopo 2-3 ragazze che l'azienda ti presenta, è considerato estremamente scortese rifiutare. Cioè, la prima può non piacerti, la seconda neanche, la terza ti deve andare bene per forza se no "offenderesti" la ditta.