SusumanEntro in uno di questi casermoni seguendo la tenera coppietta cercando di immaginare in quali di questi avesse luogo tanta meravigliosa inventiva. Susuman alle 00.17 ha davvero un aspetto inquietante. Roba da film dell’orrore. Si cammina tra macerie di ogni tipo, cani randagi, erba alta 40cm, carcasse di automobili lasciate al piu’ totale abbandono, pneumatici dalle dimensioni umane usati vasi di fiori. Susuman e’ una discarica a cielo aperto. Un luogo dove i ruscelli sono color sangue per il mercurio usato per separare l’oro dalla terra. Uno dei luoghi piu’ ricchi e al tempo stesso contaminato di tutta la Russia. Eccellente dimostrazione della grande democrazia che vige in Russia. Susuman e’ il luogo principale di tutta l’estrazione aurifera russa. Una volta era un paese in cui vivevano 20.000 persone. Oggi, escludendo i cani randagi, gli zombie con le bottiglie di vodka in mano, e coloro che vivono nei box di latta presso le miniere d’oro, Susuman contera’ al massimo 8000 persone, sebbene camminando per la citta’, la sensazione e’ che ve ne siano molti ma molti di meno. In un paesino in cui l’acqua costa 3 eur a bottiglia, un kilo di mele 8eur, internet viaggia a 3kbit/sec e costa piu’ di 50eur al mese e l’unico hotel di tutta la citta’ –pura preistoria- costa quanto una notte a Portofino, non si capisce perche’ vi siano siano presenti tutte e tre le compagnie telefoniche russe, in guerra per accappararsi un spaurito numero di utenti“ onnivori di tecnologia ”. Se Magadan l’avevo definita un pugno nello stomaco, una volta giunto qui, mi sono mancate le parole. Non le ho mai trovate. L’unica domanda che vale davvero la pena di pensare e’ cosa spinge un essere umano a vivere in un tale posto. Non perche sia piccolo. Non perche sia isolato. Se Susuman fosse un opera d’arte sarebbe la “Tristezza” anzi questa si sentirebbe offessa. Susuman appare il villaggio di Truman Show. Ognuno li sembra recitare una commedia. Ci sono notai, avvocati, ingenieri, architetti, geometri, pure un ufficio postale, una caserma della polizia, una banca, eppure visitando questi uffici l’idea che li qualcuno lavori e’ semplice pura demagogia. La polizia non e’ nemmeno dotata di un computer. Le poste invece lavorano con computer che paiono dei commodore 64 se qualcuno se li ricorda ancora. Sono stato in uno studio di architetti , ingenieri e geometri. Al di la’ di un tavolino, un paio di sedie, qualche fascicolo cartaceo, e qualche pianta a fare da contorno, sembravano piu’ delle celle di reclusione a cinque stelle che degli studi professionistici.
Tuttavia in questo luogo ho trovato una famiglia incredibile che mi ha fatto sentire a casa. Sebbene sia arrivato in tarda notte, una volta giunto in casa, ad accogliermi c’era un tavolo ricolmo di ogni ben di dio, degno della fama dell’ospitalita’ russa.
Per due giorni sono stato scortato per la citta’ e nutrito fino all’inverosimile senza tirar fuori una lira e quando me ne sono andato via volevano anche darmi 1000 rubli (circa 25eur)che pero’ non m la sono sentita di accettare. Una volta lasciato Susuman sono partito alla volta di Ust-Nera che pero’ non sono riuscito a raggiungere in giornata sebbene fossero soltanto 380km. Questa volta, ad offrirmi un passaggio sono stati una coppia di fratelli sulla ventina. Spiego loro che voglio arrivare a Kadchikan –la citta’ fantasma, per fare delle foto e con gran sorpresa mi dicono che c’e’ ancora qualcuno che vive li. Mi spiegano che un uomo si e’ rifutato di andarsene e ha deciso di rimanere sebbene non vi sia elettricita’, ne’gas, ne’ fognature. Ma per i russi di queste parti, nati e vissuti nell’Unione Sovietica questi sono confort di cui possono fare anche a meno. I ragazzi devono andare ad Artik, 150km a nord di Kadchikan, tuttavia son disponibili a portarmi li’ e farmi conoscere quest’uomo. L’arrivo alla citta’ fantasma e’ degno della sua nomina. Lasciata la strada principale nel mezzo del nulla piu’ assoluto, ci avventuriamo per una piccola strada in terra lunga di 3km totalmente immerse nella nebbia piu fitta. Di tanto in tanto scorgo ai lati della strada carcasse di autocarri, pezzi di metallo di ogni genere, case sventrate, addirittura un carroarmato. La nebbia si fa piu fitta. Si va a venti all’ora tra un sussulto e l’altro dovuto alle terribili condizioni della strada. Se questo non fosse stato vero non ci avrei mai creduto. Poi d’un tratto, dopo aver attraversato un piccolo ruscello ecco che la nebbia svanisce tutta d’un colpo e come per incanto i torioni di questa arca perduta si rivelano in tutta la loro possenza. Di fronte a me casermoni alti dieci piani in puro stile sovietico avvolti da una fitta vegetazione fanno da sfondo ad un paesaggio da cartolina che forse solo i nostri nonni ricordano all’indomani della fine della Guerra.
Qui si e’ tornati indietro nel tempo. Un calendario trovato all’interno della scuola indica 1993, poi piu’ nulla. Tuttavia i ragazzi non mi fanno scendere ma mi portano direttamente dall’unico abitante superstite. Ovviamente mi domandavo chi mai potesse essere un tale pazzo da vivere in un luogo tanto macabro e tenebroso, cosa lo spingesse a stare li’. Ovviamente avevo anche la paranoia che tutto cio’ fosse una bufala per portarmi a sperdere e derubarmi di tutto. Per questo tenevo sempre il coltello a portata di mano. Giunti li, ci vengono incontro tre uomini. Sono decisamente intimorito. Cerco di scaricare la tensione girandomi una siga. Loro si avvicinano e mi tendono la mano e si presentano. Io faccio lo stesso. Mi rilasso un poco. Mi fanno cenno di seguirli. Io mi accendo la siga. Ad attendermi-incredibilmente a dirsi, c’era un banchetto molto frugale compost da te’, pane e kalbasa (una salciccia rosa molto grassa che ricorda vagamente la mortadella). L’abitazione era grosso modo una casupola in legno, con tanto di stufa a carbone, tavolo e tre letti.
Calendari di donne nude e per non bastare anche una gigantografia di Stalin al centro della parete. L’aria era irrespirabile,viziata, un concentrato di fumo, carbone, lampade a petrolio e coperte di liuta. Stavo respirando aria, aria “sovietica”. L’uomo che avevo di fronte incarnava benissimo lo stato d’animo di quell posto tetro, dove la luce filtrava fioca da una finestra interamente coperta dalla polvere near del carbone. I cinque si siedono e iniziano a discutere pacatamente senza prestare attenzione a quello che faccio. Ho timore a chiedere se posso scattare alcune foto. Lo chiedo. Mi dicono che non c’e’ problema. Poi continuano la loro conversazione. Osservo lui. Un uomo schivo direi, sulla sessantina o forse meno. Alto e magro. Occhi vitri di color grigio verde. Un viso scavato dale fatiche del tempo, la pelle scura color caffelatte, baffi e barba curati piuttosto decorosamente. Una sigaretta dietro l’altra. Camicia e pantaloni mimetici. Qulche sorriso ogni tanto. Io guardo l’ora. Sono gia’ le due del pomeriggio e devo ancora visistare la citta’ e mettermi in Marcia per Ust-Nera. Tuttavia da li’ non c’e’ modo di alzarsi e congedarsi. Sarebbe irrispettoso. Devo aspettare che loro se ne volgiano andare. Dopo piu’ di mezz’ora li in silenzio a fare l’allocco, Sergei – cosi si chiama, mi rivolge la prima domanda. Nascera’ poi un intervista splendida di una decina di minuti su questo “museo vivente” che non ha volute saperne di andarsene sebbene il governo avesse tagliato di proposito l’acqua potabile, il gas e la luce. Lui si e’ arrangiato usando il carbone e un generatore. Non ha il cesso e dice che quando in inverno ci sono sessanta gradi sotto zero lo stimolo non e’ che si fa piu’ di tanto sentire. Incredibilmente scopro che non e’ il classico uomo che ha scelto l’isolazionismo come scelta di vita. Ha una famiglia, dei figli che vivono in una grande citta’ migliaia di chilometri da lui. Non me la sento di chiedergli in che relazioni sia e perche sia li e non la’. Mi accontento di sapere di che cosa campa. Mi dice che ha lavorato per 40 anni nella produzione di carbone quando questa citta contava circa 80.000 abitanti e che ora vive con una pensione mensile di circa 500eur.
Una cifra direi piuttosto alta se si fa un confronto all’Italia dove nemmeno allo Zen di Palermo le persone vivono in tali condizioni igieniche e sociali. Scopro che ai russi piace parlare di soldi e soprattutto non hanno nessun timore ne’ vergonga a dire quanto guadagnano. Gli chiedo come faccia a vivere in tali condizioni d’inverno. Lui mi guarda ridendomi in faccia: “normalna” . Niente di speciale. La stufa a carbone accesa 24 ore su 24 per 8 mesi all’anno lavora anche s enon si direbbe-mi risponde lui. Gli chiedo com’era si stava durante il comunismo. Prende fiato, e banalizza la mia domanda con un semplice “ochen xarosho” (molte bene). I due fratelli mi propongono d portarmi fino ad Artik e mi dicono che sono disponibili ad aspettarmi un oretta se io voglio fare un giro per la citta’. Con gioia accetto. La visita della citta’ e’ semplicemnt e un viaggio a ritroso nel tempo. Un caldo torrido fa da contorno ad un silenzio impressionante interrotto soltanto da qualche latrato di cane. Lotto con tafani e zanzare dalle dimensioni enormi tra cimeli di architettura socialista e strade che hanno poco a poco lasciato il posto ad alberi. Una citta’ abbandonata e’ uno degli spettacoli piu’ impressionanti e suggestivi che mi sinao mai capitati in vita mia. Una volta raggiunto
Artik sono le 18.30. Mi metto d’accordo con i ragazzi che nel caso non riesca a trovare nessuna macchina per Ust-Nera posso chiamarli e loro mi ospiteranno.
Artyk e’ un villaggio di 800 persone, indietro di almeno 30 anni. Non esistono banche, connessione telefonica, ne’ internet. C’ e’ un solo telefono pubblico.
17pm Cielo di Artyk
Artyk e’ un luogo che ricorda vagamente le foto provenienti dalla Luna. L’intera zona e’ avvolta continuamente da una fitta foschia che ovatta tutto e fa del sole una palla infuocata di color rosso scarlato ben visibile a occhio nudo. Tutto e’ avvolto da una cappa di ceneri provenienti dale fabbriche di carbone. Tutto e’ nero qui. Le piante, le strade, le case. Le stesse persone. Il cielo non si vede ad Artik . Posto macabre che mi ricorda il film dal tramonto all’alba. Un silenzio che non trova parole e dipinge ogni cosa di nero. Sulla strada ci sono 10cm di polvere nera. Mi dicono di non incamminarmi oltre per via degli orsi affamati.
Qualche passante. Due bicilette, una decina di macchine, tutto quello che ho visto in tre ore ad Artik. Un signore piuttosto brutto e ubriaco mi invita a casa sua. Io rifiuto. Lui non demorde. Torna in casa e se ne esce poco dopo con una pistola. Io non so che intenzioni avesse ma nel dubbio prendo lo zaino e me la do a gambe. In culo agli orsi. Il sole scarlato sembra presagire una notte di sangue, roba da vampiri e zombie. Io qui da solo, seduto aspettando a 15.000km da casa un passante che mi porti via da questo luogo inimagginabile. Alle 22.30 una vecchietta mi fa cenno di avvicinarmi. La raggiungo. Mi offre di seguirla dove lavora. In realta’ e’ in pensione, ma dato che non ha nulla da fare, continua a stare li. E’ un gabbiotto in cui gestice questo telefono pubblico. Li ha una tv, un sofa. Si offre di chiamare i due fratelli. Tuttavia non risponde nessuno. Senza preoccuparsi piu’ di troppo mi fa capire che posso stare li. Il tempo di togliersi lo zaino e lavarsi le mani e lei era gia andata al suo orto a prendermi dei cetrioli e dei pomodori. Naturali quanto vuoi, ma con l’aria salubre che si respira da queste parti con che coraggio si puo’ mangiare sta roba? Poi mi porta del pane e una zuppa cinese, di quelle gia pronte in cui c’e’ solo da aggiungere dell’acqua calda. OUILA' !!! In tutti i modi vengo servito e riverito da una nonnina di sessant’anni che ne dimostra almeno novanta. Rughe profonde un unghia, mani come cartavetra, occhi grigio ghiaccio, una decina di denti, non di piu’. Intratteniamo una conversazione di 30minuti che poi si tramutera in una vera e propria intervista. La piu’ bella e vera che abbia fatto. Artik per me ha rappresentato il punto di svolta. Ad Artik pensavo di mollare, ero stremato piu’ che dalla fatica fisica da quella psicologica. Ero in paranoia per tutto, per il cibo che mi offrivano, per i passaggi in macchina. Una tensione che a malapena riuscivo a stemperare inanellando una siga diopo l’altra. Questa non era vita-mi dicevo. Ad Artik e’ successo quello che non saprei come spiegare. Ho percepito di aver toccato il fondo, il punto piu’ basso del mio viaggio, oltre il quale l’inferno . Artik e’ stato il punto di snodo, in cui le mie paranoie hanno preso poco a poco a svanire. Merito di questa vecchietta. Mentre la intervistavo e ascoltavo le sue parole mentre mi raccontava la storia dell’Unione Sovietica la mia mente si inalberava per alter strade cercando una comprensione a tale figura. Un immedisimazione forzata . La piu’ totale assenza di paura e di pregiudizi mi aveva lasciato di stucco, stupefatto. Una vita passata in un villaggio in un epoca storica precisa in cui nulla si sapeva al di fuori del proprio spazio vitale, eppure il fatto che io abbia rappresentato per lei il primo straniero con cui lei avesse mai parlato, era del tutto inifluente. In quel momento non c’era nessuna differenza sociale, identitaria e culturale. Eravamo due semplici esseri umani, e non aveva nessuna importanza che io fossi uno straniero e venissi dal future. Quando gli ho chiesto se vi fosse internet, lei mi ha guardato sgranando gli occhi come a intendere se aveva capito bene, poi con le mani ha mimato la figura di un rettangolo come a descrivire lo schermo del computer, come dire questo? No, questo non c’e’. Ad Artik il tempo si e’ fermato per molte ragioni a trent’anni fa, eppure questa donna di sessant’anni senza sapere altra lingua che il russo ed avere alcun timore nei miei confronti , si e’ presa la briga di portarmi a casa sua, di sfamarmi e di farmi sentire a mio agio.
Io ho dormito nel suo letto, lei per terra su di un materasso di liuta lurido come la terra di questo luogo spettrale a cui lei appartiene. Alle otto del mattino mi sveglia dicendomi che mi ha trovato una macchina per
Ust-Nera. Mi offre anche lei 1000rubli che io ovviamente rifiuto. Allora si prodiga per scrivermi il suo indirizzo, chiedendomi di mandarle una cartolina una volta arrivato in Italia. Lei si chiamava Valentina e solo allora ne sono venuto a conoscenza. Persone cosi’ sono sono dei musei viventi in via d’estinzione che andrebbero salvati. Valentina per me e’ stato il piu’ grande esempio di cosa doveva essere la “scuola di vita” durante l’URSS, e le saro’ grato a vita per avermi mostrato questo lato del mondo sconosciuto ai piu’. Raggiungo Ust-Nera dopo circa due ore completando I primi 1012km della Kolyma. Ust-Nera e’ un luogo orrido, che si trova in una stretta valle circondata da immense montagne e da una natura bellissima ed incontaminata. Le case sono costruite su di un sistema di palafitte e tutte le tubature svettano verso il cielo invece di stare sotto terra, cosi che d’inverno non ghiaccino o non si rompano a causa del permafrost in movimento. Si ha la sensazione di essere su di un astronave spaziale camminande per le strade del centro, in realta’ non esiste un centro. Esiste solo una strada lunga 400mt intorno alla quale tutta la vita gira intorno. C’e’ un ristorante cinese dai prezzi davvero poco cinesi, 14eur per un piatto di spaghetti, 22eur un piatto d’involtini primavera. Le strade sono percorse da tubi giganteschi di colore ovviamente nero.
Tutto e' nero li, sebbene il nome del paese derivi dal nome del fiume Neriungi. Ust-Nera e' una tranquilla cittadina di 15000 abitanti dove una birra in un pub arriva a costare anche 12eur poiche qui come a Susuman il coefficente di moltiplicazione dei salari e' 8. Cio ' significa che se guadagni 200eur al mese, in realta' ne ricevi 1600eur. La famiglia che mi ospita e' composta da nonno e nonna, da due filgi e da babbo e mamma. La casa sebbene piccola e' piuttosto moderna per gli standard a cui mi ero abituato. Lei ha 32 anni luI 24. Lei fa l'insegnante d'inglese ( l'unica in tutto il paese), lui conduce un autobotte che bagna le strade per evitare che la tossica polvere nera si disperga. Sarei dovuto stare solo una notte. Ho finito per starci quattro giorni, perhce' non mi volevano lasciare andare via. Ho dovuto piegarmi alla sacra legge della vodka. Tre uomini per due litri di vodka. Impossibile dire di no. Ne sono uscito ovviamente "looser" storto come una vigna. Si e' cucinato una pizza niente male se si tiene conto che non abbiamo trovato la mozzarella, il pomodoro e ne' il basilico
Il giorno dopo siamo andati col furgone su per le montagne. Ovviamente pur con due figli piccoli la Vodka non l'ha lasciata a casa. Per quattro giorni dovevo sottostare a questo tipo regola, prima di mangiare dovevamo fare tre chicchetti di vodka. Uno al minuto, poi si poteva iniziare a mangiare, che fosse una zuppa, una minestra, una pizza o altro non importava, i cicchetti andavano buttati giu. Non si poteva obiettare. L'ultimo giorno mi hanno portato a fare la sauna locale russa. Davvero una figata. Quaranta minuti di frustate nel culo e nella schiena a 90 gradi. Poi jump nel fiume a 8 gradi :-0 . Ovviamente non poteva mancare un po' d'alcol. come se non ne avessimo gia' bevuto abbastanza negli ultimi tre giorni. Fortunatamente riesco a persuaderlo e a convincerlo a optare per una modesta PIVA (birra) per evitare il capottamento finale.
Una sana birra ghiacciata dopo un ora passata ad essere frustato a 90 gradi e' il massimo
A Ust-Nera ti puo’ capitare di essere fermato dalla polizia non per un controllo documenti ma per farsi una foto con te, oppure di entrare in un negozio di alimentare e al solo pronunciare “”Italiano” di essere invitato dalla commessa a prendere un caffe nel retro bottega e passare un ora a discorrere del piu’ o meno, oppure di essere fermato da un ragazzino per strada che ti invita a casa sua e poi scopri di essere finito in un di quelle case per orfani e passi tutto il pomeriggio a mangiare, bere caffe e parlare con con gli operatori sociali dell orfanotrofio. A Ust-Nera ti capita anche , una volta detto che fumi marijuana, che te la vadano a cercare senza che tu sappia nulla e tornino da te con un bel sorriso, e tu con gran dispiacere devi spiegargli che al massimo quelle sono foglie di timo tritate e che non hai nessunissima intenzione di fumarla, e vedere nei loro occhi una grande tristezza, non perche non sia Marijuana, ma perche non ti fumi con loro quella roba li. A Ust-Nera puo’ capitarti di salire su autobus pubblico e non dover pagare solo per il fatto che sei italiano, perche qui tutti conoscono i giocatori della Nazionale e nessuno ha tifato per la Spagna. Mi ricordo quando partito da Magadan mi domandavo se sarebbe stato meglio, come “rompighiaccio” una volta salito a bordo di un auto, dire di essere Italiano o Spagnolo visto che la Spagna aveva di recente vinto gli Europei. Dopo appena 500km di viaggio era chiaro che il confronto non era nemmeno da prendere in considerazione. Gli italiani battono 10 a 1 gli Spagnoli. Camminando lungo la strada con la mia ospite mi e’ capitato a distanza di 30 secondi di essere salutato due volte da una sua amica di 28anni che per caso abbiamo incontrato lungo il cammino. Una prima volta quando non sapeva chi io fossi, una seconda volta quando lei le ha detto che ero italiano. Alla manina monca di prima ha preferito un caloroso doppio bacio su guancia, si e’ tolta gli occhiali e ha fatto un saltino di 10cm. Credo di poter tranquillamente dire che se un italiano decidesse da queste parti di volere un cavallo bianco, magari bianco non te lo trovano, magari nemmeno e’ un cavallo, ma qualcosa che abbia quattro zampe e vagamente gli assomigli sicuramente te lo trovano. A Ust-Nera in quattro e quattrotto mi hanno trovato una macchina che andasse direttamente a Tomtor (390km). Ovviamente non ho pagato nulla.
FOTO
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