Pubblico a riguardo, in anteprima per OTRA, un mio articolo che apparirà su un emerito giornale
Voce Ribelle la fanzine di informazione degli Ultrà (e non solo) Cosenza
:
IVAN IL "MOSTRO" DEI BALCANI.
Qualche giorno fa a Belgrado si è giocata Serbia – Albania, una partita che non si disputava da anni ed a grosso rischio incidenti per motivi extra calcistici ed appartenenti alla sfera della vera e propria guerra tra popoli.
Come è noto il Kosovo, una ex regione del territorio jugoslavo prima e serbo poi, rivendica la sua indipendenza essendo una terra dove la componente etnica albanese è predominante.
Dopo una sanguinosa guerra, l’ ennesima seguita al dissolversi della Jugoslavija e discutibili bombardamenti NATO sulla città di Belgrado (capitale della Serbia contraria all’ indipendenza) si è giunti, nel 2008, ad una sorta di riconoscimento internazionale del Kosovo anche se non da parte di tutti gli stati del panorama mondiale.
L’ Albania, ovviamente, seppur mai entrando ufficialmente in conflitto con la Serbia ha appoggiato gli indipendentisti kosovari entrando quindi in contrasto con la Serbia stessa.
La situazione nel Kosovo è ancora incandescente e la minoranza serba è ghettizzata in alcune zone franche.
Testimone di questa sorta di labile tregua ne sono stato proprio nel 2008 durante un mio viaggio in loco, dove i militari non credevano al mio dichiararmi turista (“Turista? Potevi inventartene una migliore” mi sentii rispondere da un militare ad un check point) e dove i serbi dovevano camuffare la loro identità uscendo dai loro “ghetti” (un ragazzo ci diede un passaggio in auto con l’ obbligo di aiutarlo a non tradire la sua origine) e dove i kosovari, gente comunque cordialissima ed affabilissima, ci consigliava di non recarci nelle zone serbe perché “altamente pericolose”.
Il Kosovo come una sorta di Palestina con il territorio diviso a metà, carri armati in strada, militari ovunque, enclavi serbe o kosovare una nel territorio dell’ altra.
Le cose dal 2008, anno della cosiddetta indipendenza,sono cambiate anche se non completamente e risulta quindi naturale che una semplice partita di calcio possa trasformarsi in un pretesto per provocare
l’ “avversario” soprattutto con una visibilità internazionale che un match di qualificazione europea può garantire.
E puntualmente, nonostante la trasferta fosse stata vietata ai supporters albanesi, la provocazione c’è stata.
Una sorta di aeroplanino con una bandiera inneggiante all’ indipendenza del Kosovo è stato teleguidato in campo. Un sopruso ed una provocazione, per lo più in casa propria, a Belgrado, che ha fatto da scintilla a scontri in campo e tra ultras serbi e polizia.
In realtà, proprio per l’ assenza ufficiale (qualche “infiltrato” in tribuna c’era comunque in realtà) di tifosi albanesi gli scontri sono rimasti circoscritti anche se, come avviene oramai d’ ufficio, i media internazionali hanno riportato i fatti in maniera esagerata.
Scontri della stessa intensità, ad esempio, erano accaduti una settimana prima durante Bulgaria – Croazia ma la notizia non è stata così amplificata. Anzi, chi lo ha saputo? Ne sarei rimasto all’ oscuro anche io se non mi fossi trovato a Sarajevo dove la notizie e le immagini, invece, sono passate.
Proprio mentre insieme a centinaia di bosniaci assistevo ai maxi-schermi a Galles – Bosnia, sotto un clima di eccitazione ed euforia che dopo gli scorsi campionati mondiali serpeggia tra la popolazione locale.
Croati, Serbi, Kosovari, Bosniaci, tutti popoli che fino a meno di 20 anni fa vivevamo insieme ed erano considerati addirittura fratelli come si evince da un monumento in pieno centro a Pristina che suggellava questa amicizia. Ovviamente tutto questa serena convivenza, come il monumento stesso, appartengono all’ era di Tito, l’ uomo che, a torto o a ragione, ha tenuto insieme differenti etnie unite sotto un’ unica bandiera.
E fu proprio una partita di calcio, l’ elemento scatenante della guerra che diede tragicamente fine alla Jugoslavija.
Era il 13 maggio 1990. A Zagabria si giocava il derby tra Dinamo Zagreb e Stella Rossa Beograd. Croati contro Serbi che già erano stati fomentati gli uni contro gli altri dalla politica. Quella partita segnò l’ inizio della fine. I Delije, gli ultras al seguito della Stella Rossa ingaggiarono degli scontri, a sfondo prettamente nazionalistico questa volta (se comparato ai derby precedenti) e sia in campo tra i giocatori che sugli spalti tra i Delije stessi ed i Bad Blue Boys della Dinamo fu vera e propria guerriglia. Con la polizia, allora ancora jugoslava, che fu accusata di essere filoserba e quindi caricare solo i croati, tanto che restò nella storia il calcio in culo che un giovane calciatore croato della Dinamo Zagabria rifilò ad un poliziotto che si stava accanendo su un supporter di casa dei Bad Blu Boys. Quel giovane calciatore era l’ ancora semisconosciuto Zvonimir Boban.
Il leader del gruppo dei Delije, i seguaci della Stella Rossa di Belgrado, era un personaggio che in seguito durante la guerra divenne comandante in capo delle truppe serbe che perpetrarono stragi ed uccisioni a danno delle altre etnie nemiche e che da capo ultras, quindi, divenne poi la famigerata Tigre Arkan, condannato dal Tribunale dell’ Aia come nemico dell’ umanità per crimini di guerra e genocidi.
Anche in questi giorni, almeno in Italia, un altro presunto leader della curva della Stella Rossa di Belgrado sta accrescendo la sua fama. E’ quel famoso Ivan Bogdanov che si fece notare durante un Italia – Serbia giocata a Genova e poi sospesa per intemperanze dei serbi stessi.
Alcune cariche della polizia italiana nel settore ospiti per frenare le loro turbolenze, alcuni fumogeni lanciati in campo che fecero più fumo che arrosto, Ivan cha dalla cancellata sbraitava contro tutti, fecero considerare la partita come grave situazione di pericolo e ne fu decretata la sospensione.
Per la stampa italiana, il “mostro” era servito. Ivan Bogdanov fu accusato di diverse nefandezze senza che poi tutto ciò sia stato verificato o meno. Condannato ed espulso dall’ Italia ha espiato le sue “colpe” in un carcere serbo. Dopo alcuni mesi di libertà eccolo di nuovo allo stadio, a Belgrado questa volta, tra i “facinorosi” che hanno risposto alla provocazione dell’ aeroplano radio comandato sullo stadio.
E di nuovo la notizia non è stata la provocazione che a campi invertiti sarebbe potuta arrivare anche da parte serba , i motivi di tutto ciò, il perché continua nei Balcani a strisciare l’ odio tra i popoli.
Niente di tutto questo. La notizia è stata che “Ivan il Mostro” risulta ancora attivo in uno stadio.
Il resto, almeno per i media italiani, conta poco. O magari conta molto la presunta partecipazione di Ivan all’ assalto dell’ Ambasciata USA a Belgrado sempre nel 2008.
Sarà anche vero ma i fatti e le persone vanno giudicate al momento, non per un vero o presunto passato.
Non giustifico la violenza gratuita e non giustifico varie azioni di Ivan ma non si deve neanche creare ad arte una “figura mitologica negativa” per poi utilizzarla per diversi scopi di manipolazione delle masse.
A Belgrado, comunque, il fattaccio dell’ aeroplanino ha solo aperto le danze in Europa.
Dopo 4 giorni sono partite le imitazioni.
Durante Nizza – Bastia del campionato maggiore francese, infatti, il portiere del Bastia ha sventolato in campo la bandiera della Corsica, chiaro segno di bramosia d’ indipendenza dalla Francia.
Non sono mancati i momenti di tensione. Ivan però non era sugli spalti e la notizia è passata quasi inosservata.
Quale sarà ora la prossima partita che sarà utilizzata per affermare la voglia d’ indipendenza di uno stato dall’ altro?
Magari qualcuno non lo condividerà, però penso che alcuni elementi di valutazione (in generale, non qui sul forum) ci siano tipo il creare il mostro sempre e comunque e le crescenti aspirazioni d' indipendenza di diversi popoli o regioni.