Giappone nazionalismo e... polemiche

In questa sezione del forum si può discutere di tutto ciò che riguarda notizie, storia, fatti riguardanti le varie località.

Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 26/03/2015, 14:08

In questi giorni sta facendo rumore sui giornali nostrani e nel web la polemica riguardante la miss giapponese di colore:



http://www.ilmessaggero.it/SOCIETA/PERS ... 9262.shtml


http://www.corriere.it/foto-gallery/spe ... 35a2.shtml



Giappone a guida Abe, dove negli ultimi anni vecchi elementi hanno ripreso vigore, con ad esempio le leggi "imperialissime".
Vediamo a tempo debito di approfondire l'argomento.


http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/C ... 2553.shtml
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Leia74 » 26/03/2015, 14:45

Cosa c'e' da approfondire? I giapponesi sono nazionalisti e razzisti, lo si sa da sempre....
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda fedea » 26/03/2015, 15:52

eh perche' noi invece fischiamo :D
"How often have I said to you that when you have eliminated the impossible, whatever remains, however improbable, must be the truth?" (Sir Arthur Conan Doyle, Il segno dei quattro)
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Samusadork » 26/03/2015, 15:57

Samu è il nome, 's a dork è una constatazione...

Chiedetemi di isole dell'Egeo, Corsica, un po' di Messico, un po' di Giappone.
Il mio avatar è tratto da In the woodland.
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda fedea » 26/03/2015, 16:00

appunto. :lol:
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 26/03/2015, 16:12

Leia74 ha scritto:Cosa c'e' da approfondire? I giapponesi sono nazionalisti e razzisti, lo si sa da sempre....



Tu sei una super esperta del Giappone non fai testo :D :mrgreen:

Magari tanti dei lettori del forum no.

Inoltre:
Se non colgo occasione anche dall'attualita' per aprire dibattiti-approfondimenti-spunti di riflessione il Salotto del Viaggiatore "muore" :( visto che siamo in pochi a scriverci e certo non si potra' trattare di Ucraina all'infinito ( si spera per gli ucraini che si risolva :) )

Ad ogni modo non intendo "massacrare" 8-) il Giappone ( verso i quale non ho nulla contro, tutt'altro ).
Portate pazienza e... fiducia :D .
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Leia74 » 26/03/2015, 16:24

Maxdivi ha scritto:Tu sei una super esperta del Giappone non fai testo :D :mrgreen:
Magari tanti dei lettori del forum no.


Dici? Boh forse sono troppo abituata ad avere a che fare con loro e mi sembrano cose ovvie :lol: ma comunque basta un minimo di nozioni di storia per capirlo :mrgreen:
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 26/03/2015, 23:43

Leia74 ha scritto:
Maxdivi ha scritto:Tu sei una super esperta del Giappone non fai testo :D :mrgreen:
Magari tanti dei lettori del forum no.


Dici? Boh forse sono troppo abituata ad avere a che fare con loro e mi sembrano cose ovvie :lol: ma comunque basta un minimo di nozioni di storia per capirlo :mrgreen:


E' ovvio che per te siano ovvie :mrgreen: :lol:

Chiaro lo storico.
Interessante sarebbe una panoramica su le leggi "imperialissime" degli ultimi dieci anni e le aspre polemiche sociali contemporanee nate laggiu' e qualche altra questione sospesa.
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Leia74 » 27/03/2015, 10:06

Uhm non ne so moltissimo, anzi quasi nulla direi...
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 27/03/2015, 16:11

Leia74 ha scritto:Uhm non ne so moltissimo, anzi quasi nulla direi...


Allora serve approfondire :lol: :mrgreen:


Incomincio dalla Costituzione, recentemente riformata dal "pacifismo imposto" al nuovo tradizionale militarismo. Fatto che divide l'opinione publica in Giappone.

Non si tratta unicamente di fatti politici, bensi' di eventi che ricadono direttamente sul sociale. La questione della visione della Guerra nonche' del "Pacifismo Costituzionale" sono concetti complessi e ben radicati in una buona parte della societa' del Gaippone post bellico. E sono argomenti che toccano nel profondo la sensibilita' di molti giapponesi.

Per questioni di tempo non scrivo io, ma faccio parlare articoli del web che ho scelto appositamente, che piu' o meno coincidono con la mia visione sull'argomento.
Le parti piu' importanti sono sottolineate.

Partiro' dal fondo ( da ieri ) sfruttando l'attualita'.


Giusto ieri e' stata varata la nuova portaelicotteri giapponese tra il tripudio dei presenti:


http://www.difesaonline.it/index.php/it ... giapponese


Ma questo fatto sta a valle di una questione a monte di vecchia data, la riforma costituzionale.




Per il Giappone oggi è una giornata storica. L'arcipelago asiatico si mette alle spalle lo spirito della Costituzione del 1947: quella nata dopo la tragica sconfitta della seconda guerra mondiale e scritta sotto l'influenza delle potenze vincitrici. La maggioranza parlamentare ha dato il via libera all'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, della modifica dell'articolo 9. La revisione comporterà una sostanziale mutazione del ruolo delle Forze di Autodifesa.

In parole povere: le forze armate nipponiche saranno legittimate a compiere azioni militari anche senza la presenza di una minaccia diretta contro i propri confini nazionali e in difesa di alleati sotto attacco. In precedenza, invece, potevano intervenire soltanto in caso di aggressione da parte di eserciti stranieri. Così il "pacifismo costituzionale" viene messo radicalmente in discussione dal governo in carica.


Infine, ravvisiamo che a poco sono servite le severe critiche dell'opposizione ad Abe: i numeri in parlamento per contrastare l'azione del premier non ci sono. Nemmeno le proteste di strada hanno sortito grandi effetti, compresa quella di ieri, andata in scena intorno alla residenza ufficiale dello stesso Abe.

Tuttavia, dobbiamo segnalare che i media giapponesi sono stati "molto misurati" nel raccontare le manifestazioni. Perfino l'episodio dell'uomo che domenica si è dato fuoco a Tokyo, in segno di protesta, non ha trovato molto spazio presso giornali e televisioni



http://www.polisblog.it/post/245645/gia ... -pacifista






La grande questione di dibattito e' l'articolo 9. Articolo 9 della Costituzione, che sancisce la rinuncia alla guerra e all'uso della forza militare per la soluzione delle questioni internazionali.



Il cambiamento potrebbe essere raggiunto in diversi modi. Il Giappone potrebbe continuare a incrementare la spesa militare rafforzando le forze speciali, reinterpretare la Costituzione esistente oppure ancora cambiare direttamente l’articolo 9 con un voto in entrambe le camere del Parlamento e un referendum nazionale. Indipendentemente dalla modalità, il Giappone merita di essere capace di difendere i propri interessi, la propria popolazione e il proprio territorio, proprio come qualsiasi altra nazione. Tuttavia, qualsiasi incremento della capacità militare giapponese incontrerebbe forti opposizioni, in particolare di Cina e Corea del Nord. Le obbiezioni sono basate sulla sufficiente protezione fornita dagli Stati Uniti e soprattutto sul fatto che i giapponesi non hanno finito di fare ammenda per il loro passato coloniale e guerrafondaio
Nondimeno, se Tokyo decidesse di muoversi verso una normalizzazione militare, dovrebbe dimostrare in modo più convincente di essere riuscito a svincolarsi dal suo passato. Infatti anche se il Giappone ha fatto significativi sforzi nel tentativo di riscattarsi, il revisionismo e l’insensibilità di alcuni dei suoi ultimi leader hanno alzato il livello delle tensioni con i suoi vicini.

il Governo potrebbe cercare di spiegare ai suoi cittadini il processo che ha portato a tutto ciò. Inoltre, una maggiore sensibilità potrebbe diminuire il livello di allerta in particolare con la Cina e la sua politica anti-giapponese. Senza contare che proprio secondo l’ultimo sondaggio d’opinione giapponese sulle Forze di autodifesa e sulla sicurezza, il 60,5% del campione ha messo al primo posto tra le minacce alla pace del Giappone “la modernizzazione della forza militare cinese e le sue attività marittime”. Nel precedente sondaggio, effettuato a gennaio 2012, il pericolo più pressante per gli intervistati era la situazione nella Penisola coreana

http://www.europinione.it/giappone-norm ... -militari/





La volontà di reinterpretare la Costituzione e la possibilità di introdurre nuove opzioni per l’uso della forza armata è stata oggetto di numerose manifestazioni contrarie, che hanno raggiunto l’apice con un suicidio: o tempora, (anzi o loca), o mores, verrebbe da esclamare pensando ai tentativi di riforma domestici!

La Costituzione giapponese, entrata in vigore nel 1947, è figlia dei suoi tempi e dello stato di occupazione in cui si trovava lo stato asiatico alla fine della II Guerra Mondiale. La Carta fu sostanzialmente imposta, essendo stata scritta dai collaboratori del Generale Mac Arthur, Capo delle Forze di occupazione, e tradotta in giapponese.

Non vi fu quindi un dibattito, quale quello che si ebbe in Italia in seno all’Assemblea Costituente, in occasione della scrittura dell’art. 11, altra disposizione “pacifista” di uno stato sconfitto.

Pur imposta, la Costituzione giapponese si è insinuata profondamente nello spirito e nelle coscienze della società.
Quello attuale non è il primo tentativo di revisione dell’art. 9 della Nihon-koku-kenpō. Già nel 2007 infatti Abe aveva tentato di avviare un processo di rilettura costituzionale, non andato a buon fine a causa delle dimissioni del Primo Ministro e a causa della breve durata in carica dei governi successivi. Successivamente alla sua rielezione nel 2012 Abe ha fatto della modifica dell’articolo 9 una priorità, trovando sostegno e opposizione trasversali a livello sia politico-partitico sia sociale.



La reinterpretazione costituzionale in parola rappresenta una messa in discussione totale del “pacifismo costituzionale” giapponese, che non solo porterà mutamenti sul piano delle relazioni internazionali in Asia, ma cambierà anche il modo in cui il Giappone e i Giapponesi percepiscono loro stessi. L’articolo 9 ha costituito fino a questo momento la base di un peculiare eccezionalismo, in virtù del quale Tokyo era l’unica al mondo a rinunciare realmente alla guerra. La modifica dell’articolo 9 – che seppur controverso è indubbiamente parte del processo di costruzione dell’identità nazionale nipponica dopo il secondo conflitto mondiale


http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2776

http://www.geopolitica-rivista.org/2627 ... -giappone/










Gesto estremo di un giapponese, che per protesta si è dato fuoco in pieno centro a Tokio. L'uomo è salito su un ponte pedonale nella capitale e ha iniziato a pronunciare un discorso contro il premier Shinzo Abe, che vorrebbe riformare la Costituzione pacifista. Il 50enne si è cosparso il corpo di benzina, in uno dei quartieri commerciali più frequentato.

La revisione dell'art. 9 compiuta dal governo Abe ha diviso la società e l'opinione pubblica. La memoria della II Guerra mondiale va svanendo, e con lei cadono antiche convinzioni. E la posizione belligerante di Cina e Corea del Nord non aiuta.


http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/20 ... 4256.shtml


http://www.lastampa.it/2015/02/01/ester ... agina.html




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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 30/03/2015, 18:18

Mettendo da parte le leggi-dibattiti legislativi la questione nazionalismo con annesse polemiche e divisioni tra l'opinione pubblica coinvolge anche i monumenti.

Uno per tutti e' il noto tempio Yasukuni :



Molti sostengono che il luogo più appropriato per comprendere lo spirito tradizionale del Giappone è il tempio shintoista di Yasukuni, dove sono sepolti ed onorati i caduti giapponesi nelle varie guerre.
Yasukuni (letteralmente significa "paese pacifico") è il tempio shintoista dove si onorano i kami (Kami 神 indica gli oggetti di venerazione nella fede shintoista, è un titolo onorifico per spiriti nobili e sacri, che implica un senso di rispetto o adorazione per la loro virtù e autorità), così vengono definiti quegli uomini, donne e anche bambini che hanno sacrificato la loro vita per la causa imperiale.

La connessione imperiale costituisce il filo più significativo di continuità con il periodo antecedente al 1945, quando i riti di Yasukuni, a cui partecipava l'imperatore in persona, erano il centro vibrante del culto imperiale. Non dimentichiamo, infatti, che lo stesso imperatore era considerato un'entità divina.

Ora, come allora, l'imperatore propizia i caduti in guerra portando loro conforto con la sua presenza e le sue offerte. Naturalmente sta facendo molto di più: sta onorando i valori del patriottismo, coraggio e spirito di sacrificio che incarnano tutti i caduti con il loro sacrificio. Questi erano i valori che si sono mantenuti e hanno dato senso all'istituzione imperiale: era per l'imperatore che i morti hanno compiuto l'estremo sacrificio, e dall'imperatore ora vengono ricompensati. L'ambiguità riguarda la questione di chi venera chi. Perchè se da una parte l'imperatore fa il suo tributo ai caduti in guerra, dall'altra i kami e coloro che si riuniscono al tempio riconoscono e venerano l'entità imperiale.

Come un sito dinamico della memoria, Yasukuni ricorda e idealizza un periodo in cui l'istituzione imperiale e i suoi valori caratterizzavano la società nipponica, quando tutti gli uomini erano motivati da un senso di patriottismo, coraggio e di altruismo. I riti Yasukuni tramandano la memoria di una guerra fatta solo di atti di coraggio disinteressato per conto dell'istituzione imperiale, di una guerra che è stata sempre e solo nobile e gloriosa.







Il museo della guerra Yushukan. Inaugurato nel 1985, e ampliato nel 2003, è considerato come inseparabile dal santuario, i suoi reperti costituiscono una sorta di commento illustrato all'attività rituale del santuario:



Il museo Yushukan ha molto in comune con i musei di guerra delle ex potenze imperialiste: esalta il sacrificio e gli atti di coraggio stupefacente da parte dei soldati che hanno combattuto per l'impero. Impiegano anche la tecnologia per bonificare gli orrori della guerra. La locomotiva a vapore C5631, che accoglie il visitatore nella prima sala è un caso emblematico. La sua targa dice: "Questo motore costruito nel 1936, è stato utilizzato per la ferrovia della Birmania e ha continuato a solcare la stessa strada per un decennio dopo la fine della guerra.'"
"La costruzione della ferrovia [aggiunge] fu di una difficoltà estrema". Che questa "difficoltà" abbia comportato la morte di circa 90.000 prigionieri di guerra e lavoratori locali, così come molti giapponesi, però non è riportato.


Ciò che è forse unico al Museo della guerra Yushukan, certamente in forte contrasto, ad esempio, con il museo della guerra imperiale a Londra, è la curiosa assenza del nemico. Il visitatore delle gallerie sulla guerra cino-giapponese, la guerra russo-giapponese, l'incidente della Manciuria e la guerra del Pacifico cerca invano qualche riferimento del nemico. Non ci sono fotografie di cinesi, russi, coreani, americani o soldati britannici, neppure armi, uniformi, bandiere o altri trofei di guerra.


Il punto è che, come i musei in tutto il mondo, Yushukan ricostruisce un racconto delle guerre moderne del Giappone, ma l'assenza del nemico distorce la narrazione. Si manipolano due fatti profondamente inquietanti relativi alla guerra del Pacifico: il primo è la perpetrazione, il secondo la sconfitta. Reperti cinesi, russi, coreani, americani o britannici non solo potrebbero ricordare le sconfitte subite da parte dell'esercito giapponese, ma potrebbe anche portare alla mente i torti perpetrati dal Giappone. Eliminando il nemico, il museo Yushukan propone una guerra che è stata sempre e solo gloriosa, ma cancella la possibilità che non tutti i caduti giapponesi morirono di morte gloriosa, che la perdita di vite umane (giapponese o altre) sia stata solo uno spreco, e che la guerra sia stata brutale e squallida. Il museo, invece, propone solo esempi di eroismo, lealtà e sacrificio di sè.
Si arriva alla fine della galleria Yushukan sulla guerra del Pacifico per scoprire che, anche se il nemico è totalmente assente, vi è un'importante presenza straniera. La galleria si conclude con una fotografia, ingrandita forse dieci volte, di Radhabinod Pal. Si tratta di un giudice indiano al tribunale istituito per i crimini di guerra a Tokyo alla fine della seconda guerra mondiale: nel dibattimento sostenne che i giapponesi erano innocenti di tutti i crimini di guerra e che gli aggressori in Asia erano stati gli imperialisti britannici e americani. Queste tesi sono riprodotte a fianco del suo ritratto.



Un secondo punto da sottolineare è che Yasukuni è anche un luogo di intima memoria personale. Molti dei veterani di guerra che ho intervistato hanno detto che vanno a Yasukuni ogni anno per l'anniversario di un compagno, per mantenere vivi i ricordi personali, per mantenere la promessa che hanno fatto di incontrarsi di nuovo allo Yasukuni o per pregare per la pace.


http://www.cultorweb.com/Yasukuni/YC.html

.



Il 15 agosto tre ministri del governo giapponese hanno visitato il santuario di Yasukuni, a Tokyo, in occasione dell anniversario della resa del Giappone. La cerimonia è stata contestata da alcune centinaia di giapponesi e da una delegazione di parlamentari sudcoreani.

Yasukuni è considerato il simbolo del nazionalismo militarista giapponese. Al suo interno sono venerati 2,5 milioni di militari e civili giapponesi morti in guerra. Tra di loro ci sono anche alcuni criminali di guerra condannati e giustiziati dopo la Seconda guerra mondiale.


Le visite al santuario da parte di rappresentati del governo giapponese causano ogni anno forti polemiche tra il Giappone, la Cina e la Corea del Sud, i due paesi i cui civili soffrirono di più a causa dei criminali di guerra venerati a Yasukuni.

Il primo ministro Abe ha ottenuto l’appoggio proprio di questi nazionalisti durante la campagna elettorale, sfruttando ad esempio il caso delle Senkaku, un gruppo di isole disabitate contese con la Cina. Più in generale, i suoi critici lo accusano di voler cambiare la costituzione e procedere a un qualche tipo di riarmo del Giappone. La sua nuova politica economica, la cosiddetta Abenomics, farebbe parte di una più ampia politica di ritorno al nazionalismo.


Nel santuario, insieme a circa 2,5 milioni di caduti nelle varie guerre combattute dal Giappone a partire dal 1867, sono venerati come kami – gli dei minori dello shintoismo, la principale religione del Giappone – 14 persone condannate per crimini di guerra. Tra gli altri Hideki Tojo, il primo ministro che portò il Giappone a entrare nella Seconda guerra mondiale, e il generale Iwane Matsui, comandante delle truppe durante il massacro di Nachino, in Cina, durante il quale vennero violentate circa 20 mila donne e uccisi circa 250 mila civili cinesi.


http://www.ilpost.it/2013/08/18/yasukun ... -giappone/

http://www.ilfoglio.it/articoli/2013/12 ... e_c174.htm

http://it.euronews.com/2014/08/15/minis ... i-a-tokyo/







i nostalgici si dividono sulle anime dei caduti


L'Associazione dei familiari delle vittime di guerra, molto influente nella società giapponese, ha chiesto al santuario Yasukuni di rimuovere dalla lista dei caduti commemorati nel tempio i nomi di 14 criminali di guerra macchiiati di crimini contro l'umanità durante la II Guerra mondiale - ha reso il santuario uno dei "luoghi caldi" della geopolitica asiatica. Il governo cinese, ad esempio, ha sempre reagito con rabbia alle visite dei leader politici nipponici allo Yasukuni. Per Pechino, onorare i carnefici dell'occupazione "è un atto ostile".

Secondo l'Associazione, che ha approvato a larga maggioranza la mozione presentata da un gruppo di familiari, questo cambiamento "è necessario per l'imperatore e l'imperatrice, il primo ministro e tutti i giapponesi che vogliono visitare il santuario e pregare per i defunti senza creare scandalo".


http://www.eastonline.eu/it/opinioni/fe ... dei-caduti


http://www.asianews.it/notizie-it/Tokyo ... 32567.html



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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 31/03/2015, 15:29

Ritorniamo sul piu' stretto "dibattito tsunami" asprissimo del Giappone odierno riguradanti la legislazione, le "leggi imperialissime" ed i risvolti sociali.

Senza andare a toccare subito la riforma educativa, ne coglieremo alcuni dettagli inerenti i giovani.

Nel complesso il motto della riforma e': piu' patriottismo, piu' moralita' e piu' tradizioni per i giovani.

La legge era stata emanata nel 1947, esaltando i valori democratici e pacifici, in un Paese emerso sconfitto dalla guerra. La nuova direttiva esalta “il patriottismo” e “la tradizione" per rispondere al degrado della situazione giovanile e ai crescenti suicidi.

Un aspetto interessante e' la legge anti ballo ,la legge “Fueiho” è entrata in vigore nel 1948 per porre fine al problema della prostituzione nelle discoteche. Una legge sempre esistita dunque ma che e' stata rispolverata nella sua applicazione effettiva dal 2010 circa:




In Giappone, ballare nel posto sbagliato al momento sbagliato può metterti nei guai.

Con la fine della Guerra Mondiale nel 1945, il Giappone aveva avviato un sistema di prostituzione regolamentato dallo Stato e rivolto alle truppe alleate americane che occupavano il paese. Annunci, indirizzati all'assunzione di donne per cabaret, bar e pub venivano pubblicati sui giornali dell'epoca. Meno di un anno dopo, le Forze Armate americane avevano però proibito ai militari in servizio di frequentare questi locali: ordine che causò l'improvvisa disoccupazione di migliaia di donne, molte delle quali dovettero trovare luoghi alternativi per prostituirsi.

I legislatori avevano cominciato a vedere nelle piste da ballo dei locali l'epicentro di un giro di prostituzione clandestina, e decisero di emanare leggi severe per sradicare il problema. Da quel momento la legge ha subito un certo numero di revisioni.

Per anni i locali notturni hanno in qualche modo eluso le norme sulla licenza, rassegnandosi ad accettare sospensioni stagionali del business, arresti e chiusure. Tuttavia, nel Kensai, seconda regione più popolata del Giappone, nella zona centro-meridionale dell'isola di Honshu, la polizia ha recentemente iniziato a prendere seri provvedimenti.

http://www.jappone.com/cultura/panpan.html






Siamo a Rappongi, lo squallido quartiere della meravigliosa vita notturna di Tokyo. Sgomitando tra folle di ragazze dipinte come bamboline manga in compagnia dei loro fidanzati nigeriani dinoccolati, riusciamo a scivolare in una discoteca multipiano e iniziamo a scioglierci al ritmo della techno che esce pulsante da pareti di speaker. Il fantasma di Micheal Jackson si è impossessato delle nostre gambe da soli cinque minuti, quando, nel bel mezzo di un moonwalk pazzesco, qualcuno ci tocca la spalla. Con gentile fermezza un componente dello staff indirizza la nostra attenzione ad una parete dove un cartello illuminato da una strobo reca la scritta "vietato ballare." "Vietato": nessuna eccezione.


Fino a poco tempo fa questa legge sul divieto di danza è stata ignorata largamente sia dai proprietari dei club che dalla stessa polizia, per la quale rappresenta solo un'anomalia legale, uno stupido scarabocchio su un libro di diritto. Questa situazione di mutua illegalità è completamente cambiata nel 2010, quando uno studente universitario è morto in una rissa fuori da una discoteca di Osaka: l'ennesimo fatto in un quadro più ampio di scandali legati alla vita notturna. "La polizia di Osaka ha istituito in reazione agli avvenimenti una repressione sistematizzata di tutti i club che non stavano rispettando la legge fueiho"—nome giapponese delle norme anti ballo—spiega Hadfield. Nel giro di 18 mesi dozzine di locali sono stati chiusi, trasformando la scena dei beach party in un'inquietante area morta.

Perché proprio ora?
L'articolo del Time Out Japan cerca di spiegare come mai la polizia ha deciso di iniziare ad applicare la legge fueiho dopo anni di tolleranza. Pare che il punto sia concentrare l'attenzione lontano da una certa recente stupidità burocratica della politica giapponese, speculando su ansie allarmiste amplificate dai media riguardo la facile corruttibilità della gioventù giapponese odierna
. Tuttavia, perfino in Giappone, in cui a volte effettivamente certe assurdità quasi kafkiane sembrano essere la norma, non poter ballare in una maledetta discoteca è un'assurdità . Questa politica repressiva ha finito per riunire tutti i lavoratori della vita notturna giapponese sotto la bandiera dell'eliminazione di questa legge insensata; in pochi mesi il numero degli attivisti aderenti all'iniziativa si è moltiplicato, i loro sforzi, un po' a singhiozzi, hanno fatto progredire la situazione in modo promettente.

La più importante associazione di attivisti si chiama Let's Dance ed è un consorzio di proprietari di grandi club, giornalisti musicali e DJ, il cui risultato più grande finora è stato quello di mettere in piedi una petizione che ha circolato nel web per più di un anno. Dopo aver raccolto 155.879 firme di supporto, un anno fa Let's Dance ha inviato il testo in parlamento.

Il Club Noon, un locale leggendario di Osaka, è stato chiuso lo scorso anno per violazione della Fueiho; è stato organizzato un festival di quattro giorni intitolato "Save the Club Noon" come risposta alla chiusura ed è appena stato finanziato per quattro milioni di yen—ovvero un milione in più del budget previsto—un documentario con lo stesso titolo che racconterà lo svolgimento dei fatti.

Il successo di "Save the Club Noon" dimostra che, se da un lato la battaglia legale contro la legge Fueiho è fondamentale, dall'altro sensibilizzare le persone all'argomento è altrettanto importante. L'obiettivo è quello di dare un'idea differente della vita notturna, convincendo le persone che il clubbing non è il male e che anzi ha un importante valore sia a livello culturale che a livello economico.




Di sicuro la questione è controversa. Uno dei principali critici del movimento Let's Dance non è infatti un politico ottuso o una nonna noiosa, ma Terre Thaemlitz, AKA DJ Sprinkles, una dj e producer queer attiva in Giappone. "L'approccio di movimenti come Let's Dance, basato sull'idea dell'eliminazione del ballo dalla regolamentazione governativa, non tiene conto di quanti differenti ambiti sono interessati dalla legge Fueiho." Riferendosi a quanto la legge influenzi anche altre parti della società, regolamentando una parte delle attività di bordelli, strip club e hotel dell'amore, Thaemelitz pone l'accento sulla necessità di una visione più allargata, che non escluda chi vive in condizioni più disagiate. Probabilmente, quindi, battersi per il diritto di ballare è una cosa più complessa di quanto sembri.

Ma proprio nell'arcipelago giapponese, teatro di club e discoteche nonché culla di produttori di fama mondiale, di consolle per DJ e amplificatori (come Vestax, AKAI e Pioneer), gli amanti della vita mondana si stanno facendo sentire .



http://it.globalvoicesonline.org/2013/0 ... sul-ballo/

http://noisey.vice.com/it/read/legge-vi ... e-giappone

http://www.top-dj.it/in-giappone-i-dj-s ... nti-ballo/



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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 01/04/2015, 14:30

Mi sgancio nuovamente dalle "leggi imperialissime" di cui riparleremo per trattare la questione minoranza Ainu di Hokkaido e la nouva recente ventata di neonazismo giovanile cui il Giappone cosi' come diversi paesi europei non e' immune.
Ed ovviamente delle tensioni sociali con la minoranza coreana nel paese.


Patriottismo, recupero dei valori morali e rispetto delle tradizioni sono alcuni dei pilastri su cui Abe ha delineato l’immagine della sua 'bella Nazione' (come recita l’omonimo titolo del suo libro-manifesto politico); una Nazione che vuole dire 'basta' con i mea culpa sulle responsabilità storiche del Giappone nei confronti degli altri paesi dell’Asia Orientale e che vuole recuperare coscienza della propria unicità. Unicità che dai giapponesi viene percepita, da sempre, anche a livello di appartenenza etnica; una visione che ha dato origine al cosiddetto 'mito' della purezza dell’anima giapponese e a quello dell’omogeneità dell’etnia Yamato (da cui discenderebbero i giapponesi) che permane tutt’ora.

L’autoritarismo intransigente di Abe, che ha sollevato più di una voce critica, tanto tra la popolazione e le forze politiche d’opposizione, che all’interno della sua stessa coalizione di governo, sembra riflettersi nella recente escalation di intolleranza che vede alcune categorie sociali, in particolare immigrati e minoranze etniche presenti in territorio giapponese, sempre più spesso vittime dei cosiddetti 'hate speech' e del crescente sentimento xenofobo in rapida diffusone soprattutto tra i più giovani.

A saperne qualcosa di marginalizzazione sociale e discriminazione è certamente la gente appartenente alla minoranza etnica degli Ainu, un antico popolo, le cui origini vengono fatte risalire al periodo preistorico. Tradizionalmente organizzati in una struttura tribale, dalle caratteristiche linguistiche e somatiche (per metà asiatiche e metà caucasiche) estremamente differenti da quelle della maggioranza giapponese, dediti alla caccia, alla pesca e alla pratica di culti animisti; essi risultano attualmente stanziati soprattutto nell’area più settentrionale dell’arcipelago giapponese (nell’isola di Hokkaido), nell’isola di Sakhalin e nelle isole Kurili (di cui il Giappone si contende la territorialità con la Russia


Stando a quanto riportato in un articolo del 2008 del quotidiano ‘The Japan Times’, «Attivisti Ainu stimano che la popolazione potrebbe essere compresa tra 50.000 e 100.000 a livello nazionale, ma dicono che è difficile ottenere numeri precisi perché molti tendono a mantenere un basso profilo o non sono nemmeno consapevoli della loro etnia». Attualmente la popolazione Ainu effettiva è stimata tra i 25.000 e i 200.000. In quanto minoranza etnica, seppure in parte inconsapevole della propria origine o quasi del tutto assimilata alla maggioranza giapponese della popolazione, gli Ainu sono costretti a scontrarsi con la percezione di diversità che i Wajin (così vengono chiamati i giapponesi) hanno nei loro confronti.


"In base alle mie osservazione personali e ai confronti avuti con i membri della comunità Ainu, ritengo che permanga ancora un atteggiamento di discriminazione in Hokkaido, dove è presente la maggioranza degli Ainu", afferma Alexander Bukh, della Victoria University of Wellington, esperto di relazioni internazionali e tematiche inerenti al tema dell’identità nazionale giapponese. "Soprattutto nei piccoli borghi e nei paesi dove le persone conoscono o pensano di conoscere le origini dei loro vicini. In altre zone del Giappone (e ci sono poche migliaia di Ainu nella zona di Tokyo, per esempio) non credo vi sia molta discriminazione riguardo ai tratti fisici e anche per quanto riguarda i nomi la maggior parte degli Ainu sono indistinguibili dal resto dei giapponesi. Può capitare che vi sia una certa discriminazione quando si tratta di matrimonio e alcune famiglie tendono ancora a informarsi circa le origini della famiglia dello sposo o della sposa".







Il processo di 'invasione' e sfruttamento delle terre degli Ainu, considerati 'barbari del nord', già ridotti a minoranza etnica e relegati nell’area dello Hokkaido sin dall’epoca medievale, ha inizio nella seconda metà del XIX secolo, nel periodo della Restaurazione Meiji (1868).
Ha così inizio anche il processo di assimilazione del popolo Ainu, a cui viene proibita la pratica di alcune tradizioni (come l’indossare gli orecchini per gli uomini e il tatuarsi per le donne) e che vengono 'incoraggiati' a dedicarsi al lavoro agricolo e a imparare la lingua e la cultura giapponese. La stessa 'Legge per la protezione degli indigeni dello Hokkaido', promulgata nel 1899, sanciva in realtà lo status discriminatorio a cui erano stati soggetti gli Ainu nei decenni precedenti, negandogli di fatto la facoltà di possedere appezzamenti di terreno, rendendoli dipendenti dal governo centrale.

Bisognerà attendere il periodo tra gli anni '60 e '80 del Novecento, in piena contestazione culturale, per assistere a un vero 'rinascimento Ainu' e a una rinnovata presa di coscienza della propria identità culturale. La vera svolta politica si ha nel 1994, con l’elezione del primo Ainu al Parlamento giapponese, Shigeru Kayano, fondatore del Museo Nibutani, dedicato alla preservazione della cultura Ainu. La 'Nuova Legge di Salvaguardia degli Ainu', varata nel 1997, sancirà l’inizio di una nuova politica da parte del governo giapponese, orientata alla preservazione e promozione dei costumi e delle tradizioni Ainu, che negli ultimi anni hanno conosciuto una rinnovata vitalità, attraverso l’organizzazione di festival e la nascita di gruppi, fondazioni, associazioni culturali e musei.

Ma al di là del 'successo' di questo riscatto identitario, culminato nel riconoscimento ufficiale del 2008 (un riconoscimento, come si è detto, in qualche modo 'obbligato', date le circostanze), rimangono diverse problematiche che i membri della comunità Ainu devono affrontare. Primo tra tutti il problema della disoccupazione, ma anche quello della percezione che il popolo giapponese continua ad avere di essi. Il Dr. Bukh riferisce che il governo nipponico ha recentemente pubblicato un sondaggio in cui si indaga la visione che i giapponesi hanno degli Ainu. "Tuttavia, come è spesso il caso, con tali indagini in Giappone le domande sono strutturate in modo tale che essi non rivelano molto delle percezioni reali". Le risposte infatti appaiono estremamente generiche ed emergono prevalentemente questioni superficiali, come il fatto che gli ainu possiedano una cultura e una lingua unica, o che usino vivere in armonia con la natura, o che siano un’etnia in via di estinzione; tutte 'opinioni' che scaturiscono da un’osservazione esterna, e non da una reale conoscenza della condizione di questo popolo.


http://www.lindro.it/0-societa/2014-01- ... l-giappone










Il Paese del Sol Levante sta assistendo a una recrudescenza di simpatie naziste, la cui ultima manifestazione è stato il raduno che ha avuto luogo pochi giorni fa a Ikebukuro - Accanto agli slogan anti-coreani e anti-cinesi, e allo sventolio delle bandiere nazionali, sono comparse le svastiche.
Certo, il numero di chi professa un tale credo è assai basso, ma sarebbe sbagliato liquidarli come fanatici ignoranti della storia. “Navigando su Internet” dice Mitsuharu Akao, professore all'Università di Osaka specializzato in cultura ebraica, “non è difficile imbattersi in dichiarazioni ostili alla presenza di cinesi e sudcoreani in Giappone. Non è così infrequente poi che venga ventilata l'idea di cacciarli via tutti dal territorio giapponese, in nome della difesa dell'identità nipponica”.


Vi sono gruppi su Internet che negano che il massacro di Nanchino – perpetrato dall'esercito giapponese nel 1937 ai danni della popolazione di quella città cinese – abbia mai avuto luogo. Sugli stessi siti si può leggere anche che la cruenta occupazione giapponese di buona parte dell'Asia non ebbe altro obiettivo se non quello di liberare le nazioni asiatiche dal giogo occidentale. Uno dei cavalli di battaglia di questa linea di pensiero è che libri-testimonianza delle atrocità del nazismo come “Il diario di Anna Frank” siano un falso scritto ad arte per screditare Hitler e i suoi.

Almeno 265 copie del diario di Anna Frank sono state fatte a pezzi a Tokyo: pagine strappate, libri distrutti e copertine deturpate sono il simbolo di una violenza culturale ancora prima che fisica. In almeno 31 biblioteche giapponesi sono stati organizzati una sorta di blitz da parte degli attivisti neonazisti.«Ogni libro aveva tra le 10 e le 20 pagine strappate, ora sono da buttare», ha spiegato il direttore della biblioteca di Shinjuku. «Da noi ogni volume archiviato sotto il nome di Anna Frank è stato danneggiato», ha raccontato Toshihiro Obayashi, vicedirettore della biblioteca centrale di Suginami.

Pochi mesi fa la casa editrice Nihonbungeisha Company ha distribuito in 8000 negozi di una catena di minimaket un libro dallo sconcertante titolo “La verità su Hitler che vi prenderà a tal punto da non farvi andare a dormire”. Il testo, che - recitava la prefazione - intendeva gettare luce su quanto di buono il nazismo aveva fatto, è stato ritirato dal commercio dopo un mese, ma deve essere giudicato sintomatico dei nuovi orientamenti che serpeggiano nel Paese.


In Giappone va a ruba il “Mein Kampf” versione manga.
Sono più di 45 mila le copie vendute in un anno in tutto il Giappone per il “Mein Kampf” di Adolf Hitler in versione manga. «Si tratta di un libro famoso, ma sono ancora poche le persone che l’hanno letto», ha commentato Kosuke Maruo, il direttore di East Press, la casa editrice che ha pubblicato il manga col titolo tradotto di “Waga Tousou” (“La mia battaglia”), ammettendo che il successo del libro è andato oltre ogni più rosea previsione.

Dal dopoguerra fino a oggi la Germania e altri paesi del mondo non hanno autorizzato la ripubblicazione del “Mein Kampf” mentre in Giappone la casa editrice Kadokawa Bunko dal 1973 ha tradotto e stampato il libro di Hitler pur non essendo in possesso dei diritti dell’autore, ma appellandosi alla Convenzione di Berna e alle regole su traduzione e libera pubblicazione dei testi. «Diffondere nuovamente quest’opera non ha alcun significato simbolico, ma può rievocare le sofferenze patite dalle vittime del nazismo. Dopotutto – rilevano fonti del ministero del Finanze della Baviera, titolare dei diritti d’autore del libro scritto da Hitler nel 1924 – è difficile pensare che sia un manga il mezzo più adatto per rappresentare in modo critico il significato dell’opera». In passato la Germania aveva più volte tentato – senza successo – di impedire che nel Sol Levante si mandasse in libreria l’opera, mentre cinque anni fa, su richiesta tedesca, era stata vietata la distribuzione di un altro manga su Adolf Hitler. «Pubblicare la versione manga di quest’opera è rischioso, ma si tratta comunque di un’idea nuova. Penso però che se molte persone comprano il fumetto e si rendono conto in modo critico di cosa si tratta, forse l’iniziativa manga potrebbe avere un significato», ha osservato l’inviato in Asia del “Financial Times Deutschland”, Martin Koelling.




http://www.firstonline.info/a/2014/05/0 ... cec640ff0b

http://www.infooggi.it/articolo/neonazi ... ank/61043/





Sono stati paragonati ai gruppi emergenti delle destre nazionaliste, figlie della dilagante instabilità economica e politica, in rapida espansione in tutto il continente europeo. Ma i nuovi nazionalisti del Paese del Sol Levante rifiutano l’etichetta di 'neonazisti' e fascisti, affermando di ispirarsi piuttosto ai Tea Party di stampo britannico. Si tratta dei membri del movimento denominato Zainichi tokken wo yurusanai shimin no kai (abbreviato in Zaitokukai), vale a dire 'Cittadini contro i privilegi speciali dei coreani residenti in Giappone'.

Nato nel dicembre 2006 il gruppo, che inizialmente contava poche centinaia di affiliati, dopo aver conosciuto negli anni fortune alterne, ha finito per diventare il più numeroso tra i cosiddetti 'hate groups' attualmente presenti in Giappone dal dopoguerra. Le basi ideologiche che animano il gruppo sono costituite principalmente dall’opposizione alla presenza di comunità straniere in Giappone e all’immigrazione asiatica all’interno del Paese, a cui si unisce una retorica nostalgica e nazionalista, che assume come modello l’epoca del 'glorioso' Giappone Imperialista.

Le occasioni di aggregazione tra i militanti, così come il reclutamento delle nuove leve, si realizzano prevalentemente attraverso il web e i suoi canali. Come ad esempio lo stesso sito internet del gruppo (che ad oggi vanta più di 13,000 iscritti), grandi forum online come 2-Channel (in cui è possibile postare messaggi in forma del tutto anonima), o come la piattaforma di video sharing Nico nico douga, il corrispettivo nipponico di Youtube. È da qui che gli utenti possono visionare e condividere i video che documentano le manifestazioni e le altre attività di protesta del gruppo; nonché i discorsi – innaffiati di retorica da periodo bellico - tenuti dal suo leader e fondatore.
Bersaglio principale è la comunità coreana (la seconda più ampia presente sul territorio dopo quella cinese), ma lo Zaitokukai non risparmia altre categorie come la minoranza cinese e filippina, quella degli indigeni Ainu, i partiti politici di sinistra e perfino i burakumin giapponesi (ossia i cosiddetti fuoricasta, gente ai margini della società).




Gli esperti che hanno osservato da vicino il fenomeno, legano l’escalation di sentimenti ultranazionalisti a sfondo xenofobo e lo sviluppo dello Zaitokukai (e degli altri vari gruppi della cosiddetta 'estrema destra del Net') ai più svariati fattori. Il disagio di alcune categorie sociali, legato alla crisi economica e all’alto tasso di disoccupazione, insieme alle crescenti tensioni diplomatiche con la Corea (la contesa sulle isole Dokdo, la questione delle 'comfort women' e quella dei rapimenti dei cittadini giapponesi da parte degli agenti di Pyongyang) hanno certamente fornito una base fertile.

Alcuni osservatori attribuiscono un ruolo di responsabilità all’ideologia politica dei liberaldemocratici (il partito di centro destra giapponese attualmente al governo) e in particolare all’impostazione ultraconservatrice dell’attuale governo di Abe Shinzo (che pure ha recentemente espresso una formale condanna nei confronti delle azioni dello Zaitokukai); mentre altri studiosi, come Beverley Anne Yamamoto, dell’università di Osaka, ritengono si tratti di un retaggio di quell’idea di omogeneità etnica, attraverso cui il Giappone ha storicamente costruito la propria immagine identitaria, che va oggi a scontrarsi con la prospettiva di una società orientata verso una coesistenza sempre più multiculturale.
L’apparente innocuità dello Zaitokukai non ha impedito però ai cittadini e alle stesse autorità di considerare seriamente i rischi legati alla notevole crescita del gruppo nel corso degli ultimi anni e alla costante intimidazione – seppur quasi solo esclusivamente verbale - di cui sono oggetto gli individui appartenenti alle minoranze contro cui si scagliano i militanti.

Negli scorsi mesi, membri di gruppi anti-razzisti come il Reishisuto wo Shibakitai ('Squadre di resistenza contro i razzisti'), affiancati da non-attivisti appassionati del Korean-pop e da comuni cittadini, hanno dato vita a manifestazioni parallele a quelle dello Zaitokukai, imitandone la retorica e gli slogan denigratori (ripagandoli, per così dire, con la loro stessa moneta), sfociate in più di un’occasione anche in scontri fisici, a cui hanno fatto seguito diversi arresti da entrambe le parti.


Il 7 ottobre 2013 il tribunale di Kyoto, basandosi sulla Convenzione Internazionale per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e riconoscendo quindi la matrice razzista - dunque illegale – della manifestazione di fronte alla Kyoto Chosen Daiichi, ha infine imposto agli attivisti dello Zaitokukai il pagamento della cifra di 12 milioni di yen (circa 120 mila dollari) e il divieto di avvicinamento alla struttura scolastica a meno di 200 metri di distanza dall’ingresso.
In tal senso, la sentenza emessa dal Tribunale di Kyoto nei confronti dei membri dello Zaitokukai costituisce una delle prime azioni significative nei confronti dell’allarmante fenomeno della discriminazione razziale, sempre più diffuso in Giappone. Allo stesso tempo, essa apre in maniera ormai ineludibile una questione che investe tanto la sfera giuridica che quella etica: la riconsiderazione dei parametri e dei limiti della 'libertà di espressione', un’arma a doppio taglio, capace di garantire - così come allo stesso tempo di destabilizzare - i valori basilari della democrazia e i principi della comune convivenza civile.




http://www.lindro.it/0-societa/2013-12- ... ce-sul-web





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Ultima modifica di Maxdivi il 21/04/2015, 21:13, modificato 1 volta in totale.
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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 21/04/2015, 16:15

Una vicenda che mi sta particolarmente a cuore e' quella di Okinawa l'isola del karate, nonche' paraiso tropicale giapponese.



Okinawa, consiste nel gruppo centrale dell’arcipelago delle isole RYUKYU. E’ situata nell’Oceano Pacifico, dista 500 km da Kyushu, l’isola più meridionale del Giappone, e 600 km dalla costa cinese. Conta oggi 1.345.000 abitanti e una superficie di 2.270 km². - il capoluogo è Naha. Da sempre Okinawa è stata un ponte teso tra Cina e Giappone. Nell’antichità il suo nome era Regno di Ryukyu, la propria prosperità economica dipendeva dalla vicinanza con la Cina e dal commercio via mare con i paesi dell’Estremo Oriente.





Guardare alla storia di Okinawa e soprattutto al modo in cui gli okinawani scrivono la propria storia, significa seguire il processo di formazione e di evoluzione dello stato-nazione giapponese da un'angolazione periferica, ma non per questo poco illuminante. Si tratta, infatti, di una narrazione diversa da quella proposta dal centro, che ricorda, ricostruisce e racconta adottando criteri metodologici e cronologici propri e autonomi. Così, di fronte a una storia ufficiale protesa a sottolineare la peculiarità del carattere nazionale, la rapida modernizzazione post-1868 oppure la sfavillante rinascita economica che ha seguito la sconfitta bellica, Okinawa preferisce parlare di diversità culturale, di sviluppo economico ineguale o di discriminazione sociale, scrivendo, in tal modo, una fra le tante altre storie prodotte dalla modernizzazione e dall'industrializzazione del Giappone. Da questo punto di vista, dunque, quella di Okinawa è una storia dissonante, la quale testimonia come l'omogeneità etnico-culturale e persino razziale, talvolta troppo palesemente ostentata dalla società di maggioranza, sia in effetti più un mito che una realtà ancora nel Giappone di fine millennio.


L’epoca d’oro del Regno di Ryukyu terminò quando nel 1609 un Daimyō (signore feudale giapponese) del clan Satsuma invase e conquistò il Regno. La dominazione del Clan Satsuma durò fino al 1879 quando con la restaurazione Meiji, Okinawa viene annessa al Giappone. Durante questi 250 anni di dominazione giapponese fù mantenuto il bando al possesso di armi (già imposto nel 1470). Questi quattro secoli, di divieto al possesso di armi, furono una delle condizioni che permise l’ineguagliabile livello raggiunto dalla lotta a mani nude di Okinawa, accadimento fondamentale nella storia del karate.


http://www.francoangeli.it/Ricerca/Sche ... ro=1792.10


http://www.karateudine.com/index.php?op ... 38&lang=it

.






Okinawa oggi, la base americana, le polemiche, la ricerca di autonomia, la verita' storica dei residenti. ed Okinawa ieri la conquista di Tokyo e la battaglia con gli americani:




Non si attenua in Giappone il braccio di ferro tra il governo e la prefettura di Okinawa sul trasferimento di una base della marina statunitense.

Dopo che il governatore locale aveva sospeso le procedure, un emissario dell’esecutivo è giunto nella provincia per far uscire il progetto dallo stallo.

“Rilocalizzare la base di Henoko è il solo modo per mantenere l’alleanza tra il Giappone e gli Stati Uniti e per sgomberare il campo dai rischi costituiti dal sito attuale”.

Okinawa ospita la maggior parte dei 47.000 militari Usa, una presenza per niente ben vista.

“I cittadini di Okinawa non intendono accogliere volontariamente alcuna base militare. Più il governo insisterà ad andare avanti col progetto, più crescerà la rabbia della gente della provincia”.

Il dossier del trasferimento della base militare imbarazza il primo ministro Shinzo Abe, che tra qualche settimana è atteso alla casa Bianca per la firma di accordi commerciali.

http://it.euronews.com/2015/04/05/giapp ... itare-usa/








La presenza militare Usa è sempre più incompatibile con
l’equilibrio economico, sociale e ambientale dell’isola. I costi delle
basi distorcono l’economia locale e frustrano l’imprenditoria.

1. L’ARCIPELAGO DI OKINAWA È SITUAto
all’estremità sud-occidentale del Giappone. Da To¯kyo¯ occorrono due ore e mezza
di volo per raggiungere Naha, il capoluogo. Dall’isola più meridionale dell’arcipelago,
Yonaguni, si può vedere in lontananza Taiwan.
L’antico nome di Okinawa era Ryûkyû. Il regno di Ryûkyû, sfruttando i vantaggi
offerti dalla sua posizione geografica, prosperò dal XV al XIX secolo, grazie
ai commerci con la Cina e con i paesi dell’Asia estremo orientale. Ancora oggi nella
sua lingua, nella sua letteratura e nella sua musica sopravvive una forma estremamente
antica di giapponese, la cui salvaguardia è oggetto di sforzi consistenti
da parte delle autorità pubbliche.
Il regno di Ryûkyû era legato da relazioni tributarie alle dinastie cinesi ma, nel
periodo Edo, fu invaso militarmente dal clan giapponese degli Shimazu (che controllava
l’attuale prefettura di Kagoshima), passando sotto il suo dominio. Il piccolo
paese teneva in grande considerazione la pace, come attesta la sua denominazione
ufficiosa: «Shurei no kuni», ovvero «il paese in cui non si portano armi e si rispettano
le buone maniere». In seguito alla restaurazione Meiji, il regno divenne la
prefettura di Okinawa, sotto l’amministrazione del governo centrale giapponese.
Dal punto di vista geopolitico e militare, la regione occupa una posizione strategica
per l’osservazione della Cina continentale, di Taiwan, delle Filippine, della
penisola indocinese e degli arcipelaghi dell’Oceano Pacifico.
Nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale, a partire dal marzo 1945 fino
al giugno dello stesso anno, gli Stati Uniti sbarcarono truppe a Okinawa che, caso
unico in tutto il Giappone, divenne teatro di guerra, con il coinvolgimento della
popolazione residente nella guerriglia, sia urbana che nella giungla. Lo Stato maggiore
dell’esercito a To¯kyo¯ ostacolò in tutti i modi l’esercito americano, cercando di
rallentarne l’avanzata verso le isole maggiori del Giappone. Al debole corpo militare a difesa dell’isola fu dato l’ordine di resistere a oltranza e la battaglia di Okinawasi trasformò così in una lotta all’ultimo sangue.
L’esercito giapponese uccise le donne e i bambini che avrebbe dovuto proteggere,
in quanto sarebbero stati di ostacolo, e minacciò i civili che si erano rifugiati
nelle caverne dicendo loro che sarebbe stata un’umiliazione essere fatti prigionieri
e che le donne sarebbero state sicuramente violentate se fossero state catturate dai
soldati americani. Distribuì bombe a mano incoraggiandone l’uso e spinse intere
famiglie al suicidio.

La recente eliminazione, ad opera della censura governativa,
dei passaggi dei testi scolastici in cui si affermava che tali suicidi collettivi furono
ordinati dall’esercito, ha provocato una protesta furibonda
.











Prologo.

Il governo giapponese di Shinzo Abe aveva “consigliato” ad alcuni editori di togliere dai manuali di storia in uso nelle scuole superiori qualsiasi riferimento alla responsabilità dei militari riguardo a suicidi di massa verificatisi durante la Seconda Guerra Mondiale fra la popolazione civile. In altri termini, secondo il governo, i suicidi di massa erano sì avvenuti, ma i comandi militari non c’entravano, non erano stati loro a ordinarli.
Il governo giapponese forse sperava di passarla liscia. Si sbagliava di grosso. La reazione dell’opinione pubblica fu immediata e veemente. Il governo si rimangiò in parte la parola e, come tutti i governi che si rispettino, scelse una soluzione di compromesso e, naturalmente, scontentò tutti.
Era il 2007. La battaglia di Okinawa era finita da sessantadue anni
.



L’isola del Karate.

Okinawa è un’isola delle Ryukyu e fa parte del Giappone. E’ lunga centoventi chilometri e larga una quarantina. Il clima è monsonico, piove spesso, il territorio è accidentato. Per lungo tempo regno indipendente, Okinawa fu eretta a prefettura giapponese nel 1879. Anche dopo l’annessione al Giappone, gli abitanti di Okinawa – in gran parte agricoltori- conservarono a lungo una cultura propria, proprie tradizioni e propri costumi. Per via dei trascorsi storici, fra loro e i giapponesi non sempre è corso buon sangue: alla vigilia della guerra del Pacifico, ad esempio, a Tokio c’è ancora chi li considera un’etnia a parte e cittadini di serie B, anche se molti abitanti dell’isola, complici una propaganda serrata e una capillare politica di assimilazione, sono ormai giapponesi in tutto e per tutto.

Okinawa si trova a meno di settecento chilometri dalle isole giapponesi principali, Kyushu, Honsu e Hokkaido. Già nel 1944 gli americani hanno preparato un piano per conquistarla: vogliono portare le proprie navi e soprattutto i propri bombardieri pesanti e medi vicinissimi al Giappone, preludio a un’invasione su larga scala.

Mentre gli americani preparano il loro piano, l’Impero del Sol Levante è in agonia. Nel Pacifico, il suo perimetro difensivo si è spaventosamente ristretto; la Grande Area di Coprosperità è un ricordo, la madrepatria stessa è sotto minaccia di invasione; mancano piloti addestrati ed esperti, aerei in grado di competere con gli Hellcat o i B29 americani, carburante per farli volare. Anche la flotta imperiale, un tempo imbattibile, è ora ridotta al lumicino. Gli alti comandi sanno tutto questo. Ma non hanno alcuna intenzione di cedere. L’ala militarista e nazionalista la fa ancora da padrona e detta la linea: niente cedimenti e niente resa. Combattendo fino all’ultimo soldato, possiamo infliggere al nemico perdite spaventose. In mezzi ma, soprattutto, in uomini. E allora, di fronte all’ennesima carneficina, come reagirà l’opinione pubblica americana già scossa per quanto accaduto a Iwo Jima? E le alte sfere? Continueranno a pretendere la resa incondizionata del Giappone o non ripiegheranno su soluzioni meno drastiche?
Okinawa, insomma, è per i giapponesi una replica di Iwo Jima su scala più vasta. Identici gli obiettivi, del tutto simili le scelte tattiche: poche difese in prossimità delle spiagge, linee di bunker e di casematte dislocate all’interno e in profondità, campi di fuoco incrociato. E, in più, uomini pronti a sacrificare la propria vita in missioni suicide.




Epilogo.

Nel 2005 lo scrittore giapponese Oe Kenzaburo , premio Nobel per la letteratura nel 1994, fu citato in tribunale da un ufficiale novantunenne reduce dalla battaglia per Okinawa e dai familiari di un altro ufficiale giapponese scomparso nel frattempo. Gli venivano contestate alcune affermazioni contenute nel suo saggio Note di Okinawa, lesive dell’onore dell’esercito in generale e dei due ufficiali in particolare. Secondo Oe, infatti, erano stati i militari a “ordinare” i suicidi di massa durante la battaglia.
La Corte lo assolse. Esistono fondati motivi, scrisse nella sentenza il giudice, per ritenere i militari- anche se non i due accusatori in particolare- responsabili di tali atrocità. Una riprova? Nelle zone libere dalla presenza di soldati, i suicidi non ebbero luogo. Durante il processo, un sopravvissuto, il settantottenne Shigeaki Kinjo, dichiarò: “ I soldati consegnarono le bombe a mano ai civili una settimana prima che gli americani sbarcassero. Tutti gli abitanti avevano l’ordine di raggrupparsi vicino ai centri di comando dell’esercito in attesa che venisse loro imposto di suicidarsi.” E concluse: “ Senza una precisa disposizione degli ufficiali non ci sarebbe stata alcuna mattanza.”
La battaglia di Okinawa non è ancora finita





https://storiestoria.wordpress.com/tag/ ... nawa-1945/



http://archiviostorico.corriere.it/2007 ... 5103.shtml






La vicenda Himeyuri nella battaglia:


Himeyuri - studentesse in battaglia

Monumento di Himeyuri

Questo monumento è stato eretto alla memoria di 219 studenti infermieri e dei loro insegnanti che hanno preferito suicidarsi piuttosto che cadere nelle mani delle forze alleate, alla fine della guerra. Il Museo della Pace è stato costruito nelle vicinanze.


Collina di Mabuni

Questo sito, che offre una piacevole vista sull’isola meridionale di Okinawa è stato teatro di terribili battaglie durante la guerra. Oggi ci si trova il Memoriale della pace di Okinawa e vari memoriali su entrambi i lati



http://www.jappone.com/cultura/himeyuri.html

https://www.turismo-giappone.it/scoprir ... dell-isola






L'isola oggi ed i problemi della base americana nonche' i contrasti col governo di Tokyo:




Ad Okinawa sembra di essere tornati ai tempi della guerra, o subito dopo. Migliaia di giapponesi sono scesi in piazza per chiedere la chiusura della base navale americana dopo lo stupro ai danni di una donna, commesso da due soldati di 23 anni.

[u]"No rape, no Base", No agli stupri, no alla base. Questo uno dei tanti slogan contro la base di stanza Usa nell'Impero el Sol Levante, che dalla scorsa settiamna è al centro di un vero e proprio putiferio mediatico.[/u]

Ma questo alla gente di Okinawa non basta. La base militare americana è da decenni al centro di controversie e di malumori. I giapponesi del luogo chiedono che gli americani tornino a casa e che smantellino la loro postazione nel Pacifico, che per loro ha ancora il sapore di un colonialismo da vincitori.

La comunità di Okinawa denuncia il fatto che dal 1972, da quando esiste la base Usa ad Okinawa, ci sono stati circa 5.700 crimini commessi dagli americani sull'isola. Un dato allarmante, che adesso i cittadini dell'isola non vogliono pià veder crescere



http://archivio.panorama.it/mondo/Okina ... -americani

http://archivio.panorama.it/mondo/Giapp ... di-Okinawa


http://limes.espresso.repubblica.it/wp- ... taichi.pdf





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Re: Giappone nazionalismo e... polemiche

Messaggioda Maxdivi » 21/07/2015, 13:31

Brevemente riprendo il post per inserire l'argomento della Stampa in Giappone, altra questione di dibattito sociale nazionale.

Tratteremo quindi la questione dei Kisha Club e del loro sistema.




I KISHA CLUB

Quanto al settore dei media, nonostante i cinque maggiori quotidiani giapponesi siano i più venduti nel mondo, anche la libertà di stampa è minacciata dalla prassi del governo di utilizzare i club della stampa (kisha kurabu) per assicurarsi il controllo dell’informazione.
Entrare a far parte di questi ultimi rappresenta l’aspirazione massima per i giornalisti giapponesi. Trovandosi all’interno delle strutture pubbliche, questi club hanno l’esclusiva su molte informazioni ufficiali, fornite direttamente da esponenti politici, ma non sviluppano un autonomo giornalismo d’inchiesta.

Il primo kisha club, secondo gli specialisti, risale al 1882 e si costituì presso il parlamento giapponese. Ora ce ne sarebbero circa 800 in tutto il paese e conterebbero circa 12.00 giornalisti di 160 testate. In media ogni kisha ckub – che in generale si formano intorno alle istituzioni nazionali e locali e alle imprese – raccoglie una ventina di giornalisti dei principali quotidiani e delle maggiori catene televisive.

I club sono chiusi ai giornalisti stranieri e a quelli che non fanno capo ai media più importanti.
Questa particolare situazione dei media è regolamentata da un curioso fenomeno che esiste solo in Giappone: i club Kisha. Agenzie che forniscono a tutti i giornalisti accreditati le stesse informazioni, e i giornalisti dipendono da questa fonte di notizie. Questo sistema, per la maggior parte controllato da diverse agenzie governative (tra cui quella della Polizia), permette all'autorità di controllare il flusso delle informazioni togliendo così ai media la possibilità svolgere una funzione critica e di controllo nei confronti del governo.



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LA NUOVA LEGGE SPECIALE


Nel 2014, il Giappone è caduto ancora più in basso nella classifica mondiale della libertà di stampa stilata da Reporter Senza Frontiere: si trova infatti in 59esima [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] posizione su 180. Il motivo? Il rapporto annuale cita una nuova legge che tutela i segreti di stato adottata a dicembre 2013


La Legge Speciale sui Segreti di Stato, che la Dieta giapponese ha adottato alla fine del 2013, riduce la trasparenza di governo a proposito di alcuni temi fondamentali per la nazione, come le risorse nucleari e le relazioni con gli Stati Uniti, oggi sacri come fossero tabù. Il giornalismo investigativo, l'interesse pubblico e il carattere confidenzialità delle fonti per il giornalismo, sono state tutte sacrificate dai legislatori, decisi a assicurare che l'immagine che si ha del loro paese sia privo di rivelazioni imbarazzanti.

L’opposizione teme che le forze politiche useranno questa legge come un’arma contro i giornalisti e associazioni di controllo, in modo da fungere da deterrente, per dissuaderli a svolgere le loro attività. A Tokyo, lo scorso anno, gruppi di giornalisti e associazioni civili si sono uniti in proteste di massa contro questa legge.











LA TERRA DOVE REGNA LA STAMPA


È quasi impossibile, per chi non è giapponese o non conosce la situazione del Giappone, comprendere perché i media nipponici riportino notizie grossolanamente false e diffamatorie sulla Soka Gakkai e sul suo presidente. Negli ultimi anni l'influenza dei tabloid ha raggiunto proporzioni enormi attraverso il web, che ha trasferito a livello planetario l'onda di disinformazione. Scandali che fanno furore sui tabloid giapponesi spesso trovano uno spazio anche sui grandi quotidiani di altre nazioni, ma le conseguenti vittorie legali della Soka Gakkai, anche anni dopo, non vengono quasi mai riportate.
Una denominazione che si attribuisce al Giappone è katsuji-ookoku, "terra dove la parola stampata regna sovrana". Secondo il Japan Times (18 marzo 1996) «I giapponesi sono voraci consumatori di carta stampata. Con 580 copie per migliaio di persone, i lettori dei quotidiani giapponesi sono il doppio dei lettori americani (259 copie per migliaio di persone). E superano anche gli inglesi (394 copie per migliaio)". Lo stesso articolo afferma che: "Alla domanda su quanto ritenessero affidabili i propri quotidiani i lettori giapponesi hanno dato un voto di grande fiducia. Più del 70% ha detto che sono "affidabili" e il 72% li ha definiti "accurati"».
Probabilmente questa tendenza ad accettare le informazioni passivamente e con poco spirito critico trova le sue radici nella tradizione culturale giapponese: già nel periodo Edo (1600-1868) lo shogun Tokugawa Ieyasu affermava: «Non permettete alla gente di sapere niente: rendetela dipendente». Questa tendenza, che si è consolidata negli oltre 260 anni della dinastia Tokugawa, è diventata quasi una seconda natura della società giapponese e le sue tracce sono evidenti anche ai nostri giorni.

Ma questo aspetto della cultura nipponica meriterebbe ben altro spazio. In molti paesi del mondo i mezzi di comunicazione - in generale - mantengono uno spirito critico nei confronti del "sistema", ma in giappone fanno parte del "sistema". Il giornalista ed esperto del Giappone Kerel Van Wolferen scrive: «L'autocensura pesante e sistematica esercitata dai giornali non ha paragoni nel mondo industrializzato» (Japan Non-Revolution, Foreign Affairs, settembre-ottobre 1993). Gli articoli, specialmente quelli di cronaca nera, vengono raramente attribuiti a un unico giornalista, sollevando così il cronista da ogni responsabilità.

Le fonti non vengono mai citate e raramente gli episodi vengono controllati dai cronisti. È raro che vengano ascoltate altre versioni dei fatti. Non c'è inoltre un codice etico, né un istituto che regolamenti le violazioni dei diritti individuali: le leggi giapponesi sulla libertà di stampa sono troppo deboli per essere utilizzate come efficace deterrente. La maggior parte delle cause civili per diffamazione si risolvono con un risarcimento di poco inferiore a un milione di yen: cifra ben lontana da diventare un efficace deterrente per gli editori.

Questa particolare situazione dei media è regolamentata da un curioso fenomeno che esiste solo in Giappone: i club Kisha. Agenzie che forniscono a tutti i giornalisti accreditati le stesse informazioni, e i giornalisti dipendono da questa fonte di notizie. Questo sistema, per la maggior parte controllato da diverse agenzie governative (tra cui quella della Polizia), permette all'autorità di controllare il flusso delle informazioni togliendo così ai media la possibilità svolgere una funzione critica e di controllo nei confronti del governo.







https://it.globalvoicesonline.org/2015/ ... di-stampa/

http://www.sgi-italia.org/parlanodinoi/ ... Stampa.php















LE POLEMICHE

Negli ultimi mesi, inoltre, è successo un fatto particolare: Shigeyaki Koga, un commentatore della Asahi TV, ha deciso di contestare la politica del primo ministro Abe Shinzo in TV, esponendo un cartello con su scritto “I am not Abe”, per portare avanti l’idea che la politica mediorientale di Abe, fatta di aiuti diretti di natura non militare alle nazioni che combattono l’ISIS, non è condivisibile. Difatti questa, secondo Koga, è una violazione indiretta dei principi pacifisti della costituzione giapponese.

L’emittente fu subito subissato da una serie di critiche da parte del governo, suggerendo una violazione della legge sulle trasmissioni radiotelevisive, a cui seguirono una serie di incontri a porte chiuse in cui vennero chieste “spiegazioni”. Un corrispondente tedesco, Carsten Germis, ha ricevuto la visita di funzionari del governo forieri di insistenti richieste di revisionare un pezzo ritenuto contrario alla visione ufficiale della conferenza stampa Merkel-Abe tenutasi a febbraio.



I kisha kurabu non sembrano aiutare la libera diffusione delle informazioni e la facilità con cui i vari colossi mediatici giapponesi possono subire pressioni per obbligare i singoli giornalisti o commentatori a seguire una linea comune non aiuta la libera fruizione dell’informazione. La semplice ricezione passiva di comunicati stampa, assieme al pericolo di pressioni, rende la maggioranza dei giornalisti dei singoli club estremamente uniformati nel loro fare giornalismo. Diversi argomenti (come le questioni LGBT) sono direttamente sorvolati. Questo rende la professione giornalistica, nella sua accezione più pura, un affare estremamente difficile da condurre alla luce del Sol Levante.





http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ABSMzcOC

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