A gentile richiesta ecco la ripubblicazione dell'opera del Geometra omrai facente parte della libreria dei classici:
la visita alla città di Baku:
LUNEDI 25 AGOSTO: BAKU.
Il volo per l’Azerbaijan si svolge senza episodi degni di nota,personalmente mi addormento per non dover pensare e lo stesso cercheranno di fare i miei due compagni di viaggio.
In realtà già dall’imbarco sembra tutto un sogno.L’atmosfera è rarefatta,la pioggia e la foschia rendono le operazioni d’imbarco surreali.
La voce del comandante ci dà la sveglia,in orario comunque antelucano,comunicandoci che stiamo per atterrare a Baku,la capitale dell’Azerbaijan.
Fuori dal finestrino le luci della città adagiata sulle rive occidentali del mar Caspio si diffondono nel buio.
Il sogno prosegue,ancora non riusciamo a renderci conto bene della situazione.
Atterriamo e scendiamo dall’aereomobile.
Le nostre paure,i nostri dubbi,le nostre preoccupazioni frutto di un’alterazione naturale di coscienza svaniscono come una classica bolla di sapone.
Il sogno,il brutto sogno è terminato.
Buongiorno! Siamo in Azerbaijan! Che il viaggio inizi!
Per entrare ufficialmente in Azerbaijan necessitiamo del visto,visto che è possibile acquistare direttamente in aeroporto.
Gli addetti si dimostrano comunque gentili,compiliamo i nostri moduli completi di fotografie,paghiamo in euro la tassa d’ingresso e ci mettiamo in fila per farci controllare i passaporti.
In fondo non perdiamo poi molto tempo ed i controlli risultano veloci e senza problemi.
A parte il gesto di stizza nei miei confronti,da parte del doganiere,una volta avuto tra le mani il mio passaporto famoso in tutta Europa per sembrare contraffatto.
Recuperate le valigie,ci soffermiamo per effettuare un briefing sul da farsi.
Un addetto dell’aeroporto,nelle nostre vicinanze a fumarsi una sigaretta,fiuta l’affare e si propone di accompagnarci in città,distante circa 25 chilometri,al prezzo di 25 euro.
Ci lasciamo convincere e lo seguiamo in un ufficio dell’aeroporto.
Tutti gli impiegati sono indaffarati a dormicchiare e rifiutano,deridendo il loro collega,la proposta di accompagnarci in città.
Il nostro accompagnatore si incazza e decide che sarà proprio lui a darci il passaggio a pagamento.
Ci invita a seguirlo all’ufficio cambio all’interno dell’aeroporto,dove scambiamo la cifra pattuita da euro in manat,la moneta locale,e ci dirigiamo verso la sua auto.
Stuoli di tassisti,comprendendo che l’impiegato aeroportuale gli sta soffiando i clienti,ci seguono e si lamentano con l’impiegato stesso cercando di soffiargli a loro volta la clientela.
L’impiegato fa valere la sua autorità di aviatore e ci liberiamo degli scocciatori.
Dismessosi qualsiasi segno distintivo,il nostro autista torna civile ed è pronto ad accompagnarci in città attraverso la campagna azera.
Ci lasciamo l’aeroporto a forma di pagoda alle spalle e dopo una breve sosta alla pompa di benzina voliamo verso la capitale.
Pian piano il cielo si sta schiarendo;il buio lascia spazio alla luce;la foschia data dalla forte umidità ci avvolge;a tratti si trasforma in vera e propria nebbia tanto che l’autista è costretto vistosamente a rallentare;l’aurora fa sempre più prepotentemente la sua comparsa;la strada verso la città è poco trafficata e si scorre via a velocità sostenuta;sorpassiamo alcune vecchie Lada;l’autista diffonde dall’autoradio musica turca;un forte e penetrante odore di petrolio pervade l’aria;si dipana nelle nostre narici e ci inebria;la campagna circostante è brulla e presenta una scarsa vegetazione;i tronchi degli alberi sono tutti dipinti di bianco;le case della prima periferia cittadina si presentano basse ed unite tra loro da un unico muro perimetrale;ogni “quartiere” è circondato da un unico muro formando quasi un villaggio a sé stante;ogni casa è dotata di cassone per l’acqua posizionato su una sorta di impalcatura ad altezza tetto. Quello che vediamo fuori dal finestrino mi riporta in mente la zona periferica a nord di Marseiile,abitata prevalentemente da immigrati arabi,ma potrebbe essere senza problema anche lo scenario di un servizio televisivo sulla Palestina.
Passiamo da un sito petrolchimico dalle grosse dimensioni;l’aria si fa ancor più pregna di petrolio.Tubi per il transito dell’oro nero si dipanano ai nostri lati,sopra di noi e spariscono verso il mare.
Sembrano quasi gli scivoli di un aquapark.
All’orizzonte,su di una collina,enormi palazzoni in pieno stile sovietico,molto simili ai Lunik di Kosice,fanno la loro comparsa.
Entriamo in città e lo scenario cambia radicalmente.Enormi vialoni alberati,antichi palazzi con architetture ornamentali,giardini ben curati si presentano ai nostri occhi.
Ci addentriamo sempre più nel centro e ci troviamo davanti il Palazzo del Governo,sede del vecchio regime sovietico.
Il gentile autista,di sua spontanea volontà,accosta l’auto ed insiste affinchè Jena scenda a scattare alcune foto del palazzo.
Riprendiamo la corsa nella città ancora semiaddormentata e ci addentriamo nel centro regalandoci così un gustoso assaggio di quello che ci aspetterà da lì a poco.
Come pattuito,l’autista ci abbandona nel punto prestabilito.
Giusto un paio di giorni prima,considerato che fino all’ultimo l’approssimativa organizzazione del viaggio era stata revisionata,si erano prenotati tre posti nell’unico ostello cittadino,ubicato in pieno centro.
Le nostre indicazioni in inglese parlano chiaro,l’ostello si trova lì ma…non lo troviamo.
Controlliamo la zona palmo a palmo ma niente,l’ostello non salta fuori.I nostri telefoni sono fuori uso e notiamo un piccolo albergo nelle vicinanze,potrebbe servirci come ancora di salvezza.
Nonostante siano solo le 08:00 di mattina,il caldo inizia a farsi sentire;la stanchezza ed il conseguente nervosismo anche.
Notiamo una simpatica giovinetta che,dall’abbigliamento,intuiamo facente parte di una casta superiore rispetto alla media.Non ci sbagliamo,parla correntemente inglese e mette il suo telefonino a nostra disposizione.
Anzi,fa di più parlando ella stessa con l’ostellante che,ci comunica,verrà a prenderci entro pochi minuti per strada.
Ringraziamo di cotanta gentilezza la giovine.
Solo giorni dopo intuiremo la storicità del momento che stiamo per vivere.
Fa il suo ingresso in scena My frijend.
My frijend,al secolo Baxlul,un giovanotto dall’età indefinita,basso,pettinato alla dj Molella,viene a darci il benvenuto direttamente in strada abbigliato con polo color escremento di cane,pantalone nero elegante,il tutto su tappine a trecce incrociate di pelle in tinta con la polo.
Ha l’aria incazzata di chi è stato appena tirato giù dal letto.
Ci svela il mistero dell’ubicazione dell’ostello:si trova nel vicoletto giusto di fronte a noi che,per un nostro errore di traduzione dall’inglese,non avevamo esplorato.
My frijend ci scorta nella sua elegante dimora:entriamo nello stretto vicolo,saltiamo una grossa merda di cane,penetriamo in un piccolo cortile volgare e in un angolo,quasi sotto una scala di legno,troviamo l’ingresso del minuscolo ostello:2 stanze cucina-cesso.
Definirlo ostello ad 1 stella,significherebbe sminuire la storica pensione Libano.
Nonostante avessimo prenotato anche la notte appena trascorsa,per evitare di dover effettuare il check-in in tarda mattinata o addirittura nel pomeriggio,My frijend sembra contrariato dalla nostra presenza e,naturalmente,non trova la nostra prenotazione.
Ci dice di aspettare,sul divano e al buio,finchè si liberi la stanza “perché in ostello quando uno si sveglia parte ed arrivano gli altri,my frijend”.
Ogni due parole mette un “my frijend”.
Ma chi cazzo ti conosce?...
E continua a masticare in maniera irriverente delle strane noccioline nere,che risulterà essere il suo passatempo preferito.
Ci invita a toglierci le scarpe e ad utilizzare in casa esclusivamente le tappine.Gc è titubante e si becca un’accurata ispezione delle proprie tappine da parte di Myfrijend in persona,ma hanno tutti i requisiti in regola e superano i controlli.Se esci un mezzo secondo in tappine nel cortile sei braccato,in casa dovrai camminare scalzo.
Intuiremo che My frijend è seguace delle seguente filosofia:"non sporcare per non pulire".
Stanchi e nervosi siamo quasi sul punto di abbandonare il postaccio.
Per stemperare gli animi optiamo però,per concederci un giro in città e rientrare quando la stanza si sarà resa libera.
I nostri propositi di dormire e poi uscire a fisico riposato vengono riposti nel cassetto.
Nel frattempo My frijend andrà al mercato ad acquistare per noi delle lenzuola,visto che non erano previste nel contratto di locazione.
Attraversiamo la città vecchia,passiamo davanti i resti dell’antico mercato,sotto la cosiddetta Torre della vergine,usciamo dalle antiche mura e ci riversiamo nella città nuova.
Transitiamo davanti il Palazzo della letteratura da cui le statue dei poeti ci salutano e giungiamo nella piazza delle Fontane.
La città sembra deserta,ancora addormentata.Pochissima gente in giro e quasi tutti i negozi sono chiusi a parte quello che interessa a noi che ha appena alzato le serrande.
Io e Gc ci assicuriamo due schede azere per i nostri rispettivi telefonini,in modo da aggirare l’isolamento delle telecomunicazioni.
Il nostro tour prosegue velocemente per le vie del centro e giunge fin sulla passeggiata che lambisce il mar Caspio,l’unico ed il più grande lago salato al mondo,alimentato dai fiumi Volga ed Ural.
Il lungomare mi ricorda quello di Constanta sul Mar Nero.
L’odore di petrolio è forte.
All’orizzonte ci immaginiamo di scorgere il dirimpettaio Turkmenistan.
La bandiera dell’Azerbaijan,che al centro presenta la mezzaluna e la stella simboli della Turchia,garrisce al vento.
Rientriamo in ostello.Fa davvero caldo.
La stanza è vuota,come il resto dell’ostello d’altronde.Puoi entrare ed uscire dal bugigattolo a tua discrezione.La chiave è sotto la pianta all’ingresso. L’unico condizionatore dell’intero ostello è situato in camera nostra.Un unico apparecchio per tutto il buco.My frijend lo tiene sparato a 18° gradi.In stanza fa freddo e Gc pensa bene di osare ad alzare la temperatura sino a 22°.
My frijend non c’è ma le lenzuola nuove si.Prendiamo possesso dei nostri letti e sprofondiamo in un clamoroso sonno.
Il nostro riposo viene bruscamente disturbato da My frijend.Si accorge che l’aria condizionata è stata manomessa e si incazza con Gc che osa rispondergli. My frijend non ammette intromissioni sull’aria condizionata,fuori ci sono 45° e non transige.
Ci ributtiamo sotto le coperte di lana e riprendiamo sonno all’istante.
Rimessici in sesto,siamo pronti per riuscire nuovamente alla scoperta della città.
Il caldo è insopportabile,nel pomeriggio sono le ore più calde della giornata,essendoci tre ore in più rispetto all’Italia,ci sono davvero 45° gradi e l’umidità non ti lascia neanche respirare.
Il centro,rispetto alle prime ore della mattina,risulta affollato di gente.Tutti sono vestiti con abiti occidentali ma nessuno porta i pantaloncini corti.
A parte tre strani personaggi che si aggirano per la città.Tutti ci guardano e si soffermano a commentare il nostro abbigliamento ed il nostro aspetto.Niente di cattivo ma suscitiamo ilarità.E’ come se ad Enna,per la prima volta,si aggirassero tre scozzesi in kilt.
Col passare dei giorni faremo l’abitudine a queste insistenti attenzioni nei nostri confronti.
Il caldo per me è insopportabile,meno per i miei due compagni.
Inizio quasi ad essermi pentito di aver scelto questo periodo dell’anno per visitare questi luoghi e faccio fatica a seguire il gruppo che sistematicamente mi distanzia.
Non mastichiamo da tempo e la nostra scelta cade su un locale dal nome occidentale ma dalla cucina internazionale:il Pizza Inn.
Per tenere al fresco i tavoli esterni,comunque all’ombra,sono attivi grossi ventilatori,noi optiamo per un tavolo interno con aria condizionata.
Mandano a servirci una simpatica cammarera che parla inglese e che per il resto dei nostri giorni a Baku sarà la nostra cammarera personale al Pizza Inn. Una sera qualcuno le chiederà anche di aggregarsi alla comitiva dopo il lavoro ma lei,ovviamente,declinerà gentilmente l’invito.
La Cappa negativa ci avvisa che è sempre viglile su di noi.Come a Riga,anche a Baku,scattano le defezioni dei nostri contatti locali.Un contatto si trova fuori città mentre gli altri due,distinti e separati,ci danno entrambi appuntamento per mercoledì a distanza uno di quindici minuti dall’altro.Vedremo a tempo debito come dipanare questo garbuglio.
Come sotto i -11° di L’viv dopo pochi minuti dovevi fare una sosta al caldo per riprenderti,così sotto i 45° di Baku risulta necessaria una sosta al freddo.Entriamo in un centro commerciale e davanti ad un caffè turco sorseggiato sotto il condizionatore sparatoci addosso nasce il programma di viaggio. Originariamente erano Baku ed il tour della Georgia,in seguito allo scoppio della guerra si tramutano nel gran tour dell’Azerbaijan mentre ora,i nostri piani,cambiano nella visita delle 3 capitali:Baku,T’bilisi,Erevan.Tagliamo alcune tappe che comunque per via della guerra non potevamo effettuare e mettiamo dentro l’inaspettata Armenija.Anche per non far sentir solo Andreas.
Gc dipana i suoi dubbi sulla tappa georgiana e decide di seguirci per l’intero viaggio.
Terminata la nostra visita nel centro commerciale,volgare ma mai quanto quelli visti a Kosovska Mitrovica o Banja Luka giusto per citarne alcuni,ci dividiamo.
Jena e Gc continueranno il giro cittadino,io,distrutto dal caldo proverò tristemente a rientrare in ostello.
All’ingresso della città vecchia,leggermente ventilato,mi soffermo alcuni minuti ad osservare qualcosa che per me ha dell’incredibile:il traffico automobilistico di Baku.
Decine di auto,Lada con sette-otto passeggeri,Zigulì con sopra i portapacchi mobili e bagagli di ogni tipo,Mercedes,enormi suv Bmw ,mashrutke piene all’inverosimile,furgoncini sono impelagati in un clamoroso ingorgo.
Davanti a me è giusto uno spaccato di quello che si vedrà in questa tappa a Baku.
I sensi di marcia è come se non ci fossero,in mezzo a decine di mezzi che vanno verso un senso ne trovi un paio che vanno in senso contrario.Si assiste a delle scene incredibili:copiloti che scendo e fermano le altre macchine per far transitare la propria vettura;auto ferme ai semafori ancora rossi e le auto in coda che strombazzano affinchè non si perda tempo allo scattare del verde;pedoni che farebbero meglio ad attraversare la strada in taxi per non rischiare di venire spappolati;eleganti berline a tutta velocità sfrecciare a pochi millimetri dai pedoni;clacson che suonano come se tutti i guidatori soffrissero un tic nervoso;auto della polizia che non effettuano posti di blocco ma fermano le auto intimandogli l’alt dagli altoparlanti.
Mi godo lo spettacolo per alcuni minuti e,seppur sfiancato dal caldo,mi concedo un giro largo per rientrare in ostello.Oltrepasso le mura della antica fortezza e,seguendo il mio istinto volgare,mi perdo nei vicoli volgari della vecchia Baku.
Vecchi seduti davanti le case;bambini che giocano in strada e mi lanciano addosso risatine;Volga parcheggiate sui marciapiedi;balconi decadenti con antichi decori di cui si è quasi persa traccia;cortili di una certa volgarità con roba ammassata,cassoni per l’acqua,lavandini per il lavaggio di panni e uomini;panni stesi da un’abitazione all’altra;lavori in corso;polvere.
Due simpatiche ma davvero giovani giovinette mi avvicinano.
Mi chiedono da dove arrivo e se parlo russo,esaurite le mie poche parole di russo conosciute,la nostra conversazione decade.
All’altezza dei resti del vecchio mercato,mi imbatto nuovamente in Jena e Gc e tutti insieme torniamo a casa da My frijend.
Lo troviamo nel suo atteggiamento tipico:seduto sul divano a sgranocchiare noccioline guardando un dvd.
Facciamo la conoscenza fugace degli altri ostellanti:una coppia di tedeschi ed un giovanotto israeliano prima che escano.
L’aria condizionata punta sui soliti 18°,Gc la alza addirittura a 24° questa volta.My frijend si inalbera vistosamente.
Pronti per la serata usciamo dal nostro tugurio senza che prima Gc non abbia fatto uno scherzo di pessimo gusto a My frijend,approfittando della sua assenza:spegne completamente il condizionatore.
Oramai è una guerra personale tra i due.
L’aria fuori è irrespirabile,l’umidità si attacca come colla,il caldo è asfissiante.Dopo una masticata al solito Pizza Inn,raggiungiamo il lungomare e ci concediamo una romantica passeggiata a tre sul pontile.C’è un enorme confusione di gente:famiglie,coppie,bambini.
L’odore di benzina è sempre forte.
Osserviamo il frastagliarsi delle onde del mar Caspio;le coste invisibili ma immaginate del Turkmenistan;la città illuminata;la città alta.
Decidiamo di raggiungere il vecchio ed imponente Palazzo del Governo.Io procedo a piccoli passi.L’enorme termometro luminoso segna 39° quando oramai sono le 23:00.
A fatica e distanziato dal gruppo raggiungo la meta.Osserviamo l’imponente costruzione dalla chiara impronta sovietica ma comunque differente dai classici palazzi di potere di concezione staliniana.Sarà che siamo ai confini dell’impero ma l’architettura è un misto di arabo e sovietico.Ne esce fuori un qualcosa di davvero interessante.
E’ lunedi e le strade si sono spopolate presto,il caldo asfissiante fa il resto e non ci resta che fischiare la fine.
Attraversiamo i giardinetti sul lungomare,quasi deserti,e distanziato dagli altri medito un clamoroso rientro in Italia se si dovesse continuare a queste temperature.
MARTEDI 26 AGOSTO: BAKU.
Indifferenti al canto del gallo,ci svegliamo con calma dopo una gelida notte trascorsa sotto il soffiare incessante del condizionatore.
Nella sala riunioni dell’ostello è in corso un acceso briefing con gli altri avventori dell’ostello.
My frijend dirige i lavori:l’israeliano si è preso alcuni mesi sabbatici e,partito dall’Inghilterra,deve raggiungere una meta non meglio precisata più ad est possibile.L’importante non è visitare o vivere i posti toccati,l’importante è arrivare e poi poter dire di aver vissuto un’esperienza interessantissima.Ma vuota. Ha la stessa filosofia di viaggio di numerosi cosiddetti backpackers statunitensi o australiani incontrati in giro per l’Europa in questi miei anni di viaggio. Girano in lungo ed in largo l’Europa,vivendo gli ostelli,bevendo nei pubs e collegandosi ad internet 24 ore al giorno o quasi.Ma che esperienza hanno poi in realtà vissuto?
Il problema dell’israeliano è guadare il mar Caspio per raggiungere indifferentemente il Kazakhstan o il Turkmenistan.
Un problema simile hanno la coppia di tedeschi,partiti in moto dalla Germania hanno traversato,senza soffermarsi più di tanto nelle località passate,l’Europa ed attraverso la Turchia e la Georgia sono giunti a Baku.Anche loro devono guadare come l’israeliano il mar Caspio perché hanno come meta il Kirghizistan.
Ma solo per poi imbarcarsi con tutta la moto su di un aereo con destinazione Thailandia.
Sia la coppia che l’israeliano non sono provvisti de visti necessari per entrare in questi paesi,di conseguenza devono richiedere le apposite autorizzazioni in ogni stato precedente la loro prossima meta.Così da perdere tempo,denaro e dover poi risolvere complicazioni varie.
Il Trio attende a Baku da giorni i visti necessari e soprattutto è in attesa di una nave cargo che li trasbordi da qualche parte al di là del mar Caspio.
Non esistono navi passeggeri che collegano l’Azerbaijan al Kazakhstan o al Turkmenistan ma solo navi cargo con posti per passeggeri limitatissimi che partono solamente quando sono realmente carichi di merce.
E la partenza è decisa all’improvviso.
Di conseguenza i tedeschi e l’israeliano trascorrono le intere giornate tra il Ministero per gli Affari Esteri ,in attesa dei documenti,ed il porto in attesa di un segnale,una sirena,un cenno del capitano di vascello che annunci la partenza di un qualche cargo.
My frijend,quando non è impegnato a snocciolare i suoi arachidi,cerca di dare una mano ai suoi ospiti,avvalendosi della sua vasta rete di conoscenze locali. Durante la solita riunione i toni sono accessi e drammatici.
Decidiamo di togliere il disturbo,anche perché questi “problemi” ci sembrano alquanto stupidi.
Che gusto c’è attraversare l’Europa e l’Asia senza viverle?
Che senso ha non ottenere i visti prima della partenza e poi perdere tempo in uffici vari nei posti in cui si fa tappa senza visitarli?
Che senso ha raggiungere in moto dalla Germania il Kirghizistan e poi prendere un aereo per la Thailandia?
Non si era a conoscenza,già alla partenza,della difficoltà a traversare il mar Caspio?
Oggi il caldo si attesta sui valori italiani,circa 40°,e non ho scuse.Nonostante per me,il caldo,sia comunque insopportabile non è un motivo valido per abbandonare la spedizione.
Come prima tappa ci concediamo la visita al Palazzo degli Shirvanshahs.
La dinastia degli Shirvanshahs,di origine persiana,ordinò la costruzione di questo grosso edificio,nei primi anni del 1400,eleggendolo a loro dimora ufficiale,quando trasferirono la loro capitale proprio qui a Baku.
Sotto un solo cocente penetriamo,dietro pagamento di un biglietto,nel palazzo vero e proprio,ci addentriamo nel padiglione del Divankhana,osserviamo il mausoleo in onore della famiglia,ammiriamo la moschea ed osserviamo l’area adibita al bagno.
L’architettura araba,le iscrizioni persiane,il caldo asfissiante ci fanno sembrare di essere sbarcati,giusto per il tempo necessario alla visita,in posti fino ad ora visti solo in foto o televisione come Damasco e la Siria in generale.
Fuorisciti dal palazzo e persici nelle stradine della città vecchia,raggiungiamo la funicolare,il mezzo che ci porterà senza fatica nella città alta di Baku.
La caratteristica funicolare di Baku,a differenza da quelle di Ljubljana,Zagreb e Praha,è costituita da uno vero ed originale vagone di epoca sovietica. L’ascesa dura solo pochi minuti ma,all’arrivo,si è premiati con una vista spettacolare della capitale azera in quasi la sua interezza.
Come prima tappa visitiamo la grande moschea cittadina principale,si prosegue con il moderno Palazzo del Governo ,attuale sede del potere azero e ci inoltriamo attraverso la assolatissima esplanada sulla cui superficie,in passato,si ergeva la statua di Kirov.
Ci incamminiamo per il lunghissimo viale alberato che altro non trattasi di un lungo cimitero:Shahidlar Khiyabani.
Sul viale alto sono visibili le tombe dei rivoltosi uccisi il 20 gennaio 1990 durante gli scontri con l’esercito russo,quando l’Azerbaijan chiedeva l’indipendenza dal governo di Mockba.
Sul viale basso,invece,si trovano le tombe dei martiri caduti durante una delle sanguinose battaglie contro gli armeni.
Alla fine del viale si trova il classico monumento ai caduti con la fiamma sempre ardente.L’originale monumento in classico stile sovietico,onnipresente da Minsk a Vladivostok,qui è stato sostituito con un mausoleo di stampo musulmano.
Sulla collina dirimpettaia osserviamo ergersi la torre delle televisione.
Ai nostri piedi abbiamo l’intera città di Baku ed una splendida veduta del mar Caspio.
Per un momento,la configurazione geografica della baia,mi configura in mente una similitudine con la città di Genéve,quasi adagiata nello stesso modo sul suo omonimo lago.
Anche i getti d’acqua artificiali la ricordano.
Alla clamorosa scalinata in pieno stile corazzata Potemkin,viste le condizioni metereologi che stiamo vivendo,preferiamo una discesa tramite un nuovo viaggio in funicolare.
Non domi delle fatiche fin qui provate,raggiungiamo il centro tramite una lunga camminata sulla Neftchilar prospekti,il viale che costeggia il mare costellato di negozi concessionari dei più famosi marchi di moda,in particolar modo italiani,e risaliamo passando sotto la Torre della Vergine,il simbolo riconosciuto di Baku.La leggenda narra che la figlia del Khan di Baku si gettò di sotto per non unirsi in nozze al suo promesso sposo ma,molto più probabilmente,la Torre altro non è che una costruzione voluta dai seguaci di Zoroastro che qui in zona professarono in maniera molto accesa il mazdeismo.
Tempo di masticare,tempo di Pizza Inn e della sua simpatica cammarera.
Nel tardo pomeriggio,fino a sera inoltrata,il centro di Baku si anima di giovani,famiglie,bambini che strusciano nella piazza delle fontane e sull’intera articolazione della Nizami,il corso pedonale principale.
Il caldo è sempre insopportabile e tutti gli edifici che siano abitazioni,negozi o uffici sono dotati di condizionatori d’aria.Sarebbe impossibile,credo,vivere senza durante l’estate.
Viste che le condizioni meteo sono incandescenti e quelle fisiche sono deboscianti,pensiamo bene di incamminarci verso la stazione ferroviaria.
Con un occhio stiamo attenti al traffico impazzito,tenendoci ben guardinghi dall’attraversare le strade,con l’altro osserviamo il lato volgare di Baku.
Decine di cortili non visibili a prima vista,nascondono una Baku segreta:la Baku volgare.
Terreni dissestati;panni stesi ad asciugare;vecchie Lada parcheggiate;ammassi di ferraglia;scale in legno;finestre marce;intonaci scrostati.
Da lontano,essendo a causa del caldo sempre distanziato,noto che un poliziotto intima l’alt a Jena e Gc.
Come da esperienze vissute in prima persona,la situazione potrebbe rivelarsi critica.A volte,nell’area ex SSSR,è possibile incappare in situazioni poco piacevoli una volta fermati dalla polizia locale.
Con molta nonchalance,tiro dritto per evitare che il poliziotto fermi anche me.
La norma generale vuole,infatti,che ovunque ci si trovi,in qualsiasi caso di stop non voluto da parte di forze dell’ordine o da parte di altra gente non gradita che potrebbe causare problemi,uno del gruppo resti al di fuori dalle maglie della rete tesa,in modo da poter gestire la situazione in totale libertà di movimenti.
Il mio abbigliamento ìlare per la popolazione locale,purtroppo mi tradisce ed il poliziotto ferma anche me.
Per un attimo,lo scenario cambia e ripiombo con la mente nella stazione ferroviaria di L’viv quando,qualche tempo addietro,la milizia ucraina riuscì ad estorcermi 100 euro.
Questa volta,invece,il finale è completamente diverso.
L’agente scambia Jena per un bosniaco ma quando apprende,dai nostri passaporti in regola,che siamo italiani ci lascia andare senza problemi.
Piazza Jafar Jabbarli,la grande piazza dove si apre la stazione è molto trafficata.L’interno della stazione è fatiscente,forse è davvero l’interno di una stazione ferroviaria più degradato che abbia visto.La stazione di Katowice,portata usualmente ad esempio di fatiscenza e degrado dai più,vince senza ombra di dubbio il confronto.
L’interno della voksal di Baku,comunque,è altamente presidiato da agenti della locale polizia.
Acquistare un biglietto ferroviario in paesi dell’area CSI presenta sempre grosse difficoltà ma allo stesso tempo grande fascino.
Decifrare il tabellone arrivi-partenze;intuire la biglietteria giusta;farsi largo tra la gente in fila allo sportello che spunta da tutte le parti e si inserisce nella conversazione mentre stai osservando il tuo turno;farsi comprendere dagli addetti allo sportello che parlano solo russo stretto presenta gravi criticità. Riuscirsi a destreggiarsi regala grosse soddisfazioni.
Date le nostre precedenti esperienze in Rossija,Belarus’ ed Ukraijna riusciamo ad uscire con poche ferite da questa dura battaglia ed acquistiamo tre biglietti per T’bilisi con partenza tra due giorni.
Sempre a piedi,ovviamente,rientriamo nella nostra dimora.
In sala conferenze è in corso la riunione serale.My frijend,seduto sul divano con un dvd in televisione,tenuto di sottofondo,sgranella noccioline nere con la mano sinistra mentre con la destra gestisce i suoi 2 telefoni cellulari;seduti a latere,l’israeliano sulla destra e la coppia di tedeschi sulla sinistra.
Ancora oggi non hanno combinato niente.O forse si.
L’israeliano ha desistito ed ha acquistato un biglietto aereo per Almaty,Kazakhstan,per il fine settimana successivo;i tedeschi resistono ancora attendendo la partenza del cargo ma sono tentati anch’essi dalla traversata aerea.Che gli verrà a costare circa 2000 euro,trasporto moto compreso.Ma se poi acquistano il volo e il cargo decide di partire?
Meglio tergiversare qualche altro giorno allora.
La situazione è molto calda e stride con la temperatura climatica interna di 18° del condizionatore di My frijend.
Già dal primo incontro un gradevole feeling si è instaurato tra Gc ed il giovanotto ebraico.Voci ascoltate nei corridoi inesistenti dell’ostello,sembrerebbero affermare che sia stato proprio lo stesso israeliano a convincere,con i suoi racconti che verranno puntualmente smentiti,Gc sulla possibilità di seguirci in Georgia.
Le nostre rassicurazioni,supportate anche da testimonianze di fonti locali,non scalfiscono i dubbi di Gc che li scioglierà,invece,davanti le ingigantite storie del suo nuovo amico di Tel Aviv.
L’isrealiano cerca anche di inculcare a Gc pessime idee sull’Armenija che non perderà occasione di denigrare.
Naturalmente tutte le sue cattive e presunte impressioni su quell’area del Caucaso,resteranno lettera morta seconda la nostra successiva esperienza in loco.
Il thrilling del viaggio del Trio,commuove anche noi,tanto da riuscire a farci convincere a saltare la cena al Pizza Inn e recarci col Trio stesso in un pub in centro.
My frijend,puntualmente come ogni sera,in seguito ad una misteriosa telefonata ricevuta,interrompe bruscamente l’incontro,esce e rientrerà solo a notte fonda come da tradizione.
In gruppo da sei ,raggiungiamo questo pub,dietro piazza delle fontane.
Solo My frijend risulta assente,per il resto gli argomenti sono gli stessi di sempre:i dubbi circa l’esito dei viaggi del Trio e lo sparare a zero sull’Armenija. Ogni tanto ci è concesso spiaccicare qualche nostra impressione su argomenti diversi rispetto la “crisi del Caucaso” ma subito si rientra in tema dell’ordine del giorno.
Trascorso non molto tempo,il Trio decide di far rientro in ostello,in orario per il briefing notturno.
Io,Gc e Jena invece abbiamo interessanti prospettive per il futuro e decidiamo di provare a testare la night life di Baku.
Il solito metronotte,nottambulo inguaribile,per la prima volta nella storia della night life europea non sa darci indicazioni a riguardo.Brancoliamo,quindi,completamente nel buio finchè non veniamo attratti da un qualcosa che colpisce la nostra attenzione.
In un pub vicino si sta festeggiando un compleanno.Il pubblico ammesso è esclusivamente di etnia russa e inglese.Sarà gente che lavora nella capitale azera per ditte straniere.La festa per gli invitati decolla ma non per noi che restiamo totalmente esclusi dalle celebrazioni.
Avutone abbastanza,salutiamo gentilmente e ci rechiamo in pellegrinaggio in tutti i locali della zona ma senza successo alcuno.
Sarà martedi;sarà che in giro le simpatiche fanciulle del giorno,del pomeriggio e della sera hanno lasciato il campo ad orde di maschioni,sarà il retaggio religioso degli azeri;sarà che senza le indicazioni del solito metronotte,nottambulo inguaribile,siamo comunque spaesati ma nessun locale raggiunge i nostri pochi esigenti standard di gradimento.
Ci concediamo una romantica passeggiata sul lungo Caspio,ammiriamo la splendida illuminazione che può vantare la città in notturna e le diamo,così,la buonanotte.
In ostello,l’aggiornamento notturno sulla “crisi del Caucaso”,è appena terminata.
MERCOLEDI 27 AGOSTO: SURAXANI – BAKU.
Coperti da un notevole strato di brina,causa il condizionatore fischiante puntato al nostro indirizzo durante l’intera notte,ci viene data la sveglia dal trambusto che si diffonde dall’adiacente sala convegni.
My frijend sta moderando il consueto briefing mattutino.Il problema per i tedeschi è sempre lo stesso:acquistare i costosissimi biglietti aerei o aspettare che salpi un qualsiasi cargo?
L’israeliano,avendo già risolto la sua situazione,assiste My frijend confutando le tesi ed insinuando dubbi in testa alla coppia teutonica.
Gc,emotivamente preso dalla discussione,decide di prendervi anch’esso parte sorseggiando un ottimo caffè proprio mentre My frijend prende la parola. Emozionato dal suo discorso,Gc,versa più di metà barattolo di zucchero per terra.
Nooo! Era il barattolo di zucchero acquistato in occasione del Capodanno 2007...e soprattutto…chi pulisce ora?
My frijend,ammutolito,resta fisso con lo sguardo sul pavimento lasciandosi cadere alcune bucce delle sue noccioline nere dalle mani.
Tra tappine sporche,diatribe sul condizionatore e zucchero versato è guerra fredda tra Gc e My frijend.
Salutiamo il Trio,in procinto di recarsi al Ministero per gli Affari Esteri per il consueto saluto giornaliero e raggiungiamo la fermata metro più vicina a noi. La metropolitana di Baku,è un retaggio delle metropolitane sovietiche.Non è molto estesa e per nulla paragonabile al museo sotterraneo che è quella di Mockba ma lo stile è quello.
Oggi abbiamo in programma di recarci in pellegrinaggio al Tempio di Atashgah a Suraxani,nei dintorni di Baku.
In metro raggiungiamo la fermata da cui prenderemo la mashrutka per il Tempio.Fuoriusciti dalla viscere della terra,la confusione regna totale:il caldo non lascia opportunità di scampo ed il traffico automobilistico è padrone incontrastato della piazza.
Alcune mashrutke si fermano nei nostri paraggi ma non sono quelle che servono alla nostra causa.Storditi dal caldo e dal traffico,alla stregua di Artemio il contadino di Borgo Tre Case,non abbiamo altra soluzione che chiedere informazioni al capo-mashrutka.
Il capo-mashrutka è quel personaggio che,seduto all’angolo delle piazze o nei dintorni delle fermate fantasma delle mashrutke,gestisce il traffico passeggeri delle stesse.Non comprendiamo bene i meccanismi del suo lavoro ma la sua figura risulta efficace quasi come quella del konduktor sui vagoni ferroviari di stampo sovietico.La figura del capo-mashrutka è presente in tutta l’area del Caucaso.
Il suo collega diretto è il capo-parcheggiatore,uomo di mezza età dotato del potere di assegnare i posteggi auto per le strade cittadine,fermare il traffico per consentire le manovre atte al parcheggio,comandare la sua zona di pertinenza dotato dello scettro del potere: un paletto bianco-rosso che manipola secondo segnali ben stabiliti.
In buona sostanza,i capi-mashrutka ed i capi-parcheggiatori,hanno le chiavi delle città.
Seguendo le chiare indicazioni del capo-mashrutka a cui ci eravamo rivolti e sotto un sole cocente,riusciamo a prender posto sul nostro minivan.
La Dea Bendata ci assiste,per una volta,e riusciamo ad occupare dei sedili ben ventilati.Il viaggio inizia.
L’autista accellera facendo slalom tra le auto in movimento;i colpi di clacson si sprecano:in coda ai semafori rossi,verso le auto più lente,verso i pochi coraggiosi pedoni,ad minchian essendo praticamente un tic nervoso dei guidatori azeri;i palazzi più moderni lasciano spazio a classici palazzoni dall’architettura sovietica;decine di parabole sui balconi;si intravede qualche angolo di volgarità;ad ogni fermata fantasma la mashrutka si ferma e carica passeggeri:il vecchio,il bambino,la callarona;infiliamo un lungo vialone che ci porta fuori città;il traffico è fermo;l’unico spazio libero è quello tra un auto e l’altra;per la strada sono disseminati lavori;la polvere penetra dai finestrini spalancati;decine di auto cariche all’inverosimile di passeggeri ,arrivando fino a contarne sette,e bagagli di ogni tipo:divani,bidoni,scatoloni,pezzi di ferraglia;una vecchia Lada è finita con la ruota anteriore destra in una buca grande come un cratere e profonda come un pozzo;passiamo davanti allo stadio dell’Inter Baku,la più famosa squadra cittadina,tra questo stadio nazionale e quello comunale di Rossano Calabro,a prima vista,la differenza che ne intercorre è sottile;sotto una strada sopraelevata,snodo principale dei collegamenti in mashrutka,ci fermiamo nella polvere.
Il capo-mashrutka dello snodo detta i tempi,alcuni passeggeri cambiano e ripartiamo al volo.
Oramai siamo fuori dalla città ma la continuità territoriale è fatta salva.Si rivedono le case-quartiere viste il giorno del nostro arrivo:case basse,lunghi muri perimetrali,cassoni per la raccolta dell’acqua.
Lo scenario pian piano cambia,le costruzioni si diradano e,nelle vaste distese di terreno brullo,si intravedono piccoli apparati per le trivellazioni acquifere ed altre per il petrolio disseminate con una certa capillarità.
Dopo una pazza corsa di circa mezz’ora,l’autista ci scarica a destinazione:uno slargo anonimo ed isolato.
L’unico nostro punto di riferimento è uno scolaretto che sceso dalla mashrutka insieme a noi.Volontariamente si offre di guidarci al Tempio.
Il giovine si esprime solo in turco-azero stretto ma riusciamo ugualmente a comunicare.E’ appassionato di calcio e cita alcuni nostri calciatori italiani:Toni,Totti,Del Piero.
Come nelle campagne nei dintorni di Lomonosov,anche questa volta,ci incamminiamo in fila indiana sui binari della ferrovia elettrica che giungono da Baku,la piccolissima stazione è composta da un marciapiede ed una bassa costruzione bianca adibita a caffè.
Effettuati circa 300 metri,passeggiando sui binari,il bambino ci indica il tempio e ci saluta affettuosamente.Mosso a compassione,mi permetto di elargirgli una donazione pecuniaria del valore di circa 1000 lire in moneta locale.
A parte il Tempio davanti a noi ed i binari alle nostre spalle non c’è nient’altro.Ci troviamo in una specie di posto abbandonato in mezzo al deserto. Disturbiamo i custodi del tempio,indaffarati a riposarsi dalle estenuanti fatiche e ci accingiamo alla visita del Tempio.
Il Tempio di Atashgah fu eretto intorno al 1700 su un sito il cui terreno emanava fiammate di gas naturale.Lo stesso termine Atashgah significa “posto del fuoco”.Universalmente è conosciuto come antico monastero zoroastriano,dove gli antichi discendenti di Zarathustra,professavano la religione mazdeista.Molto probabilmente,da alcune iscrizioni in sanscrito e punjabi (l’indiano antico) situate all’interno del sito,il Tempio altro non è che un tempio hindu.
Originariamente,dal terreno,si sprigionavano delle fiamme eterne.La fiamma è anche uno dei simboli dell’Azerbaijan,poiché il suo territorio,altamente petrolifero,è pieno di siti da cui fuoriescono gas naturali sotto forma di fuoco.
La visita al Tempio,durante la quale ci sembra di trovarci in un fortino della Legione Straniera in pieno deserto,volge al termine.
Fatto ritorno,tramite binari,nella stazione ferroviaria,ci concediamo una lauta sosta davanti a tre ottimi thè fumanti.Un bambino cameriere ci assiste divertito.All’ombra,sorseggiando un thè azero fumante,lontani migliaia di chilometri da casa,seduti in una stamberga di un villaggio segnato a fatica sulle mappe:questo è relax.
Perdiamo volontariamente tre-quattro mashrutke e solo dopo esserci completamente rilassati copriamo il nostro tragitto all’inverso diretti nella capitale. Rientrati dalla gita a Suraxani,ci rechiamo in ostello dove troviamo My frijend tristemente solo davanti alla televisione a masticare noccioline.
Apprende della nostra gita e,come per ogni nostra mossa a Baku,si mette a ridere e ci ripete:”you are not a tourists,my frijends”.
Noi non siamo turisti.Ed il Trio invece?
Per cercare di riappacificarsi con My frijend,Gc intavola un discorso sul calcio italiano.My frijend si vanta di essere un tifoso milanista ma quando Gc gli comunica che sia Ronaldinho sia Schevchenko sono passati alla squadra rossonera,My frijend incredulo e sentitosi preso per il culo perde le staffe ed esce di casa.
Oggi,comunque,è mercoledì,il giorno degli incontri con i nostri contatti locali.
Nasce a questo punto un grosso dilemma:come fare ad organizzare due appuntamenti distinti e separati nella stessa sera?
Dopo argute ipotesi,optiamo per la soluzione “alla Lino Banfi”.
Il piano è il seguente:
Visto che la mia presenza funge da collante in entrambi gli incontri,fissiamo due appuntamenti a distanza di circa quindici minuti l’uno dall’altro.
Al primo appuntamento,con la poliziotta,alle 18:45 in piazza delle Fontane,mi presenterò da solo,come richiestomi espressamente mentre al secondo appuntamento,con altre due ragazze,previsto sotto la Torre della Vergine alle 19:00,si recheranno Jena e Gc accampando scuse generiche circa il mio ritardo.
Purtroppo,per imposizioni dei contatti stessi,gli orari degli appuntamenti non possono discostarsi di molto l’uno dall’altro.
Sotto l’afa pomeridiana mi reco al primo appuntamento.
L’incontro è cordiale e senza doppi sensi.Tanto per cambiare si cammina.Come da accordi intercorsi precedentemente con Jena e Gc,io dovevo indirizzare la poliziotta verso il lungomare mentre loro avrebbero condotto le due ragazze verso il centro,in modo da non incrociarci.
Naturalmente gli accordi vengono disattesi e solo per un’altra benevolenza della Dea Bendata il piano non sfuma.
La lunga passeggiata con la poliziotta scorre via verso il lungomare,terminando in una zona di Baku che non avevo ancora battuto,discettando di usi e costumi azeri e italiani.Intuisco dai suoi discorsi che la mentalità islamica,anche se non forte,è comunque presente nella gente.Un esempio su tutti:lei vive ancora con i genitori in quanto,andando eventualmente a vivere da sola,sarebbe considerata malissimo dalla gente.
A conferma di ciò,intorno le 19:30 deve rincasare poiché non è corretto per una ragazza del suo rango far ritorno a casa tardi.
Rimasto solo,rientro verso il centro pensando di avvicinarmi ai miei compagni di viaggio.
Mentre cammino,riesco a captare un certo movimento e noto una ragazza che mi guarda insistentemente.Mi stoppo cinquanta metri più avanti.Lei non tarda ad arrivare e attacca con la banale scusa del “che ore sono”.
Visto che non parlo l’azero,gli mostro l’orologio.Sussulta.Uno sbalzo di tre ore in meno.Ho ancora l’orario italiano suggeritomi dal commissario Auricchio… Una scena quasi simile a quella vissuta a Mockba tempo fa.
Data l’incomunicabilità linguistica,decido di seguirla.Lei cammina una ventina di metri davanti a me,voltandosi spesso per non perdermi.Dopo un piccolo inseguimento,considerato il fatto che la situazione non mi convinceva appieno,desisto e mi confondo tra la folla.
Entrato in contatto con i miei compagni,inverto la mia marcia verso il lungomare;loro mi aspettano lì.
Espletate le formalità di rito e soprattutto scusatomi per il gentile ritardo,le ragazze ci comunicano che ci porteranno a scalare a piedi la collina fino alla Baku di sopra.
Ben contenti di questa ulteriore camminata in salita,accettiamo senza battere ciglio.
Romanticamente attraversiamo tutto il lungomare con a sinistra il mar Caspio e a destra la capitale,saltiamo la funicolare ed iniziamo ad aggredire a piedi la clamorosa salita che porta fino alla città alta.La conversazione è piacevole e scherzosa alleviandoci così la scarpinata.
Le ragazze ci mostrano una zona della città che non conoscevamo:l’enorme locale delle feste presidenziali;il Palazzo del Presidente;gli spettacolari giardini adiacenti con tanto di cascate e corsi d’acqua che scivolano giù sotto i nostri piedi,i quali poggiano su un pavimento costituito da ampie vetrate,appositamente installate per scorgere l’acqua sottostante.
La camminata è ardua ma interessante.Ridiscendiamo verso il centro città effettuando la circumnavigazione completa di esso,dal lungomare,alla collina,alla piazza delle Fontane:un semicerchio per ammirare tutto il centro,antico e più moderno,di Baku.
L’ora,essendo le 22,per le ragazze,è tarda;devono rientrare in famiglia.Noi invece,rimasti soli,ci concediamo una masticata al Pizza Inn dove la nostra amica cammarera ci attende oramai preoccupata.
Nel dopocena ci vogliamo concedere ancora un’ultima possibilità.Giriamo per alcuni locali quasi completamente vuoti.In giro solo maschioni.L’influenza religiosa si avverte.Optiamo per un triste rientro al fresco della nostra stanza.
proseguiamo con l'ultimo giorno a Baku e le considerazioni riguardo la tappa azera:
GIOVEDI 28 AGOSTO: BAKU.
Oggi è il nostro ultimo giorno a Baku.Questa sera lasceremo l’Azerbaijan alla volta della Georgia.
Nei nostri piani,in origine,era prevista una tappa a Ganca,la Kirovabad dell’impero sovietico e seconda città dell’Azerbaijan ma,stravolgendo i nostri programmi giorno per giorno,decidiamo di tagliare la tappa per guadagnare poi un giorno più in Armenia.
La mattina,nonostante le vibranti discussioni del Trio e My frijend nella sala assembleare che disturbano il nostro riposo,la tiriamo un pò per le lunghe a letto.Una volta ricomposti i bagagli e resici presentabili alla città,usciamo per la nostra ultima volta nella capitale azera.
Visto il lungo viaggio in treno che ci aspetta in serata ed il solito caldo opprimente,la giornata trascorre in totale andamento da relax.
Ritocchiamo le nostre precedenti visite in città,girando per alcuni posti che ancora non avevamo visto;proviamo a riperderci tra i vicoli della città vecchia per respirare ancora una volta l’atmosfera araba,tra volgarità,venditori di tappeti e angoli caratteristici;visitiamo un paio di centri commerciali a metà tra gli sfarzosi di Krakow o Budapest e i fatiscenti di Kosovska Mitrovica o Bar (in Crna Gora);mastichiamo per l’ultima volta al Pizza Inn,dove salutiamo commossi la nostra amica cammarera;perdiamo tempo in piazza delle Fontane,animata da un via vai di gente;facciamo shopping,acquistando un portafortuna azero sperando che si riveli un portentoso anti-Cappa negativa;facciamo una piccola spesa di derrate alimentari per poter affrontare il lungo viaggio in maniera adeguata;salutiamo la città di Baku.
Un piccolo rammarico l’abbiamo per non esserci inoltrati nel vasto territorio azero e non aver così potuto comparare la vita della capitale con il resto dello stato ed i villaggi della campagna.Un pallino del sottoscritto,era ad esempio,fare un salto nella Repubblica Autonoma di Nakhchivan,un’enclave azera compressa tra l’Armenia e la Turchia e raggiungibile solamente in aereo (a meno che non si voglia passare dall’Iran).Questo territorio,narra la leggenda,fu il posto in cui Noè,ridisceso dal monte Ararat,scelse per il suo riposò.
Purtroppo,però,il nostro tempo a disposizione non è infinito e ci accontentiamo,senza ombra di dubbio,di quest’unica tappa nella capitale.
Baku,abbiamo notato,in fondo è una città ricca.Il vasto centro,composto dall’unione di quello antico e di quello più moderno,è tenuto in maniera altamente decoroso e con un’illuminazione notturna davvero impeccabile.
In fondo,l’Azerbaijan è una gigantesca riserva di petrolio ed i soldi che l’oro nero attira da queste parti,si avvertono.Come si avverte nell’aria il forte profumo dello stesso petrolio,non appena metti piedi in città.All’inizio è permeante,poi col passare del tempo,inizia l’assuefazione,ti entra completamente dentro,ti inebria e non l’avverti quasi più.
Il caldo,di questi tempi,è insopportabile e contrasta col freddo che supportato dal vento (Baku è anche chiamata “la città del vento”),presenzia nei mesi invernali.
Clamoroso è il traffico.Non si era mai assistiti a scene come quelle di cui si è stati testimoni per le strade della capitale.
Lo stile sovietico,retaggio di una dominazione di circa settanta anni del governo centrale di Mockba,si nota relativamente.Si nota molto di più lo stile arabo e turco,quasi come se in fondo,a parte dal punto di vista politico,il governo sovietico abbia lasciato una più ampia autonomia a questa zona ai confini dell’impero.
La vicinanza con la Turchia e con il mondo musulmano si avverte ,invece,in maniera più visibile:dal simbolo centrale della bandiera,una mezzaluna bianca ed una stella ad otto punte (la Turchia ne ha cinque) che simboleggiano le otto discendenze turche,alla religione per finire con le tradizioni culturali. Rientriamo nel nostro ostellaccio per prepararci alla partenza.
I “magnifici quattro” stanno discutendo nella consueta riunione pre-serale.Partecipiamo anche noi,per diletto,con qualche intervento e siamo pronti ad abbandonare la città.
Con partecipata commozione,salutiamo il Trio di cui non conosceremo mai il finale delle loro storie;My frijend il padre che ci ha accolto nella sua casa come figli;i suoi strani arachidi neri;le sue decine di dvd in lingua originale;l’aria condizionata a 18°;le sue strane uscite notturne;la guerra fredda tra lui e Gc.
Con un tassista onesto,amico di My frijend,ci rechiamo alla stazione ferroviaria di Baku.
Stuoli di facchini portabagagli cercano di accaparrarsi le nostre grazie ma vengono puntualmente disillusi dai nostri gentile diniegi.
La stazione della capitale presenta giusto 4 o 5 binari,in fondo sono previsti solamente alcuni collegamenti interni ed un unico internazionale con la Georgia.
L’area ferroviaria si presenta estremamente colorata di verde,il colore nazionale,e con la scritta Baku,che dà il benvenuto in città,stilizzata e con le fiamme,simbolo della città stessa,disegnate.Posto in alto sopra l’edificio ferroviario,sembra quasi il cartellone di ingresso in un parco divertimenti.E’ la prima volta che osservo un cartello ferroviario così informale.
I binari sono presidiati da agenti di polizia in normale azione di pattugliamento.
Il treno è il classico in stile sovietico.A noi è toccato uno scompartimento da 4 da dividere in 3.Non ci sono molti passeggeri.Il vagone;il controllo biglietto e documenti da parte della konduktor;il tappeto in corridoio;il cassone per l’acqua del thè;il cesso fatiscente;lo scompartimento-cuccetta sono cose oramai familiari a me e Jena,novità assoluta invece per Gc.
In perfetto orario,alle 20:35,salpiamo alla volta della Georgia e della sua capitale T’bilisi.
A differenza dei momenti precedenti la nostra partenza,all’aeroporto di Riga,questa volta,non avvertiamo tumulti psicologici.Questi giorni in Azerbaijan ci sono serviti da tappa di decompressione.In Georgia,ovviamente essendo una stato diverso,vivremo emozioni differenti da quelle avvertite in Azerbaijan ed in più c’è l’incognita della guerra ancora in corso ma siamo sereni.
Come in ogni posto in cui ci si reca per la prima volta,molti possono essere i dubbi e le paure su quello che si troverà una volta in loco,pensieri indotti anche dai pregiudizi ignoranti di alcune persone.
Ma come abbiamo visto anche questa volta in Azerbaijan,anche in un posto così lontano da noi in fondo è,con le dovute differenze,tutto come da noi.Bisogna vederli i posti per giudicare.Le mostruosità esistono,forse,solo nei sogni.
Il caldo umido si avverte anche nello scompartimento,di conseguenza,dopo una lauta cena a base di due tozzi pane e formaggio,mi installo comodo nella cuccetta superiore completamente svestito ed,in mutande,auguro la buonanotte ai miei due compagni di viaggio intenti a leggere o ad ascoltare musica: “Non preoccupatevi,vi sveglio io mezz’ora prima dell’alba”,rooonf…rooonf…roooonf…