Venerdì pomeriggio.
Finalmente giunge l’agognato week end, un “ponte” di tre giorni, grazie alla festività della Trojca (Pentecoste) che in questo anno 2016 cade domenica 19 giugno e alla consuetudine qui in Ucraina di spostare la festività coincidente con un giorno già di per sè festivo (come la domenica) al primo giorno lavorativo seguente (cioè il lunedì). I commenti su questa prassi si sprecano, ma è innegabile il piacere e la comodità, per i piccoli come per i grandi, di godere in tali occasioni di un giorno di riposo in più da poter dedicare a ciò che più aggrada.
Inizia così una “tre giorni” che già sulla carta pare estremamente avvincente. Obbiettivo massimo: ascensione sul Goverla (la vetta più alta d’Ucraina – 2061 m.); si tratterebbe per me del secondo tentativo dopo il fallimento di qualche anno a causa di un improvviso e forte temporale che mi aveva impedito di concluderla. Spesso accade che la montagna – e chi la conosce, la rispetta e la ama, la sa anche temere – mette l’uomo in condizione di scegliere del proprio destino, ti mette di fronte a un bivio che coinvolge anche l’aspetto psicologico: o chini il capo e rinunci all’obbiettivo – e dunque umilmente accetti e riconosci la sconfitta; oppure, intriso di ostinazione, la sfidi a tuo rischio e pericolo. Certo le variabili dell’esperienza di montagna e della conoscenza del territorio possono influire su questa scelta facendo prevalere o la paura o il senso di sicurezza. E ciò indipendentemente dal fatto di trovarsi sulla roccia o su un sentiero in alta quota. Altre volte invece sei semplicemente costretto o a recedere o a proseguire, perchè non hai altra scelta. Allora, nel mio caso, l’aggravante della non conoscenza del sentiero e il fatto che fossi in compagnia di persone che non se la sentivano di proseguire, oltre al reale tempaccio (nuvole basse che non si vedeva niente e pioggia a di rotto), non mi aveva lasciato alternative.
Obbiettivo minimo: escursioni nel bosco – il cestino l’ho con me, chissà che non si trovi qualche funghetto; mangiatine tipiche (tra cui il ritorno da “Gagarin e bokorash” per far provare anche alla famiglia la birretta alle erbe e le pietanze locali), e soprattutto relax, tanto relax (compreso qualche mitica saunetta rigenerante) al fresco di queste boscose e verdi montagne dei Carpazi che bazzico da anni e alle quali ormai mi sento intimamente legato. Lontano dalla cappa calda, afosa e inquinata di Kiev.
La novità sta che questa volta sono con me i pargoli che ancora non hanno mai visto questi posti. Una nuova esperienza dunque e per loro, e per me insieme a loro. La tradizione invece sta nella scelta del posto: pur avendo visto diverse zone dei Carpazi, ritorno sempre lì, a Vorohta, un villaggetto decentrato rispetto alla “trassa” (strada) principale che attraversa i Carpazi da Ivano-Frankovsk a Mukachevo, e dunque meno frequentato e più autentico. Così pure la sistemazione è per me una consuetudine. Ogni anno, almeno una volta all’anno, mi fermo al “Kermanich” e lì voglio tornare. Il “Kermanich” si trova all’estremità del paese di Vorohta; è una sorta di “sadyba”, cioè un piccolo albergo con kolyba (ristorante tipico nei Carpazi) annessa, composto da diverse casette in legno (“domiki”) – una sorta di bungalow di montagna. Il bello di questo posto sta nella sua posizione lontana dalla civiltà e ai bordi del bosco e del fiume Prut che vi scorre poco sotto; e nella semplicità del suo stile.
Il paesino di Vorohta.
Vorohta.
La chiesetta di Vorohta.
Il "Kermanich".
Il fiume Prut, poco sotto al "Kermanich".
Le previsioni danno tempo variabile, ma si sa, in montagna il tempo può cambiare repentinamente e la mia speranza è che non piova in modo da poter realizzare almeno il programma minimo.
Recupero i pargoli e il resto della famigliola alla stazione di Ivano-Frankovsk, distrutti dopo oltre 12 ore di treno da Kiev e li “deposito” in centro a far colazione, mentre io devo sbrigare delle ultime faccende di lavoro, prima di partire per la montagna. Vedo i piccoli già eccitati per l’esperienza vissuta in treno; mai prima d’ora avevano provato l’ebbrezza di un viaggio così lungo su un treno ucraino/russo: un kupè tutto per loro, le cuccette, i rumori, gli sballottamenti, i butterbrod e il thè portato dalla “provodnitsa”, i compagni di viaggio, ecc... insomma la classica situazione da treno che anche a me fa godere parecchio e di cui altre volte ho raccontato. Un pò meno pimpanti e decisamente meno riposati gli altri componenti della combricola (mogliettina, cognatina e soprattutto il fidanzato di lei che pure per la prima volta ha viaggiato per una notte intera su un treno e – mi dice – non ha chiuso occhio. Lui è uno studente curdo ed in effetti immagino che non sia abituato a certe situazioni!).
Ma il buon umore in ogni caso è percepibile in tutti loro ed in particolare l’agitazione è reale nel Paolino e nel Giorgetto perchè anche per loro, anzi, soprattutto per i piccoli, le aspettative per questo week end sono grandi. Ed io voglio dare loro più emozioni possibili, anche attraverso l’esperienza di situazioni difficile e faticose, chiaramente non esagerate, perchè più loro vivono questo tipo di emozioni più loro le assorbono, e poco alla volta si abituano ad un certo modo di approcciarsi e intendere il viaggio. È commovente vedere il luccichio della curiosità negli occhi dei bambini, in particolare di quello di un anno e mezzo, che nulla apparentemente capisce e distingue di ciò che vede, ma che sono convinto immagazzina le impressioni che, depositandosi ed accumulandosi in qualche angolo recondito del cervello, produrranno chissà una sorta di bagaglio che, nel futuro magari, contribuirà alla formazione del carattere.
Purtroppo il “Kermanich” è pieno. Si aspetta a breve l’arrivo di un “detskij tabor” (una sorta di colonia estiva) di oltre 50 ragazzini che occuperanno ovviamente tutti i “domiki” del complesso. In effetti non è un ponte solo per me, e siamo, tra l'altro, già in periodo di vacanze (le scuole sono chiuse)... potevo calcolarlo, ma mi sono fidato delle mie esperienze passate nelle quali avevo sempre trovato posto.
Non è comunque un problema. Attraversando i paesi nei Carpazi, lungo la strada, si incontrano spesso diverse case in cui vengono esposti sui recinti cartelli con la scritta “je vilni mistsja” ("ci sono posti liberi") e il numero di telefono. Ci mettiamo dunque poco a trovare un’altra sistemazione. Addirittura migliore: più isolata, più “grezza”, più verso il bosco e dunque ancora più autentica. E, tra l’altro, a poche decine di metri oltre il “Kermanich”, importante punto di riferimento per le mie saune serali che intendo fare durante questa vacanzina.
La casetta che affittano Nadja e Serezha è spartana ma ha tutto l’essenziale per poter trascorrere qualche giorno: gas, elettricità, acqua calda. Piacevole respirare l’odore d’abete che riempie le due piccole stanzette, una sotto e una sopra, della casetta. Se si escludono alcuni accessori, tutto all’interno è rigorosamente in legno. Mi sento subito a mio agio e non sono il solo... noto che tutta la combricola è entusiasta della scelta.
La nostra casetta.
Il secondo piano della casetta.
La casetta di Nadja e Serghej.
Il loro podere.
Poco distante dalla casetta: Gringox, Giorgetto sulle spalle e Paolino.
Nadja, la padrona, è gentilissima. Ci racconta che sono diversi anni che vive qui, da quando si è sposata con Serghej, che invece è “mestnij” (locale). Lei è originaria di Chernigov, città lontana 800 km da qui, al confine con Bielorussia e Russia, e, comunicando con lei, mi accorgo subito che la sua lingua nativa è il russo. È lei che in genere tratta coi clienti. Ci dà tutte le indicazioni del caso e ci dice che se volessimo, lei può preparare la cena e la colazione ad un costo davvero simbolico (cena a 60 grn/persona – 2 Eur a cranio). Ovviamente non c’è un menù, si mangia quello che lei prepara per la sua famiglia... Meglio di così – penso – non poteva andare! Per stasera ci sarebbe “jushka s gribami” (zuppa coi funghi porcini) di primo e cotoletta di pollo con patatine novelle di secondo. Andata! E le diamo subito l’ok per la cena.
Serghej è un buon uomo, di poche parole ma sempre sorridente, un montanaro vero. Sgobba dalla mattina alla sera dietro alla costruzione della zona barbecue che sta realizzando poco distante dalla loro casetta, e non si occupa dei rapporti coi turisti. Credo di aver scambiato con lui sì e no due parole e nulla più durante questa permanenza da loro. Hano due figlioletti, un bambino e una bambina, che vivono in stile “Heidi”, tra galline, corse nei prati e giri nel bosco a cercare funghi e bacche. E, come è naturale, sin da subito fanno subito amicizia coi miei bambini.
Sabato.
Per giungere al campo base dove finisce la carrozzabile occorrerebbe una Uaz... talmente è complicata la strada sterrata che si snoda in mezzo al bosco tra buche, sassoni che sfiorano la marmitta e canaletti. Ci metto quasi un’ora per percorrere una manciata di chilometri ad una velocità di 10 km/h. Siamo già all'interno del parco naturale dei Carpazi.
La strada che conduce al parco naturale dei Carpazi. Questa è ancora decente... sullo sfondo, il Goverla.
Finalmente iniziamo la nostra ascensione, come da obbiettivo massimo. Movimento di turisti ce n’è, soprattutto gruppi di ragazzi dei “lagher” (le colonie estive) che trascorrono l’estate nella natura di queste montagne. Per la maggior parte, a giudicare dalla parlata, è gente dell’ovest Ucraina. Stranieri non ne incontro.
Tutti siamo ben predisposti e di buon umore, e il tempo per fortuna è dalla nostra parte. Zaini in spalla, compreso il Giorgetto sulle mie di spalle. Che già sente che si divertirà e ubriaco di emozione pian piano si addormenterà placidamente.
Già il primo pezzo, quello dentro al bosco di abeti è ripidissimo e il sentiero non è ben segnalato; si cammina a zig zag tra le radici sporgenti degli alberi costeggiando un ruscello dall’acqua limpida.
Qualcuno sta preparando il pranzo nel bosco...
La prima parte della salita in mezzo al bosco.
In circa 40 minuti giungiamo alla fine del bosco proprio in quella radura dove tre anni fa mi aveva colto la tempesta costringendomi a ridiscendere velocemente...
Da questo momento la vegetazione si fa più rada, il muschio, i pini mughi e l’erba si sostituiscono agli abeti, e il sentiero diventa evidente. Non ci si può sbagliare, sembra di camminare su un letto di un torrente secco, tra i sassi che segnano il percorso; la ripidità aumenta e diminuisce il passo, e poco alla volta si prende quota. Già si vede, superba, la gobba della cima, o meglio di quella che io pensavo fosse la cima e che invece ahimè si rivelerà poi essere solo l’apice del “piccolo Goverla”.
La cima piccola e, dietro, la vetta del Goverla.
Lungo il sentiero...
Di tanto in tanto mi soffermo e mi guardo intorno... Se dietro a questi panettoni boscosi vedessi stagliarsi un “Sella”, un “Sassongher”, un “Cristallo”, o le “Tofane”, penserei di essere sulle “mie” Dolomiti; e in effetti provo ad immaginarmelo questo paesaggio meraviglioso con le Dolomiti dietro e davvero trovo qualche affinità. Forse però maggiore somiglianza queste dolci montagne ce l’hanno con l’Altaj, decisamente diverse invece dal Caucaso...
Panorama dal Goverla.
Il panorama chilometrico dalle pendici del Goverla.
Panorama dalle pendici del Goverla.
Scorcio della Val Badia sulle Dolomiti.
Il "Sassolungo" (Dolomiti).
La vista da un versante del "Sella" (Dolomiti) a valle.
Il "Sella" visto da Corvara.
Immagini dal mio archivio fotografico del viaggio sull'Altaj kazako e cinese del 2002. Qui l'Altaj sul versante kazako.
E qui l'Altaj sul versante cinese.
Il Kazbeghi avvolto nelle nuvole, nel Caucaso, fotografato da me durante un viaggio in Georgia nel 2013.
Il paesaggio del Caucaso.
La particolarità dei Carpazi, visti dall’alto, sta nella visione di panorami chilometrici; nulla ostruisce l’occhio, nè segni di civiltà, nè gli enormi blocchi di pietra che costituiscono le “vere” montagne, nè le vette innevate; occhio che può guardare lontano e seguire le gobbe di queste montagne boscose che incontrano il cielo. E lo spazio che si apre davanti è immenso. Si vedono anche diverse chiazze bianche, piccoli nevai, residui d’inverno che per la posizione meno esposta al sole resistono al caldo estivo.
Proprio per questo il panorama da qui è a suo modo impagabile. O meglio, un prezzo ce l’ha ed è la fatica ed il sudore che provo sulla pelle salendo verso l’alto superando un discreto dislivello e camminando su questo ripido sentiero.
E così giungiamo ai piedi del “piccolo Goverla”, la prima delle due cime del Goverla; manca – ci dicono – ancora un’oretta o forse più di cammino. Improvvisamente piombo nello sconforto! Inizio ad avere la sensazione che qualcosa anche stavolta andrà storto... Questa notizia ha infatti un impatto negativo su tutti, in particolare su qualcuno del nostro gruppo che già non ce la fa più; qualcuno che poco prima era partito pimpante e zompettava agile tra le radici sporgenti degli abeti e che ora mugugna e alterna un passo lento ad una seduta per riprendere fiato... è Paolino che, esausto, convince tutti, me compreso a malincuore, a invertire la rotta e ridiscendere verso la base. Con dispiacere butto gli occhi sulla cima di questo “panettone” che ancora una volta mi vince e mi fermo a guardarlo per diversi secondi, ma – penso – a questo punto la sfida è aperta, e mi riprometto di tornare una prossima volta per sottometterlo! Iniziamo così la discesa. E’ a questo punto che l’altro pargolo, che dormiva da mò, beato e comodo nello zaino sulle spalle del “papetto”, si sveglia ed inizia a guardarsi intorno esclamando qualcosa che assomiglia a dei gemiti di gioia forse per l’emozione del paesaggio che i suoi occhietti vedono intorno, chissà...
Poco dopo arriviamo alla macchina e torniamo alla base. È già sera.
Domenica.
Il giorno successivo, la domenica, lo dedichiamo alla “mangiatina” al “Gagarin ta bokorash”, come da programma. Inutile descrivere la soddisfazione di tutti, compresi i bambini che apprezzano anche un goccino di quella magnifica birretta.
Prima di rientrare alla base facciamo una deviazione a Bukovel’, la nota meta del turismo invernale ucraino. È tanto che non metto piede in questo paesotto; so che è di moda, si sta da anni costruendo molto: nuovi hotel, nuovi impianti di risalita, nuovi ristoranti; la gioventù più “in” d’Ucraina ama trascorrere qui le “settimane bianche” e dar mostra di sè, qui si incontrano macchinoni e gente “tirata”, altro che amanti veri della montagna... No, non fa per me. Certo la posizione è bella, in una conca circondata da montagne boscose, ma a mio parere sono riusciti a rovinarla col cemento e con le costruzioni selvagge. Una cosa bella, a dire il vero, l’hanno fatta: un laghetto artificiale scenografico con acqua trasparente dove sguazzano una miriade di pesciolini... e dove c’è una sorta di spiaggia con tanto di ombrelloni e sdraio e dove si può fare il bagno, ma... a pagamento... Qui a Bukovel’ si ha la sensazione di essere in un mondo finto, un pezzo di occidente e di modernità trapiantato in questo angolo di montagne. Addirittura le strade nel paese non hanno una buca e sembrano quelle precise e lisce dell’Alto Adige! Con la differenza che mentre nelle nostre montagne – mi riferisco per esempio all’Ato Adige che conosco da 40 anni – la modernità è arrivata come evoluzione in linea con la tradizione di quei posti, e si è diffusa in modo uniforme, senza eccessi; qui invece, pur nella cura e nello stile delle infrastrutture, si percepisce la volontà di far prevalere il lusso, le comodità, il “glamour” e dunque il contrasto con la semplicità e la rudezza della realtà intorno al di fuori da qui, che è bella proprio perchè autentica.
Per fortuna che appena si lascia Bukovel’ alle spalle ci si immerge nuovamente nei “veri” Carpazi.
Ultima sera.
Se c’è un piacere per il fisico che, da quando la mia russofilia mi ha irreversibilmente (almeno per il momento) condotto ad amare questo mondo, non trova pari, esso è quello della “banja”. La sauna è per me ormai un rito quasi settimanale anche a Kiev da anni, ma la “banja”, che è la variante a legna, ha un che di più naturale rispetto alla sauna e mi dà maggiore soddisfazione. E più essa è originale e fatta in situazioni particolari, e più il godimento è intenso. Certo d’inverno si raggiunge l’apice del piacere, quando capita di buttarsi letteralmente nella neve con il corpo ancora ustionante per il calore chè esso ha immagazzinato. E più è penetrante la temperatura, e più è agognato il contrasto, più è forte il desiderio di refrigerio... e a me piace che sia bollente davvero (in sauna intorno ai 92°-94°; nella “banja” intorno ai 70°, anche se in quest’ultima il calore lo si sente di più grazie alla maggiore umidità – fino al 70% – rispetto alla sauna). E allora poi ti vene da sorridere quando ti guardi allo specchio e ti vedi rosso come un peperone per la reazione caldo-freddo che si imprime sul corpo. E ti viene voglia di ingurgitare della birra gelata. Ho sentito dire diverse volte che sarebbe corretto abbinare alla sauna il the caldo, che aiuta nel rilassamento... ma io no... non è per me; preferisco infrangere, se possibile, questa norma e sentire nella gola il freddo della birra che scende giù...
Quante “banj” ho fatte in vita mia, e molte me le ricordo... qui sui Carpazi in un’altra occasione di qualche anno fa con un mo cliente, in inverno: ricordo che si usciva dalla casetta della “banja” direttamente sul ruscello gelato; e poi in Siberia, e in Estonia quando ero un pò più giovane: anche qui ricordo l’emozione del bagno nel lago gelato dove era stato fatto un buco nello strato di ghiaccio che aveva formato una sorta di vasca dove ci si buttava una volta usciti dalla “banja”...
Ma anche in estate è bello fare la “banja”, soprattutto come in questa occasione, in montagna, quando comunque la temperatura di sera scende e invoglia il fisico, che spesso è appesantito e stanco dallo stress delle escursioni della giornata, al caldo relax.
Al “Kermanich” c’è una mitica “banja”, che, ovviamente già conosco per averla provata in passato.
Ultima sera... sulla pelle ancora l’odore della carne alla brace e del shashlyk degustato poco prima; giusto in tempo perchè pian piano le nuvole grigie sono diventate uniformi e, contemporaneamente all’avvicinarsi del buio della notte, sta iniziando a piovere; i miei si stanno già coricando, ma a me aspetta l’ultima “banja”. Già domattina si riparte per Kiev; avremo davanti come minimo 12 ore di macchina, tra soste e percorso.
La "shashlykata" conclusiva...
...bisogna sudarsela la carne...
Mi serve dunque un ultimo momento di relax, anche perchè in questi tre giorni le gambe sono state messe per bene alla prova ed è stato un degno allenamento per la vacanza estiva dolomitica che mi aspetta tra poco più di mese. La pioggia intanto inizia a farsi più intensa, forse a suo modo il tempo sta salutando la nostra partenza di domani...
Quest’ultima “banja” la ricorderò a lungo. Nudo, nel buio pesto; i “domiki” del “Kermanich” sono già tutti bui segno che i ragazzini del “tabor” stanno già dormendo. Sento gli scrosci della pioggia venir giù fitti e cadermi sulla testa, ed io qui fuori sotto questa doccia piovana fredda a riportare il corpo alla sua temperatura naturale. E non contento mi metto proprio sotto la grondaia, dove il getto d’acqua che si raccoglie dal tetto è più forte e pungente e mi procura un piacere indescrivibile. Rimango qualche minuto così, alitando per vedere l’aria fredda che esce dalla bocca ed osservando il vapore che emette il corpo ancora bollente, a contatto con l’aria fredda intorno. Vorrei ripetere ancora e ancora questa procedura “banja”-doccia piovana, ma l’orologio segna già l’una. È l’una di notte, devo rientrare nella casetta per questa ultima notte sui Carpazi. La prima volta sui Carpazi con la famiglia.
Un week end che non dimenticherò mai.
Gringox