Dopo una lunga pausa italiana dovuta a diversi fattori tra cui documenti e cose irrisolte in madre patria, torno in Siberia ad inizio agosto, pieno di entusiasmo e con grandi progetti per il futuro.
Riesco anche a visitare i monti Altai per la prima volta, per un breve week end, nella regione di Chemal. Bel posto per carità, profumo di pino e aria fresca, paesaggi bellissimi, natura, purtroppo, non proprio incontaminata. Il concetto di ecologia fa ancora fatica a prender piede in questo sterminato paese. Posto turistico per eccellenza, regala comunque bei momenti e ne approfitto per fare il carico di medovuka, bevanda tipica del luogo a base di miele fermentato.
Ciò di cui volevo però parlare era, neanche a ripeterlo, la globalizzazione e di come questo processo inarrestabile stia appiattendo tutte le differenze culturali. La siberia, purtroppo, non ne è esente.
Diciamo che speravo in un processo un po’ più lento, ma aimhé, già solo nell’arco di questi quattro mesi e mezzo passati in Italia, questa città, Novosibirsk, nel caso ve lo siate dimenticati, è cambiata moltissimo. Ormai tutte le grandi città si assomigliano, indipendentemente dal loro isolamento geografico e questo, a causa della sempre maggiore connessione capillare ad internet e, di conseguenza la quantità e la velocità delle informazioni che viaggiano. Ritrovo una città quasi europea, sia in termini estetici, cioè di abbigliamento, che culturali. Quello che ancora manca, per fortuna mia, è l’inglese. Questo perché imparare una lingua richiede maggior impegno che non scorrere un’immagine su instagram.
Già, instagram in particolar modo, è ormai il social più usato al mondo, se non altro dalle nuove generazioni e l’immagine si sa, è più diretta delle parole ed è per questo motivo che l’appiattimento culturale ha subito una brutale accelerazione nell’ultimo anno, superando di fatto anche il social russo più diffuso, Vkontakte.
Tutta questa prefazione per dire che, proprio ora che sono sul punto di sistemarmi qui in Siberia, documenti, lavoro, contatti e, vi assicuro, è una vera e propria crociata con la burocrazia russa, insomma, una vita pressoché normale, mi ritrovo nuovamente a chiedermi se ne sia veramente valsa la pena e che senso abbia avuto sfuggire da qualcosa che corre più veloce di me. La cosa veramente triste è che ormai non esiste più nessun posto al mondo lontano dalla globalizzazione, neppure la Repubblica Democratica Popolare di Corea è riuscita a sfuggirvi. Quindi mi domando, dove diavolo possa ancora emigrare? e se non esiste più nessun posto dove emigrare, come riuscire ad adattarmi a ciò da cui sto sfuggendo?
Certo, vivere in siberia non sarà esattamente come vivere a New York o a Torino, ma c’è quella tendenza a vivere e a pensare in maniera univoca e questo non mi spaventa, semplicemente mi sconforta. Tornare in Italia resta comunque un opzione da escludere ancora e per molti anni. Staremo a vedere…
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