fedea ha scritto:Moran, che macchina usi? con che obiettivo?
Macchinetta compatta Fuji Z10. La Nikon analogica ormai la lascio quasi sempre a casa. Dispiace, ma ci sono anche dei vantaggi, uno dei quali lo racconto tra un po'.
Domenica 24 maggio
Sveglia abbastanza presto, oggi è nuvoloso, tiro fuori dallo zainetto il maglioncino di emergenza per fare la solita colazione sulla terrazza, con i gabbiani che si avvicinano e si posano sui cornicioni. Oggi la mattinata prevede il Topkapi (pronuncia: Topkap) e nel pomeriggio si va in Asia.
Arrivo abbastanza presto mentre il sole inizia a fare capolino dietro le nubi. Prima della biglietteria, nei giardini del palazzo, da notare ancora un'altra chiesa conservata dagli ottomani: Hagjia Irene, trasformata per lungo tempo in una polveriera. Ospita alcuni particolari architettonici unici tra le basiliche bizantine sopravvissute, purtroppo non è visitabile, apre occasionalmente per alcuni concerti.
Il palazzo, che fu la sede dei sultani ottomani fino al 1850 circa, quando si trasferirono nel più pacchiano Dolambahçe, è rappresentativo del carattere di questo popolo. Non ci sono saloni immensi e grandi corridoi, come a Schonbrunn o a Versailles; le origini nomadi degli ottomani si riflettono nella costruzione a piccoli e lussuosi padiglioni collegati da giardini, terrazze, belvederi che si aprono sul Bosforo. Peccato che non siano aperte le cucine, con la collezione di porcellane turche e cinesi. L'audioguida è ottima e aiuta a percorrere la storia dell'impero attraverso quella del palazzo. Apprendo per esempio come la classe dirigente dell'impero venisse formata in una scuola all'interno del palazzo stesso, e come i futuri governatori delle provincie, comandanti dell'esercito e ministri, incluso il Gran Visir, venissero scelti di preferenza tra i giovani cristiani, schiavi catturati o abitanti dell'impero, addestrati poi secondo i principi dell'Islam.
Gli ex alloggi degli studenti di questa particolare scuola ospitano oggi il favoloso tesoro dei re ottomani, tra cui il pugnale ingioiellato reso celebre (almeno per la mia generazione, che l'ha visto a ripetizione sulla Rai) dal film "Topkapi" degli anni '60.
Nel palazzo ci sono anche reliquie religiose di grande importanza, tra cui oggetti appartenuti a Maometto e ai suoi seguaci. La parte più bella sono le terrazze sul retro, con i padiglioni riservati al sultano e ai dignitari di rango più alto, con i giardini, le fontane e il panorama mozzafiato sul Corno d'Oro. Ovviamente è qui che si affollano anche le comitive turistiche... purtroppo è domenica.
Scelgo di non visitare l'harem (si paga l'ingresso a parte) né i musei archeologici, me li tengo per la prossima volta. Prima di andare via però faccio un salto nella Corte dei Giannizzeri e lì scopro che c'è una mostra fotografica... sull'Alhambra di Granada! Ero lì tre settimane fa, e adesso mi ritrovo a contemplare una collezione straordinaria: immagini scattate dai pionieri della fotografia a metà dell'800, non solo, sono in mostra le stampe originali dell'epoca! Bellissimo ritrovare quei luoghi appena vissuti attraverso un filtro temporale in bianco e nero che li restituisce come erano cento e passa anni fa... emozionante.
Pranzo con un generoso kebab seduto su uno sgabello di plastica, come fanno tutti, e per due lire: la Turchia vince finora il primo premio per il cibo da strada con il migliore rapporto qualità/prezzo. Poi mi dirigo verso l'imbarcadero attraversando le stradine intorno al Gran bazar: il bazar purtroppo è chiuso, ma molti negozietti sono aperti malgrado la giornata domenicale. I turchi sono commercianti nell'anima, c'è poco da fare. Arrivando al ponte di Galata, vedo che il bazar delle spezie è aperto, checché ne dicesse la guida: così ho modo di gironzolare tra i commercianti che decantano la bontà dei loro prodotti e profumi e colori di ogni genere. I dolci mi lasciano, per gusti personali, indifferente, ma devo trattenermi per non farmi tentare da altre specialità, incluso il caviale iraniano...
Poi vado a prendere il traghetto per Kadikoy. Ho scelto questo sobborgo, anzichè il più turistico Üsküdar, in primo luogo perché di palazzi per oggi ne ho visti abbastanza, e poi perché voglio vedere un normale quartiere cittadino, fuori dai circuiti turistici, ma ben provvisto di negozi, stando a quanto dice la Routard.
La traversata sul Bosforo offre un paesaggio magnifico, la parte europea vista dal mare e il traffico incessante di piccole e grandi imbarcazione formano un quadro brulicante di vita. Poco prima dell'attracco passiamo accanto alla bella stazione di Haydarpasa, il terminal delle linee ferroviarie della parte asiatica, talmente sull'orlo del molo che ci si chiede come i treni non finiscano in acqua in caso di una frenata sbagliata. Un brivido mi attraversa la schiena: è qui che Hercule Poirot arrivò alle sette di una sera di gennaio del 1933 o '34, per poi attraversare il Bosforo e prendere l'Orient Express da Sirkeçi alle nove... dando vita a uno dei più famosi romanzi gialli di sempre. Scendo dal traghetto e metto piede sulla banchina: per la prima volta in vita mia, sono fuori dai confini geografici dell'Europa. Anche se in effetti c'è ben poco di diverso dall'altra sponda, questa è l'Asia.
Kadikoy è come me l'aspettavo: carino, ben curato, con una zona commerciale affollata e negozi aperti anche di domenica. Mentre mi avvio verso la strada pedonale, passo il "test del turco": un ragazzo che distribuisce opuscoli pubblicitari per una scuola di inglese me ne dà uno... in effetti, senza zaino in spalla, senza macchina fotografica visibile, capelli neri, colorito forse un po' pallido, ma accettabile, non sono immediatamente identificabile come turista. Mi piace. Passeggio per la via pedonale, dove si esibiscono diversi artisti di strada, tra cui una coppia che suona e canta davvero bene e un gruppo di attori (almeno presumo) che vestiti in pigiama a righe stanno interpretando dei pazienti di un manicomio, mentre le telecamere riprendono. Mi rilasso con un ottimo tè in un bel locale e gironzolo per i vicoletti sul fianco della collina, densi di negozi di ogni tipo.
Voglio ripassare in un negozio di Taksim che ho visto ieri, quindi prendo il traghetto per il terminal di Besiktas anziché tornare a Eminönu, e mi ritrovo in mezzo a una folla di tifosi di calcio... a quanto pare stasera c'è il derby con il Galatasaray, si gioca allo stadio di Besiktas, e c'è in palio praticamente lo scudetto. Siccome sono tutti bianconeri, da juventino mi trovo a mio agio...
mi compro anche il cappellino a tuba.
Risalgo a piazza Taksim con la funicolare, purtroppo il negozio che mi interessa è chiuso (il 90% sono aperti... solita fortuna). Non mi lascio scoraggiare, devo comprare un regalo di compleanno e giro per le viuzze laterali e le bancarelle finché trovo una splendida pashmina di seta (made in Turkey e non in China, fortunatamente). Mi imbatto anche in una bancarella di libri, io non so resistere al fascino di frugare tra i libri vecchi anche in lingue di cui non capisco una parola. In questo caso ho fortuna: mi imbatto in una scatola di volumi in inglese tra cui trovo una edizione del 1944 di un libro di racconti di D.L.Sayers... tra l'altro un'edizione del tempo di guerra pubblicata in Svezia con l'avvertenza "vietata la vendita nell'Impero Inglese e negli U.S.A.". Per 5 lire me la porto via e me ne vado contento come un bambino.
Si è fatto tardi per lo spettacolo dei dervisci danzanti, che avevo una mezza idea di andare a vedere, ma ormai sono le otto e voglio coricarmi presto, domattina la sveglia è per le tre. Così torno in albergo per una doccia veloce e poi cerco un posto per mangiare senza allontanarmi troppo. Nelle stradine intorno a Divanyolu alla fine scelgo un ristorante che non sembra peggio nè meglio di altri, ma che propone cucina anatolica. Non so quanto sia "adattata" per turisti, sta di fatto che io la trovo eccellente: antipasto (si fa per dire, praticamente è un piatto completo) di
Yapak Sarma, foglie di vite arrotolate con ripieno di riso e carne in salsa allo yogurt. Questo tipo di preparazione è diffuso in tutta l'Europa dell'est, con foglie di verdure diverse, dal cavolo alla verza: la vite sembra essere la specialità della Turchia. Per secondo prendo costolette d'agnello in terrina con verdure varie: piccante come l'inferno, la birra (buona la spina, mentre non mi è piaciuta la diffusissima Efes in bottiglietta) evapora alla velocità della luce. Con 40 lire mi sono zavorrato per bene, ne lascio 5 di mancia al cameriere che indossa la maglietta del Galatasaray che è triste perché la sua squadra ha perso 2-1 dai "miei" bianconeri del Besiktas. Prima di andare a dormire presto, passeggio per piazza Sultanhamet, deserta e tranquilla sotto la luce dei lampioni, completamente diversa dal brulicare di turisti e venditori sotto la luce del sole.
Lunedì 25 maggio
Alle tre e mezzo passa lo shuttle per l'aeroporto. Ben tre controlli di sicurezza: all'ingresso, dopo il check-in e infine subito prima dell'imbarco (non scampano neanche piloti e hostess Alitalia che passano subito dopo di me) ricordano che il rischio attentati, in questo paese, è sempre presente. Il volo è puntuale così come la coincidenza a Roma. Alle 11:30 sono a casa, fra tre ore si va al lavoro... ma ne valeva la pena.
È stato un buon assaggio, ma troppo breve. Qui occorrerà tornare, magari come parte di un giro più grande della Turchia nel suo complesso. Da quando sono tornato sto facendo opera di propaganda tra i miei amici, tra cui quelli che mi dicevano "ma non hai paura ad andare da solo?"... i cliché sono duri a morire, purtroppo. Ma basta avere pazienza, e raccontare...