Il nome Khaibakh non dice niente a nessuno e magari risulta anche non semplice da pronunciare. In realtà però è il nome di una località praticamente introvabile anche sulle mappe. Certamente, perché non esiste. O meglio, non esiste più dal 1944.
La memoria di questo posto fu completamente cancellata e rimasta solo nella tradizione orale di qualche anziano.
Anni fa in Ucraina furono ritrovati dei corpi di soldati dell’Armata Rossa uccisi nel corso della II° Grande Guerra Mondiale. Gli studiosi trovarono tra gli effetti personali di alcuni di essi delle lettere indirizzate a casa, ai propri familiari, ma che evidentemente non fecero in tempo ad esser spedite. Le lettere erano indirizzate al villaggio di Khaibakh. Nessuno, però, conosceva questo posto e di conseguenza partirono gli studi per capirci qualcosa, il mistero andava risolto.
Si scoprì quindi che Khaibakh era un villaggio facente parte di un comprensorio di altri piccoli ed antiche frazioni ubicate sulle montagne selvagge del Caucaso e precisamente in Cecenia, in linea d’aria non lontano dalla frontiera con la Georgia. Khaibakh e gli altri villaggi non esistevano più e l’area dove una volta sorgevano era molto impervia da raggiungere. Non esistevano strade ma solo montagne, boschi, fiumi, cascate, un’area completamente disabitata e praticamente interdetta alla popolazione.
Ma cosa era successo? Quale era la storia di questa zona?
Con l’“operazione Lentil“, nel 1944, in Unione Sovietica fu deciso di deportare i ceceni nelle steppe del Kazakhastan o sulle montagne dell’Asia Centrale. Gli abitanti di questi antichi villaggi, detentori di una storica tradizione arcaica, iniziarono ad esser radunati con la forza e caricati su dei camion per esser portati alla stazione ferroviaria più vicina, molti chilometri a valle.
Le operazioni risultarono però ovviamente lunghe e complicate. Trasportare su mulattiere di montagna e mezzi di trasporto degli anni ’40 circa 3000 persone controvoglia non era di certo una operazione semplice.
Ad un certo punto allora a qualcuno venne l’”idea”.
Gli ultimi circa 700 abitanti, ma qualcuno sostiene molti di più considerato che si tratta sostanzialmente di fonti orali, furono raccolti, fucilati, bruciati i corpi e sepolti in una larga fossa comune. Il sito fu poi ricoperto, risistemato e lasciato nel dimenticatoio, abbandonato nell’oblio degli isolati più di duemila metri di altezza del luogo.
Questo narra la storia e la leggenda.
L’area quindi restò completamente interdetta e dimenticata per circa 50 anni. Finchè appunto fu riscoperta a livello ufficiale dagli studiosi intorno gli anni ’90. Anche perché nel frattempo l’Urrs si era dissolta e le memorie delle leggende locali tramandate nel tempo riaffiorarono tra i capi-aul [capi villaggi, sorta di forma arcaica di sindaco. N.D.R.] di quell’angolo di Caucaso.
Ma in Cecenia, proprio in quegli anni, scoppiò una nuova e drammatica guerra, suddivisa in due distinti momenti a breve distanza temporale, che fece restare la zona ancora interdetta per altri lunghi anni.
Di Khaibakh e dei villaggi limitrofi restavano e restano oramai solo ruderi di pietra, un vecchio cimitero, antichi ceppi stradali nascosti dalla vegetazione, storiche grotte nelle pareti di alcune montagne dove vissero i primi antichissimi abitanti della zona.
Dal 1944 solo una torre a Khaibakh restò in piedi. Fino ai primi anni 2000. Quando per un evento fortuito, durante operazioni aeree militari della guerra che imperversava in quel momento in Cecenia, una bomba la colpì e la danneggiò.
Terminata la guerra e rimessasi in carreggiata la situazione, intorno il 2010, un privato e facoltoso cittadino ceceno decise di “riportare alla luce” l’intera area e fece creare, con fondi propri, una strada in terra battuta, un solco, una pista più che una via di comunicazione vera e propria, che si incunea tra le montagne e può essere attraversata solo tramite potenti fuoristrada. Quando le intemperie non la rovinano con frane, smottamenti, allagamenti, neve. Fitta vegetazione, paesaggi mozzafiato, orsi e cavalli allo stato brado sono gli unici padroni dell’area che resta ancora chiusa al visitatore ed accessibile da circa tre anni solo con speciali permessi. A qualche mandria di bovini con i loro allevatori-guardiani è concesso accamparsi in tende o vecchi vagoni ferroviari in legno trasposti su ruota nella parte più a valle per il periodo necessario al pascolo. Da quel punto in poi si ascolta solo il rumore della natura e del fuoristrada che ti conduce attraverso la pista in terra e pietre, in alcuni punti a picco sul baratro, verso l’unico punto di sosta attrezzato. Una piccola costruzione utilizzata come moschea e come luogo di riparo in caso di condizioni avverse del meteo che magari costringono coloro che si spingono fin li a dover trascorrere la notte in questo luogo amèno.
Ad oggi pochissimi sono coloro che hanno avuto la fortuna di addentrarsi nella zona e poter aggirarsi tra le rovine dei vari villaggi dell’area, soprattutto tra quelle della leggendaria Khaibakh con i segni della fossa comune. Storie diverse, tempi differenti, destino simile finito nel fuoco per alcuni versi avvicinano Khaibakh con Pompei.
Ma nonostante la tragica storia che si conserva nella sua natura incontaminata, Khaibakh è un posto unico al mondo perso nel cuore delle montagne del Caucaso.
Chi scrive questo articolo ha la fortuna di poter raccontare la storia ed i luoghi in questione per esperienza diretta essendo stato il primo viaggiatore straniero ad aver avuto la possibilità di addentrarsi per quelle montagne e l’unico visitatore forestiero ad essercisi recato più di una volta, accompagnando anche, in un paio di occasioni, degli sparuti italiani desiderosi di conoscere l’area.
Per recarsi ai confini del mondo, vivere la storia e gustarsi la magia dell’isolamento e della bellezza della natura basta recarsi a Khaibakh.
La città scomparsa.
LUCA PINGITORE
Articolo ripreso da ilquotidianoditalia.it del 22/02/2021
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