“Eccolo ! Arriva ! “, all’ orizzonte si scorge una nube polverosa, luccicante al suo interno che lentamente pare si stia avvicinando. Non è un miraggio, l’effetto ottico che fino a pochi minuti prima ci ha spesso fatto illudere di scorgere delle paludi nel bel mezzo del deserto. No, non è un miraggio: è proprio lui, il mitico treno merci della Società Nazionale Industriale e Mineraria della Mauritania che sfreccia imperterrito davanti i nostri occhi. E’ uno spettacolo unico al mondo essere avvolti da questa piccola tempesta di sabbia creata dalla velocità del carrozzone più lungo del mondo. Perché si, il treno che smuove l’ aria e la polvere del deserto mauritano è il treno merci piu’ lungo del globo, arrivando fino ad anche 2,5 km di lunghezza. Dalle miniere di ferro vicino Zouerat, nel nord-est del paese, percorre circa 650 km attraverso il deserto viaggiando ad un massimo di 50km/h, impiegando fino a 20 ore di viaggio per approdare poi sull’ oceano Atlantico, nei sobborghi portuali di Nouadibou, la seconda città per grandezza dello stato africano.
Siamo stati fortunati, è molto difficile riuscire ad imbattersi nel treno in corsa in mezzo al mare di dune gialle. Gli orari di partenza e quindi di transito sono aleatori e ci si affida un po al caso ed un po all’ esperienza della popolazione locale.
La scena ricorda, per gli amanti delle commedie italiane anni ’80, il campagnolo Artemio [ Renato Pozzetto ] e gli anziani di Borgo Tre Case i quali ogni giorno, grosso modo alla stessa ora, con tanto di sedie al seguito si accomodano ai lati della ferrovia per assistere ”allo spettacolo”: “Il treno è sempre bello… si.. il treno è il treno”.
Transitato il lungo convoglio e diradatasi la nebulosa, il binario resta nella sua linearità ad arrovellarsi al calore del sole perdendosi, da una parte e dall’ altra, nell’ infinito del deserto. E’ difficile scorgere da lontano questo unico binario che corre in maniera retta dall’ oceano fin nelle viscere del deserto, solitario come è in mezzo al nulla e con la sabbia che spesso lo ricopre.
Il binario è anche simbolo di frontiera. Da Nuadibou, dalla costa quindi, tira una linea parallela rispetto alla squadrata frontiera con il territorio della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi meglio noto come Sahara Occidentale. La linea di frontiera, indefinita e non segnata ma individuabile solo da precise forme morfologiche del territorio conosciute unicamente dagli occhi esperti dei rari abitanti della zona, è anche essa una linea retta tirata a tavolino. Sei nel niente assoluto, tra le dune di sabbia o sul terreno giallo più compatto, a seconda del punto in cui ti trovi, ma qui sei Mauritania mentre pochi passi più in là sei nel Sahara Occidentale.
Il nulla è lo stesso ma appartiene a due stati differenti. Il Sahara Occidentale è uno stato che non è riconosciuto dalla quasi totalità della comunità internazionale. Esistono altre repubbliche nel mondo che sono riconosciute solo da una manciata di altri stati ma la Repubblica dei Sahrawi ha subìto un destino più triste. Più della metà del suo territorio, corrispondente alla fascia costiera (e più) è controllato dal Marocco che lo reputa sua pertinenza, l’ altra metà, totalmente desertica, è formalmente indipendente ma il suo governo è in esilio in Spagna ed il suo popolo vive in alcuni campi profughi in Algeria, a ridosso col confine tra i due paesi. Questa suddivisione è sancita da un lungo terrapieno, un muro, secondo al mondo per lunghezza solo alla Muraglia Cinese, costellato da mine antiuomo, costruito dal Marocco nel corso degli anni. La guerra e la crisi diplomatica qui non sono mai terminate seppur scorrono a bassa intensità. Anche se non per il popolo costretto ad essere diviso tra amministrazione marocchina e campi profughi algerini, senza tener conto della diaspora sparpagliatasi nel resto del mondo. Nella parte indipendente del deserto del Sahara Occidentale, dove per lunghi tratti le frontiere ufficiali praticamente non esistono, vivono solo pochi abitanti in qualche scarno villaggio e puoi imbatterti in qualche drappello di milizie del Fronte Polisario, l’ esercito ufficiale che prova a controllare l’ impervia area. Tre arbusti a distanza irregolare segnano il confine tra Mauritania e territorio dei Sahrawi ma sono un cumulo di pietre e uno spuntone di ferro, immersi nel giallo del deserto e praticamente invisibili, che formano il cippo ufficiale della frontiera. Intorno a te solamente giallo, sabbia e qualche arbusto fino ad oltre l’ orizzonte visivo. Ci inoltriamo per qualche chilometro nel territorio ma siamo ufficialmente abusivi, giusto un fuori programma dettato dall’ entusiasmo di trovarsi in uno dei luoghi più unici al mondo: isolati nel deserto, a cavallo tra due stati, uno dei quali formalmente per quasi tutti, praticamente non esistente. Personalmente, per il sottoscritto, un momento storico da dover poi replicare ed approfondire in futuro.
E’ il momento di fare ora tappa a Choum, un villaggio che sorge sulla linea della ferrovia, dalla quale è attraversato e che funge da sosta per il convoglio. Qui merci, animali e persone giungono dal mare o partono per la costa sui vagoni del treno o sull’ unico, e non sempre presente, vagone passeggeri. Al nostro arrivo interi greggi di capre con le zampe legate, i loro proprietari ed uno stuolo di bambini attendono sull’ assolato binario il passaggio delle carrozze. Prima o poi passerà, indicativamente passa verso quest’ ora del pomeriggio. O forse nella notte. Si vedrà. Ad attendere anche quattro viaggiatori nordeuropei che proseguiranno il loro viaggio verso il litorale e poi verso il Marocco attraverso la parte costiera del Sahara Occidentale.
L’ attesa si rivela poi non così lunga. “Eccolo ! Arriva ! “, nuovamente si staglia il treno in lontananza. Questa volta arriva da destra, fa una lunga curva e si riallinea parallelo avanzando verso di noi. In questo punto la ferrovia si adegua esattamente all’ angolo retto della frontiera tra Mauritania e Repubblica dei Sahrawi ed è, si escludono ovviamente le barriere geografiche come fiumi o laghi, forse l’ unico punto al mondo dove il confine tra due stati si vede come si stesse guardando sopra una mappa. Il treno quindi scende da nord parallelo al confine curva a destra aggirando l’ angolo retto della frontiera e riprende lineare verso il mare. In realtà, da qualche anno, la ferrovia taglia l’ angolo per 5 km passando nel territorio sahrawiano evitando così un passaggio dentro un tunnel sotto una delle varie altura rocciose presenti sul territorio della Mauritania. Come il vicino monolite di Ben Amera, il terzo più largo al mondo dopo quello di Uluru e del Monte Augusto entrambi siti in Australia.
“Fiuuu !…”, “ssslang,ssslang,ssslang” il capitano fischia, le due motrici che trainano il treno iniziano a muoversi, i vagoni si strattonano l’ un l’ altro, le ultime capre vengono passate di mano dal basso verso l’ alto ed insieme ai loro accompagnatori e ad i quattro viaggiatori stranieri cominciano il loro viaggio verso Nuadibou.
I vagoni sono colmi di terreno ferroso nero ed insalubre al respiro, le capre ed i loro padroni si acquattano sopra di esso e così i quattro europei che si rinchiudono nei loro sacchi a pelo sotto un cielo stellato alla mercè della fredda brezza che è smossa dal fendere della, seppur mite, velocità del treno. Il capitano ci saluta dal finestrino, è contento di avere incontrato degli italiani ed ha avuto il piacere di mostrarci anche la sua cabina di comando. Malinconicamente, per noi, il convoglio sparisce verso l’ orizzonte sempre di più.
La Mauritania presenta una vasta diversità di scenari: roccia, sabbia di vari colori, dune, altipiani, oasi verdi, terra compatta, spiaggia, oceano il tutto cambia nel giro di pochi chilometri. E lo stesso accade in ambito urbanistico: tende, villaggi di terra, case di paglia, gazebo di fortuna, dromedari, asini, capre, viandanti in mezzo al niente che spuntano da chissà dove e chissà per quanti chilometri cammineranno verso chissà cosa. Il nulla e la sensazione totale di libertà la fanno da padroni. Il niente affrontato nella steppa del Kazakhstan o l’ isolamento dal resto del mondo vissuto in Corea del Nord sono qui un lontano ricordo.
La regione dell’ Adrar con i sui scenari, la sua gente, i sui villaggi, il mercato ad Atar, le antiche collezioni di libri islamici a Chinguetti, ti catapultano in un’ era per molti aspetti primitiva e primordiale ma incredibilmente riconciliante.
L’ incomodo che ti riporta alla realtà, però, è sempre in agguato.
E’ infatti consuetudine nella zona di Atar, il capoluogo della isolata regione dell’ Adrar, che le notti stellate ed il romanticismo della sua atmosfera vengano spesso interrotti dal rombo incessante dei motori degli aerei militari che si esercitano lontano da occhi indiscreti. Atar, il centro abitato più simile all’ immagine di una cittadina, è la sede di diverse basi militari, non solo dell’ esercito mauritano ma anche di quello francese e di forze internazionali. Qui il territorio è molto simile a quello dei vicini Mali e Niger ed anzi presenta delle asprezze ulteriori, per questo ed anche per l ‘isolamento in cui versa e che garantisce una certa riservatezza, questa area è il campo di addestramento adatto per gli eserciti che operano nei deserti africani ed in altri scenari simili nel resto del pianeta. L’ esercito mauritano istruisce quello francese che poi va in missione negli stati vicini a combattere, ufficialmente, il terrorismo. Ma non è difficile da queste parti neanche imbattersi in battaglioni di militari di altre nazionalità venuti anche essi a scuola di tattiche militari da attuare in tutte le zone desertiche. Ed anche i turisti, a volte, possono trovarsi inconsapevolmente protagonisti di lezioni militari.
Accade, infatti, che ai titolari dei piccoli tour operator locali venga intimato dagli alti gradi dell’ esercito di utilizzare i gruppetti di turisti presenti in quel dato momento sul territorio come cavie per agguati, rapimenti, sequestri di massa per testare le capacità degli eserciti in addestramento.
Ovvio i viaggiatori devono essere all’ oscuro di tutto, altrimenti che test sarebbero per i militari? L’ esame deve essere il più credibile possibile.
Il più delle volte gli operatori turistici negano il consenso a queste gravose messe in scena che creerebbero solo scompiglio e schock tra i visitatori stranieri andando a rovinare oltretutto la vocazione turistica del paese ma a volte la “ragion di Stato” deve comunque prevalere.
LUCA PINGITORE
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