Sant’Antioco: Fenici e tonnare

Ci sono luoghi che parrebbero essere, a prima vista, non imprescindibili nell’economia di un viaggio.
Nel saltare da un posto all’altro sai comunque che devi rincorrere i tuoi “pallini” e che questi, forse,
non ti deluderanno.
Ovvero l’ esemplificazione della mia teoria sullo spiazzamento, sulle periferie, del seguire alcune tracce al di la dei sentieri più battuti, del trovarsi in un posto in cui non avevi dovuto esserci.
Avevo letto di quest’isola, collegata da un breve ponte alla terraferma e dell’ omonimo capoluogo in un racconto del grande giornalista e viaggiatore Paolo Rumiz e ne ero rimasto incuriosito.
Ma bisogna sperimentare dal vero, al di là delle suggestioni pur affascinanti della letteratura.
Siamo al centro di un triangolo tra le Baleari, la Sicilia e la vicinissima costa tunisina.
Qui si respira il Mediterraneo, quello che era e quello che é ora, un mondo spaccato e diviso.
I venti africani ti picchiano in testa e addosso come un phon.
Ad alcuni questi venti danno persino forti emicranie quando strapazzano le coste per giorni.
Il paese, antico porto dei fenici, ha una bella passeggiata che ricorda la Grecia, con alcuni splendidi ristorantini con dehors affacciati sul mare.
Dominano la città i resti del castello sabaudo che Serena, la affascinante biondo tinta receptionist dell’albergo, mi consiglia di visitare prima che chiuda.
Lei apparsa in shorts dal nulla, come un miracolo, dopo una lunga attesa al banco non vuole anticiparmene la storia.
In due parole fu sede di un cruento assalto pirata tunisino ad inizio 800, ma c’è “di più” in queste storie sepolte dal tempo.
Come quella dei Tofet, le aree sacre fenicie e puniche, dette anche i cimiteri dei bambini, con le tenere piccolissime urne di cui avevo già visto traccia a Mozia in Sicilia.
Tutto torna e si chiude come un cerchio.
Dopo il castello, la necropoli ed altre visite cena rigorosamente di pesce con calamari fritti e prelibato tonno rosso appena pescato nella vicina Carloforte, sede di una delle ultime tonnare italiane.
Al diavolo il tonno in scatola.Tra i vini degustazione di vermentino Costa Dorada e Kanai, vino locale di origine fenicia ovvero Libano attuale.
Il tonno la fa da padrone, in tutte le salse e la tradizione delle tonnare, rimaste pochissime in Sardegna e in Italia, è una di quelle che deve combattere con le assurde quote e regole dell’ Unione Europea.
E che dire del pane che adoro, anche questo è oriente, Medio Oriente o Balcani, lo stesso che mangiavo in Macedonia solo poche settimane fa, nella tipologia appena sfornato o carasau, sottilissimo tipo carta musica.
Per alcune coincidenze conosco Marisol, la mia vicina di tavolo e la sua allegra brigata, Mari che non è spagnola ma sarda, cena con alcune amiche e figlioletti, donne senza uomini, risultato di vite e storie difficili, di separazioni, fughe, abbandoni, vita reale e lavoro duro, ma non c’ è solo quello, ci sono anche tante risate e voglia di vivere e raccontarsi.
Ci intratteniamo fino a tarda ora, degustando mirto e chiudendo il locale.
Mi piace questa gente, socievole, sincera, semplice, rilassata che ha ancora il dono della parola e il gusto della condivisione e della curiosità senza la necessita di compulsare incessantemente uno smartphone.
Dispiace andar via da un posto in cui c’è l’essenziale, ovvero quello che serve davvero, ovvero le storie, la tradizione e tanta anima, una giornata da ricordare a lungo.

LUCA TOCCO

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