Era l’ inizio di marzo 2021. Io e mia moglie non eravamo ormai più in grado di resistere senza fare un viaggio, troppo abituati alla libertà e a soddisfare la nostra sete di avventura e di conoscere sempre nuove realtà. Premetto che godiamo di una situazione personale assai favorevole : nessun impegno di lavoro e un camper furgonato attrezzato di tutto punto. Dai primi giorni di febbraio ci trovavamo in Moldova, la ex repubblica sovietica fra Romania e Ucraina, dove possediamo una casa. Abbiamo scelto la Turchia perché era un progetto che avevamo in passato e perché dalla Moldova è raggiungibile via terra piuttosto velocemente. Avevamo attraversato la Turchia già nel 2018 quando con il camper eravamo stati in Georgia e poi nella Federazione Russa per raggiungere Cecenia e Ossezia del Nord poi. Sapevamo che la gente era molto accogliente e il Paese ben organizzato. Ovviamente, visto che stavamo viaggiando in periodo di Covid, qualche titubanza e qualche apprensione l’avevamo, ma alla fine la voglia di partire ha nettamente prevalso.
Un altro elemento che ci ha portato a scegliere la Turchia è stato che le norme in vigore per l’ingresso erano tutto sommato assai ragionevoli : era richiesto un tampone PCR con esito negativo eseguito non oltre le 72 ore dall’ ingresso e, una volta entrati nel Paese, richiedere un codice di tracciamento ( HES Code ) tramite SMS da una scheda telefonica turca ( almeno così scriveva l’ ambasciata d’ Italia ad Ankara ).
Fatto dunque il tampone PCR con traduzione in inglese ( in Moldova il costo è di circa 35 euro ), il 6 marzo siamo partiti e abbiamo attraversato rapidamente Romania e Bulgaria, riuscendo ad entrare in Turchia dalla dogana di Demirköy già il giorno 7 nel primo pomeriggio. Nessun problema alla frontiera, i turchi sono assai ben organizzati e il tutto si è risolto in pochi minuti.
In Turchia al momento del nostro ingresso era in vigore il coprifuoco notturno dalle 22 alle 5 oltrechè un coprifuoco totale la domenica nelle provincie classificate in zona arancione o rossa. Tuttavia i cittadini stranieri che, come noi, erano in Turchia per turismo erano esonerati dal rispetto di ogni norma restrittiva al movimento. Infatti mai siamo stati fermati o controllati in uno dei numerosi posti di blocco istituiti dalla polizia e dalla gendarmeria lungo le strade ( controlli in verità che in Turchia sono comunque la norma, soprattutto nelle aree verso est a causa dei problemi dovuti al separatismo curdo )
La nostra prima sosta in Turchia è stata a Gelibolu ( Gallipoli in italiano ). Qui abbiamo iniziato ad apprezzare l’utilità del coprifuoco. E’ noto infatti che i turchi hanno l’usanza di occupare gli spazi all’aperto per allegri e chiassosi pic nic, incontrarsi e socializzare. Ottima e sana abitudine, sia chiaro, ma spesso accompagnata da musica e voci ad alto volume che, per chi dorme in un camper e come noi fa quasi sempre sosta libera, talvolta possono essere fonte di problemi. Il coprifuoco ha evitato tutto ciò e le nostre notti sono sempre state assolutamente tranquille.
A Gelibolu ci siamo immediatamente procurati una SIM telefonica turca ( abbiamo scelto Turkcell perché è l’operatore che offre la maggior copertura ). Contrariamente a quanto avviene in UE, dove per avere una SIM del Paese visitato occorre avervi la residenza altrimenti ti accontenti dei pochi giga che passa il convento degli accordi fra compagnie telefoniche, in Turchia ( come del resto spesso avviene fuori UE ) basta andare in un punto vendita della compagnia telefonica desiderata, presentare il passaporto, e si ottiene subito una SIM con numero telefonico turco e una buona quantità di giga. 25 giga con la SIM per 15 euro, con la connessione che abbiamo condiviso tramite hot spot. Abbiamo poi fatto verso la fine del viaggio una seconda ricarica per evitare di restare senza connessione dati pagando 6 euro per 20 giga. Appena in possesso della SIM turca ho immediatamente richiesto il codice HES con la procedura indicata dalla nostra ambasciata, e cioè tramite SMS. Peccato che da alcuni giorni le autorità turche avessero cambiato la procedura attivando invece un modulo on line e che la nostra ambasciata non ne avesse dato ancora notizia ….. comunque alla fine il codice è arrivato e devo dire che è stato utile perché ci è stato chiesto spesso per entrare nei centri commerciali, entrare in taluni siti archeologici e salire sui mezzi pubblici, traghetti compresi. A Gelibolu abbiamo iniziato ad apprezzare la squisita ospitalità, gentilezza e accoglienza dei turchi, che ci accompagneranno in tutto questo viaggio e che ci faranno amare questo Paese. Abbiamo anche cominciato a godere dei loro coloratissimi mercati con pesce, frutta e verdura di ottima qualità e sapore, e dei loro capi di abbigliamento in ottimo cotone offerti a prezzi assai convenienti vista la forte svalutazione della lira turca. Il nostro percorso prevedeva di evitare Istanbul e di attraversare lo stretto dei Dardanelli sfruttando i tanti piccoli ferry boat che, per circa 5 euro, collegano in mezz’ora le sponde europea e asiatica della Turchia. Questo in attesa del completamento della costruzione fra Gelibolu ( lato Europa ) e Çardak ( lato Asia ) del colossale e ardito ponte sospeso la cui inaugurazione è prevista il 18 marzo del 2022.
Con i suoi 2023 metri di luce tra le due torri sarà infatti il ponte sospeso più lungo al mondo superando di 32 metri il ponte dello stretto di Akashi in Giappone. Dietro al progetto e alla costruzione del ponte si cela un complesso di dati e numeri simbolici per la Turchia moderna: il nome ufficiale del ponte è “Ponte della battaglia di Gallipoli del 1915”. Con esso si vuole commemora la Campagna di Gallipoli, vinta dall’esercito ottomano guidato da Mustafa Kemal Atatürk, il 18 marzo del 1915. Proprio il 18 marzo del 2017, in occasione quindi del 102° anniversario della battaglia, è avvenuto l’inizio dei lavori del ponte. Inoltre, la luce tra le due torri, di 2023 metri, omaggia l’anniversario del primo secolo della Repubblica turca, che avverrà proprio nel 2023.
Arrivati dunque sulla sponda asiatica, ci siamo diretti all’interno verso Bursa. Lungo il percorso interessante la sosta a Gölyazi, l’antica Apollonia, su una piccola e suggestiva penisola sul lago Uluabat, da cui è possibile apprezzare un affascinante tramonto. Forse fondata come colonia dai greci di Mileto, la città appare sulle monete già nel 450 a.C. Ogni anno la città ospita il Festival della cicogna, uccelli che qui arrivano numerosissimi.
Proseguendo verso est sempre mantenendoci all’ interno, abbiamo così raggiunto il Tuz Gölü ( in turco letteralmente Lago Salato ), un deserto bianco di incomparabile bellezza a circa 150 km a sud-est di Ankara, uno dei più grandi laghi salati d’Europa e del mondo, la più grande riserva di sale del Paese e dell’Asia Minore e anche il secondo lago della Turchia per estensione. Posto a 900 metri sul livello del mare, normalmente è lungo 80 km e largo 50 e la profondità media non arriva a due metri. Le sue rive e la sua superficie offrono un paesaggio unico ed indimenticabile, quasi alieno. Un vero paradiso per gli amanti della fotografia e dei grandi spazi.
Il nostro percorso attraverso il centro della Turchia ci ha poi portato a Kayseri, l’antica Cesarea, grande centro urbano sovrastato dalla vetta dell’ Erciyes Dağı, il grande vulcano che raggiunge un’altitudine di 3.916 m. Conosciuto dai Romani come Argaios, secondo il geografo Strabone nelle giornate limpide dalla sua vetta poteva scorgersi sia il mar Nero verso nord che il mar Mediterraneo verso sud : «Dicono quelli che vi sono saliti (sono pochi) che di lì, nei giorni di bel tempo, si vedono tutti e due i mari, quello del Ponto e quello di Isso.». In epoca romana era ancora un vulcano attivo mentre oggi sembra spento. Lungo le sue pendici si trovano diversi impianti sciistici assai frequentati.
Il nostro obiettivo era quello di raggiungere piuttosto rapidamente la zona del Monte Nemrut che, in pratica, rappresentava il punto più a est del nostro viaggio, e da lì poi scendere dapprima verso sud e il confine siriano, quindi iniziare a percorrere lentamente la costa mediterranea rientrando verso ovest. Superata Malatya con le sue montagne ancora innevate siamo così giunti nella zona ove sorge questa famosa montagna appartenente al gruppo del Tauro Orientale che è, con i suoi 2150 m di altezza, la più alta della Mesopotamia settentrionale. Qui ci siamo fermati per un paio di notti proprio in prossimità del ponte sul fiume Cendere ottimo esempio monumentale della spettacolare architettura di epoca romana. Dalla vicina postazione di guardia della gendarmeria sono in breve tempo arrivati i militari per rassicurarci che potevamo restare senza problemi e che se avessimo avuto problemi potevamo contare su di loro.
Costruito nel secondo secolo avanti Cristo dalla XVI legione romana Flavia Firma sotto l’ imperatore Settimio Severo, il ponte ha una lunghezza di 150 metri, una altezza di 30 e una larghezza di 7 metri. Una sua particolare curiosità sono le colonne alte 10 metri che ancora oggi si possono ammirare in corrispondenza dei due ingressi. Inizialmente erano in numero di quattro : una per l’ imperatore Severo, uno per la moglie Giulia Domna e due per i suoi figli, Caracalla e Geta. Quando Geta venne ucciso, l’ imperatore, che nel frattempo era divenuto Caracalla, ordinò che la colonna a lui dedicata venisse abbattuta. E ancora oggi la mancanza della quarta colonna sull’ entrata ovest è evidente.
Sulla sommità del monte Nemrut si erge la tomba santuario del re Antioco I di Commagene, riportata alla luce nel corso di scavi effettuati nel 1953. Si compone di un tumulo di pietra frantumata, di 150 m di diametro per un’altezza di 50 m. Alla base tre terrazze formano il santuario con altari e statue gigantesche a creare uno scenario toccante che coglie il suo apice alla luce dell’alba e al tramonto del sole, e anche con la neve non scherza. Data la sua ardua collocazione, la natura ha prevalso sull’uomo e con fulmini, terremoti e lo stesso trascorrere del tempo, le statue sono state decapitate e le teste sistemate intorno all’incredibile tumulo. Il luogo della sepoltura, nonostante diversi tentativi, è ancora da scoprire. Una lastra raffigura il cosiddetto “leone astrale” considerato uno dei più antichi oroscopi del mondo. Scendendo dalla montagna raggiungiamo il parcheggio dove abbiamo lasciato il camper e una famiglia di turchi, anche loro in visita al sito, con grande simpatia, ci invita a sorseggiare un assai gradito the caldo e a scambiare due parole in amicizia. I bambini non chiedevano di meglio che poter vedere come fosse fatto il camper al suo interno.
Lasciamo dunque la montagna per scendere verso le pianure e le città che sanno più di oriente arabeggiante che di Turchia, nella parte più a est di questo grande Paese, dove il viaggio comincia davvero a tingersi si avventura esotica. Giungiamo così all’ antica cittadina di Harran, risalente all’ epoca assira, nota per le sue “ case alveare “. Si tratta di tradizionali case di argilla costruite interamente senza legno, molto simili ai trulli della nostra Puglia. Proprio come loro, la loro tecnologia costruttiva le rende fresche all’interno, adattandosi alle esigenze climatiche della regione, e si ipotizza che si costruiscano nella stessa maniera da almeno 3.000 anni. Alcune di loro erano ancora in uso come abitazioni fino agli anni ’80. Tuttavia, quelle che rimangono oggi sono esposizioni strettamente turistiche, mentre la maggior parte della popolazione di Harran vive in un piccolo villaggio di recente costruzione a circa 2 chilometri dal sito principale. La popolazione del villaggio oggi è composta principalmente da persone di etnia araba, con le donne che hanno spesso tatuaggi e sono vestite con abiti tradizionali beduini.
A pochi chilometri da Harran era impossibile non visitare il celeberrimo sito archeologico di Göbekli Tepe, che rappresenta una vera e propria visita all’ alba dell’ uomo. Il tempio di Göbekli Tepe, da molti considerato il più antico santuario costruito dall’uomo, precede Stonehenge di ben 6.000 anni. Consiste in una serie di recinti circolari in pietra grezza delimitati da enormi pilastri calcarei e da una quarantina di pietre assemblate a forma di T, alcune delle quali alte anche cinque metri e pesanti 50 tonnellate. Parte di questo materiale è decorato con incisioni e sculture di ispirazione animale, prodotte tra 9.600 e 8.200 anni prima di Cristo. Poiché attorno al sito non c’è traccia di insediamenti umani, si pensa che Göbekli Tepe (“collina tondeggiante”, in turco, “sacre rovine”, in curdo) fosse una sorta di cattedrale sopraelevata, un luogo sacro su una collina. La sua costruzione dovette interessare centinaia di uomini nell’arco di tre o cinque secoli e rappresenta ancora oggi un mistero in buona parte da scoprire. Bisogna dire che le autorità turche hanno saputo valorizzare il sito grazie ad un museo e a una scenografia multimediale che valorizzano il luogo e creano atmosfere suggestive. La zona archeologica è raggiungibile attraverso bus navetta e il tutto appare ben organizzato e curato.
Sarà proprio per questa moderna scenografia che è apparso ancora più forte e lacerante il contrasto con un gruppo di adolescenti (molti fra loro non avevano nemmeno 14 anni ), che, con ai piedi solo un paio di sandali, carichi con i loro sacchi di erba sotto la pioggia, ma belli nella loro semplice dignità, parevano usciti da un’epoca passata.
Da Göbekli Tepe raggiungiamo Şanlıurfa, la grande città a pochi chilometri di distanza, dove ci immergiamo nel pittoresco e animatissimo centro. Notevole la curiosità e la simpatia che abbiamo suscitato, unici turisti, a passeggiare nel bazar, dove c’è stato persino chi, facendo finta di nulla, ci ha fotografato con il cellulare. E’ una Turchia molto “arabeggiante ” e “medio orientale ” quella che abbiamo trovato in questa regione di confine. Qui si vedono diverse donne (per lo più anziane ) con il burka nero e uomini con in testa il caratteristico copricato arabo….. ma la tolleranza e la simpatia verso il viaggiatore che viene da lontano è massima. Da Şanlıurfa iniziamo il lungo e lento percorso di ritorno verso ovest e raggiungiamo Gaziantep, ritenuta una delle più antiche città abitate continuativamente del mondo. I primi abitanti infatti pare vi si siano insediati fin dal 3650 a.C circa. La città ha acquisito grande importanza grazie alla sua posizione strategica sulla famosa Via della seta. Il Parlamento Turco ha dato alla città il titolo Gazi (guerriero vittorioso) l’8 febbraio 1921 (il giorno della sua resa alle truppe francesi), in riconoscimento della lunga resistenza e del valore dei suoi abitanti durante la guerra franco-turca, così da allora la città prese ufficialmente il nome di Gaziantep “Antep la Veterana” o “Antep la combattente della Fede”.
Centro noto per la produzione di ottimo pistacchio, il tipico prodotto di Gaziantep è il baklava, a base di pistacchio e miele considerato il migliore al mondo e che, ovviamente, non dimentichiamo di acquistare in una delle sue oltre 180 pasticcerie. Un giro nel suo pittoresco bazar ci permette anche di gustare in un caratteristico locale affollato da gente del posto il famoso “ Adana kebab “, un piatto a base di carne di pecora grigliata e speziata.
Scendiamo ancora verso sud ovest e raggiungiamo Adana, città situata quasi in corrispondenza della fine della costa mediterranea della Turchia, a poche decine di chilometri dalla Siria. La zona non offre particolare interesse e anche la costa è bassa e paludosa, per cui decidiamo di proseguire verso ovest fino a raggiungere Mersin e fermarci a Taşucu, una ridente cittadina affacciata sul mar Mediterraneo. Qui ci prendiamo qualche giorno di pausa entrando, per la prima volta, in un campeggio attrezzato, soprattutto perché avevamo bisogno di fare alcune lavatrici. Il luogo è assai gradevole e ne approfittiamo per rilassarci sul mare. Da Taşucu partono i traghetti per Girne, nella “misteriosa“ Cipro Nord e non vi nascondo che ci ho fatto un serio pensiero. Cipro del Nord è uno Stato a sé, auto-proclamatosi e non riconosciuto dalla comunità internazionale, che si estende nella zona settentrionale dell’isola di Cipro dal 1983, ovvero qualche anno dopo l’occupazione turca di quella parte dell’ isola. La sua capitale è Lefkoşa (il nome di Nicosia in turco), ovvero la parte nord sotto occupazione militare turca della città di Nicosia, divisa dalla linea di demarcazione dell’armistizio (la Green Line o Attila Line). Solamente la Turchia riconosce la dichiarazione di indipendenza della autoproclamata repubblica, mentre le autorità della Cipro “ ufficiale “ ( quella che aderisce alla UE per intenderci ) ritengono “illegale” ogni ingresso a Cipro Nord che avvenga dai porti della Turchia e consentono il passaggio solo attraverso tre check points della Green Line. Si dice che entrare a Cipro Nord sia un vero e proprio viaggio nel tempo, in una natura ancora incontaminata e in una regione dove il turismo di massa è pressochè sconosciuto. Purtroppo non avevamo chiare indicazioni circa le norme anti covid vigenti a Cipro Nord in quei giorni e quindi alla fine abbiamo scelto di rinunciare, rimandando tuttavia solo a tempi migliori il viaggio in quella parte di isola che deve essere assai affascinante. Riprendiamo dunque il nostro viaggio lungo la costa mediterranea e raggiungiamo Gazipaşa, piccola cittadina ricca di mercati al centro della zona di produzione delle banane, nota perché lì nel 117 d.C. vi morì l’Imperatore Traiano.
A Gazipaşa, proprio sul mare, troviamo una attrezzata e comoda area di sosta per camper, dalla quale si gode lo spettacolo di splendidi tramonti. Qui abbiamo l’occasione di socializzare con diversi camperisti turchi, sempre disponibili a dare una mano e sempre molto socievoli ( ma mai invadenti ). Capita così che, pur senza parlare la stessa lingua, si crei una atmosfera di amicizia, fatta di musica di strada, di canti, di balli e di incontri….. E’ un popolo allegro e che sa vivere in compagnia quello turco, che si apre a chi viene da lontano, e così il viaggio diventa una occasione unica di abbattere barriere e pregiudizi. Fra i camperisti c’è anche un giovane inglese, in viaggio da solo con il suo simpaticissimo cane, in fuga dal clima sia meteo che soprattutto sociale dell’ Inghilterra nell’ era del covid. Egli è in Turchia da diverse settimane e prevede di chiedere alle autorità di polizia un prolungamento del visto per poter restare per tutto il tempo necessario. Sono scelte che fanno del viaggio una filosofia di vita. Del resto qui tutti ti coccolano e si fanno in quattro per farti sentire a tuo agio. Dal semplice gesto di saluto che tutti ti rivolgono appena arrivi, con la mano aperta, a significare che sei il benvenuto e che non sei un estraneo, fino all’ offerta delle dolcissime banane che qui crescono numerose. Volevamo sostare a Gazipaşa solo una notte, e così alla fine ci siamo rimasti quattro giorni !
Proseguiamo quindi per Alanya che, grazie alla sua naturale posizione strategica su una piccola penisola è stata una roccaforte locale per molti imperi mediterranei, tra cui quello tolemaico, seleucide, romano, bizantino, e ottomano. Il clima mediterraneo, le attrazioni naturali e il patrimonio storico rendono Alanya una destinazione popolare per il turismo di massa, e la città è infatti responsabile per il nove per cento del settore turistico della Turchia, e del trenta per cento degli acquisti esteri di beni immobili nel territorio turco. A partire dal 1958 il turismo è aumentato, diventando il settore dominante in città, con un conseguente aumento della popolazione. Ogni anno in questa città hanno vita diverse eventi sportivi e festival culturali. La numerosa presenza di turisti, soprattutto russi ( che in questa città è di fatto la seconda lingua ) la rende però poco autentica, per cui una visita va anche bene ma, almeno per noi, nulla di più. Poco oltre Alanya, in direzione di Antalya, è invece assolutamente d’obbligo una sosta a Serik, l’antica Aspendos, che fu un’importante e popolosa città della Panfilia, secondo alcuni la più antica di tutta l’ Asia Minore. La storia della città è ricchissima. Qui l’ammiraglio ateniese Cimone, con un attacco a sorpresa e una flotta di 200 navi, sconfisse i Persiani nel 465 a.c.
Dopo la conquista da parte di Alessandro Magno, la città passò sotto l’ Impero Romano. Durante l’occupazione romana, la città si ingrandì e si riempì di monumenti, e divenne un importante centro di commerci del sale, dell’olio, del grano, della lana, del vino e dei cavalli. Le rovine di Aspendus che oggi possiamo ancora ammirare risalgono proprio a questo periodo. Il loro gioiello è il famoso teatro costruito nel 155 a.c, e considerato il teatro dell’ antichità meglio conservato oggi. Lungo oltre 100 metri e largo 25, l’edificio è capace di 7000 posti, e fino a poco tempo fa il teatro era ancora in uso per concerti, festival ed eventi. A causa di danni causati dal montaggio di attrezzature teatrali moderne le autorità turche hanno però sospeso ulteriori spettacoli ed oggi una nuova struttura moderna nota come Aspendos Arena è stata costruita nei pressi per continuare la tradizione del teatro all’aperto.
Superata Antalya raggiungiamo la splendida spiaggia di Mavikent, un piccolo e tranquillo centro agricolo immerso negli agrumeti. La spiaggia è tranquilla e selvaggia, che è ciò che a noi piace, e in più si trova una sorgente di acqua dolce e un bagno pulito e attrezzato. Restiamo lì qualche giorno e godiamo degli splendidi tramonti resi ancor più suggestivi dalle onde che nel pomeriggio si sollevano impetuose.
Dopo Mavikent la strada costiera si fa più tortuosa offrendo scorci magnifici sulle acque limpide e turchesi del Mediterraneo. Con i prezzi decisamente convenienti, le strade ottime, strutture ricettive ovunque, per i camper un vero paradiso, cibo ottimo e saporito specialmente frutta, verdura e pesce, persone splendide e accoglienti, con tesori storici e archeologici ben conservati e accessibili e un mare a livello di Grecia e Sardegna, la Turchia si sta rivelando un’ottima meta alternativa. La strada tocca Demre e qui si fa doverosa una sosta a Myra, l’ antica città ellenica della Licia di cui fu vescovo San Nicola e che visse il suo periodo di maggiore splendore nel II secolo a.C. Prospero centro commerciale in età romana, in gran parte ricostruita dopo un devastante terremoto nel 141, è ricordata come scalo nel viaggio che san Paolo intraprese verso Roma. Fu sede vescovile a partire dal IV secolo ed uno dei primi vescovi fu san Nicola le cui spoglie vennero traslate a Bari nel 1087 dove si trovano tuttora, deposte nella Basilica di San Nicola. Ritornata all’impero bizantino sotto Alessio I Comneno, passò poi definitivamente ai Selgiuchidi.
Le rovine della città sono coperte da materiale alluvionale, ma sono stati parzialmente riportati alla luce il teatro romano, ricostruito dopo il terremoto del 141, le terme e una basilica bizantina dell’VIII secolo dedicata a san Nicola. La necropoli, collocata su una scogliera a strapiombo sul mare, conserva le facciate delle tombe scavate nella roccia. Quando l’archeologo inglese Charles Fellows visitò le tombe nel corso della sua seconda spedizione nel 1840, le trovò ancora colorate a tinte vive: rosso, giallo e azzurro. Da Myra la strada costiera raggiunge Kaş, animata cittadina turistica che si trova a circa due km di distanza dall’ isola greca di Castellorosso, la più orientale delle isole abitate della Grecia e dove vennero girate le scene dello splendido ” Mediterraneo ” di Gabriele Salvatores, che nel 1992 ricevette l’Oscar quale miglior film straniero. L’isola, un vero libro di storia, è particolarmente legata al nostro Paese dal momento che per oltre vent’anni nel secolo scorso appartenne all’Italia. Durante la Seconda guerra mondiale, il 25 febbraio 194, incursori britannici occuparono l’isola, ma le forze italiane di Rodi la ripresero tre giorni dopo. In quei giorni ci fu un ammirevole atto di eroismo da parte della maestra greca Anastasia Arnaoutoglou, che, ponendosi tra un soldato britannico e un marinaio italiano ferito, gli salvò la vita da un’esecuzione sommaria. Venne ufficialmente decorata da re Vittorio Emanuele III con la Medaglia di bronzo al Valor Militare. Fino ad allora questa onorificenza era normalmente riservata al solo personale militare, raramente ai civili e quasi mai ad una donna, per di più conosciuta per le simpatie in favore della causa irredentista greca. Peccato che le restrizioni imposte dalla Grecia a causa del Covid ci abbiano impedito di visitare l’isola, ma sicuramente torneremo in tempi migliori.
Per il momento non ci resta che proseguire e fermarci per una breve visita alla spiaggia del Parco Nazionale di Patara che ospita la nidificazione delle tartarughe marine in un ambiente ricco di fiori e animali che ricorda molto la nostra Maremma toscana. Anticamente Patara era il principale porto commerciale della Licia. I secoli hanno poi creato un cordone costiero sabbioso lungo quasi 16 km che costituisce appunto la più lunga e spettacolare spiaggia della regione. Molto interessante anche la zona archeologica, risalente all’ epoca romana, che si trova proprio alle spalle della suggestiva spiaggia. Qualche giorno di riposo ce lo concediamo invece a Dalyan, una piacevolissima località a pochi chilometri dal mare. In turco Dalyan significa “diga di pesca”, poichè muggini e orate risalgono il fiume che bagna la cittadina risalendo dal mare fino al lago di Köyceğiz. I pesci depongono qui le uova, e mentre fanno ritorno al mare vengono pescati dagli abitanti del luogo. Oltre alla sua attrazione come meta turistica, la regione attorno a Dalyan è una zona agricola altamente fertile e produttiva. Il cotone cresce in modo intenso, ma è stato in gran parte rimpiazzato dai melograni.
Sulla costa mediterranea, si trova la spiaggia di İztuzu, che nel 2008 fu proclamata vincitrice della categoria Miglior Spazio Aperto d’ Europa dal The Times, per lo sfruttamento eco-sostenibile. La spiaggia è soprattutto famosa per le tartarughe che la abitano da 95 milioni di anni. Si estende per 4,5 km ed è protetta da regole speciali dato che è uno dei pochi siti del Mediterraneo in cui nidifica la tartaruga caretta. Benché di giorno la spiaggia sia aperta al pubblico, nelle ore notturne – dalle 20 alle 8 – l’accesso è vietato da maggio a settembre. Lungo la spiaggia una fila di pali di legno segnala la collocazione dei nidi e stabilisce il limite oltre il quale i visitatori sono pregati di non spingersi per evitare di arrecare disturbo alle tartarughe.
Mi pare ora doveroso aprire una parentesi sulla storia recente della Turchia, perché chi ha viaggiato in questo Paese non avrà potuto fare a meno di notare la presenza costante della figura di Mustafà Kemal, meglio noto come “Atatürk”, che significa ” padre dei Turchi “, morto nel 1938 e considerato l’eroe nazionale turco e padre della Turchia moderna, al punto che la Costituzione del Paese lo definisce nel suo preambolo «Il capo immortale e l’eroe senza rivali» ed ancora oggi oggetto in Turchia di una religione civile tanto che l”insulto alla sua persona è un vero e proprio reato. Non mi dilungherò su quelle che furono le sue notevoli doti di capo militare, né sulla profonda e controversa eredità che questo grande riformatore ha lasciato. Voglio qui provare a spiegare perché egli è considerato il padre del Paese e perché ovunque si vede la sua immagine. Egli nel 1920 abolì il califfato e pose le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, la domenica come giorno festivo, proibì l’uso del velo islamico alle donne nei locali pubblici (legge abolita solo negli anni 2000, dal governo dell’AKP), adottò l’alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale e proibì l’uso del fez e del turbante, troppo legati al passato regime, così come la barba per i funzionari pubblici e i baffi alla turca per i militari. Egli stesso prese a vestire in abiti occidentali, ma mantenne temporaneamente l’Islam come religione di Stato, per non turbare eccessivamente i turchi più religiosi. Oggi la Turchia è istituzionalmente uno Stato laico senza una religione di Stato; la Costituzione turca prevede infatti la libertà di religione e di coscienza. In ambito giuridico, abrogò ogni norma e pena che poteva ricollegarsi alla legge islamica, promulgò un nuovo codice civile, che aveva come modello il codice civile svizzero, e un codice penale basato sul codice italiano dell’epoca, ma mantenne la pena di morte, che venne poi abolita in Turchia nel 2004. Tutte cose che ignoravo e che mi piace condividere con voi come motivo di riflessione e perché un viaggio è soprattutto cercare di tornare un po’meno ignoranti di quando siamo partiti.
Vorrei anche sottolineare un aspetto della cultura popolare dei Turchi che non conoscevo e che ci ha piacevolmente sorpreso, ovvero il grande amore e rispetto che essi hanno per gli animali. Ovunque nelle strade delle città grandi e piccole si trovano cucce e ricoveri per cani, gatti e uccelli, e numerosissime sono le ciotole e i distributori di cibo, taluni persino alimentati da pannelli solari. Una volta alla settimana i volontari girano nelle case per raccogliere cibo e altro materiale per gli amici a quattro zampe. A Dalyan mi è persino capitato di trovare uno splendido gattone accudito e coccolato all’ interno della banca in cui siamo andati per cambiare qualche euro in lire turche. Lungo le strade mai mi è capitato di vedere animali investiti e l’attenzione degli automobilisti turchi è massima.
A pochi chilometri da Marmaris, animatissima città turistica da cui partono i traghetti per l’antistante isola greca di Rodi, si trova quella che ricorderemo come una delle migliori località di mare che abbiamo incontrato nel nostro viaggio, ovvero Kumlubük. Si tratta di un piccolo villaggio perso nel nulla della campagna, con alle spalle verdissime montagne ricche di foreste e di sorgenti, che si affaccia su una lunga e selvaggia spiaggia di ciottoli e su un mare dalle trasparenze eccezionali. La zona è frequentata da tartarughe terrestri, gechi, caprette e mucche, ed è un vero paradiso per chi, come noi, ama la libertà assoluta e il contatto con la natura.
Dopo alcuni giorni trascorsi in piena libertà a Kumlubük, dirigiamo verso la vicina Datça, un importante e ridente centro turistico circa a metà dell’ omonima stretta penisola penisola lunga circa 80 km. Relativamente ancora poco sviluppata anche a causa delle strade non particolarmente agevoli, la penisola di Datça riserva numerose sorprese. Particolarmente interessante è il borgo di Eski Datça (la Vecchia Datça), qualche chilometro prima della città. La “vecchia Datça”, un tempo capoluogo di un distretto ottomano che si estendeva fino alla Grecia, ha conservato molto più fascino della sua controparte moderna, rimanendo un pittoresco villaggio di stradine acciottolate e vecchie case in pietra, che ricorda molto certi borghi della nostra Toscana.
Sulla punta estrema della penisola, proprio di fronte all’ isola greca di Kos, raggiungiamo il sito archeologico di Cnido, uno dei più suggestivi dell’ intera Turchia con i suoi due porti sull’estremità di un promontorio unito al continente da uno stretto e breve istmo. La città ebbe un notevole sviluppo economico dovuto a una ingente attività commerciale e i suoi abitanti godettero di un considerevole benessere. Cnido partecipò a quella diaspora colonizzatrice che portò alla formazione della Magna Grecia. Un gruppo di suoi abitanti fondò Lipara, oggi Lipari, nell’arcipelago delle Isole Eolie. Qui nel terzo secolo a.C. nacque e visse Eudosso di Cnido, famoso matematico e astronomo greco, a cui sono attribuiti risultati di grande importanza, fondamentali per il costituirsi della matematica come scienza moderna. Dell’antica Cnido sopravvivono oggi alcuni reperti monumentali che ricoprono una grande area. Assieme a delle mura ciclopiche e resti dei due porti sono rimasti due teatri e le tracce di un grande edificio, forse un tempio. Sono stati identificati l’agorà, il teatro, un tempio di Dioniso, uno delle Muse, uno di Afrodite e un gran numero di edifici minori. Prassitele fece per Cnido la sua più famosa statua, l’Afrodite di Cnido, sfortunatamente andata perduta; una sua copia, ritenuta la più fedele, si trova oggi nei Musei Vaticani.
Il nostro percorso ci porta poi a Kuşadası, considerata una delle migliori località balneari della costa egea della Turchia, punto di partenza per chi vuole visitare le rovine classiche della vicina Efeso e anche una delle mete favorite per le crociere. La passeggiata lungomare, il porticciolo e il grande porto sono un susseguirsi di hotel e ristoranti. Al largo della costa, sull’isola di Pigeon (letteralmente “ isola degli uccelli “ ) si trova il castello di epoca bizantina cinto da mura che un tempo proteggeva la città e che è collegato alla terraferma da una strada rialzata. Di particolare interesse il centro storico, arrampicato su una altura che si affaccia sul mare, con le sue originalissime case colorate.
Superata Smirne, il nostro viaggio volge ormai al termine. Ci concediamo ancora un po’ di riposo in un’ area libera e in piena natura proprio all’ inizio della costa asiatica dello stretto dei Dardanelli, dove abbiamo la fortuna di poter godere di alcuni dei più bei tramonti che abbiamo potuto vedere in questo viaggio.
Ma forse l’emozione più grande ce lo regala la famigliola di delfini che, la mattina, nuota nel mare proprio sotto di noi e che pare voglia salutarci quasi dicendoci “ tornate ancora, tornate presto !” Lasciamo la Turchia con la sensazione di avere fatto un viaggio unico ed emozionante. Sarà perchè abbiamo affrontato questi quasi 7000 km in camper in piena pandemia, sarà perchè la voglia di viaggiare in libertà era ormai troppo forte, fatto sta che questi quasi 40 giorni trascorsi in Turchia ci hanno lasciato pieni di meraviglia e di voglia di ritornare. Abbiamo visto luoghi magici e incontrato persone speciali, ci siamo immersi nella loro accoglienza che ci ha coccolato come da tempo non eravamo abituati, abbiamo potuto godere della dolcezza della loro frutta e del sapore autentico delle loro verdure, ci siamo strafogati di pesce freschissimo, di ottimi pistacchi, abbiamo anche potuto apprezzare il vino che loro producono in buona quantità e che viene liberamente venduto in tutti i supermercati. Abbiamo potuto toccare con mano il grande rispetto che hanno per gli animali e abbiamo imparato un sacco di cose sulla loro storia e la loro cultura, che spesso nelle nostre TV non vengono raccontate o, peggio, vengono distorte, contribuendo così a creare quei pregiudizi e quella diffidenza che, non lo nego, hanno all’ inizio sfiorato anche noi. La Turchia si è rivelata un vero paradiso per chi, come noi, fa del camper, e in particolare della sosta libera, una filosofia di viaggio. Aree di sosta sempre facili da trovare, acqua ovunque e facilmente accessibile, massima tolleranza e tanta sicurezza. Non ci sono lo stress e la delinquenza che caratterizzano ormai da tempo l’ Italia. La rete stradale è ottima e scorrevole. Dulcis in fundo, grazie alla svalutazione della lira turca, i prezzi sono stati per noi decisamente convenienti. Insomma una esperienza da rifare assolutamente e che consiglio di cuore a tutti voi.
CLAUDIO BENETTI
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