Dopo aver preso possesso della camera, doccia veloce e decido di uscire nella zona comune, alla reception. Sette piani di ostello e solo 3 personal computer a disposizione degli ospiti. Sono occupati, mi siedo e faccio conoscenza con una ragazza di Sydney che vive a Londra e un ragazzo ungherese. La ragazza racconta di esser stata derubata in Romania e di essersi ritrovata il conto prosciugato. Il ragazzo mi offre la grappa ungherese che assaggio. Non riusciamo ad usare il pc. Non mancano gli italiani, se ne segnala uno veneto che utilizza il computer comune per giocare al solitario. Ma su questo punto ne ho viste di ogni, da parte di gente di ogni nazionalità.
Pronti per uscire, ci incamminiamo alla ricerca di un ristorante. La temperatura è più bassa di quella belgradese. Ci accomodiamo al ristorante e decidiamo di mandare un sms a un nostro conoscente concittadino, S.
S. ha la ragazza di Budapest e in teoria dovrebbe trovarsi in città. Noi sapendo della cosa ci eravamo accordati con lui, avremmo dovuto far serata insieme a lui, lei e le amiche di lei.
La sua risposta è in sintonia con la fortuna della vacanza: non ha potuto arrivare a Budapest, scopriremo poi che il giorno prima della nostra partenza ha litigato e praticamente non andrà mai più in Ungheria.
Questa, di tutte le sventure, è stata senza ombra di dubbio la peggiore.
Finita la cena ci avviamo verso il centro. Veniamo bloccati dalle blindatrici, ma decidiamo di “divertirci” alle loro spalle l’indomani. Siamo stanchi, è lunedì sera, così optiamo per un pub tranquillo, abbastanza caratteristico per il fatto che è riempito di biglietti lasciati dagli avventori. Ne guardo un paio e noto che il fato ha voluto che ci sedessimo sotto un biglietto lasciato inequivocabilmente da un nostro connazionale.
È risaputo che odio gli italiani all’estero. Colgo questo come un segno del destino, è arrivato il momento di alzare bandiera bianca e rientrare in ostello.
“Ad agosto gli italiani li trovi anche nelle jungla del Congo”. Più o meno così, ora non ricordo esattamente, si esprimeva il Maestro mesi fa.
Ok, io non pensavo di certo di trovarmi in Serbia, sapevo che Budapest sarebbe stata piena di italioti ma non pensavo così tanto. Me ne accorgerò in modo chiaro l’ultimo giorno, praticamente l’unico passato interamente nella capitale ungherese. Fosse solo per gli italiani sarebbe anche passabile, ma è praticamente invasa da turisti stranieri di ogni dove. Italiani, inglesi, giapponesi, americani, spagnoli, olandesi e chi più ne ha più ne metta.
La città, specie il centro, è costruita ad uso e consumo per loro. Non c’è niente di autentico, se non i monumenti locali. Non mi è piaciuta assolutamente da quel punto di vista. Un posto esemplare è il mercato. Amo molto frequentare i mercati, pieni di spunti e considerazioni a cielo aperto. Quello di budapest è anch’esso prettamente turistico. Infatti è frequentato per il 90% da turisti, prodotti probabilmente non locali e addirittura un piano per i souvenir, quasi sicuramente made in china.
Nulla a che vedere poi con i mercati dell’Est.
Passiamo la giornata come turisti, torniamo in ostello e ci prepariamo per la serata. È l’ultima, non voglio buttarla nel cesso e chiedo info al ragazzo alla reception. Mi nomina il Rio, ma so che è pieno di italiani e gli rispondo che non ne voglio. Lui mi fa il nome del Romkert dicendo che comunque è carino e di un club però molto fuori, dove mi garantisce che gli italiani non ci sono.
Dopo la solita cena, decidiamo di andare in cerca delle blindatrici in vaci Utca, una delle schifezze di questa città (se ne fossi sindaco correrei ai ripari, una vera vergogna: non ci vorrebbe molto a farle sparire, penso che la polizia le conosca). C’è gente che ci casca, e non solo italiani.
Noi decidiamo di prenderci gioco di loro.
Fingiamo di non sapere il gioco e ci facciamo blindare.
Sotto con la prima coppia.
“Ciao, di dove siete? Noi siamo appena arrivate in città, veniamo da fuori e conosciamo un bel pub ma non sappiamo dove sia. Voi cosa fate?”
Noi rispondiamo che cerchiamo un pub per bere qualcosa prima di andare in un club. Rispondiamo che amiamo la musica rock e loro ci rispondono che conoscono un bel bar dove c’è musica dal vivo. Ovviamente conosco il gioco, ma continuo e decidiamo di seguirle per la curiosità. Arriviamo dopo un centinaio di metri davanti a un tranquillo bar e ovviamente appena fuori comunichiamo loro che abbiamo cambiato idea e preferiamo tornare in centro fregandocene della loro reazione stupita e delusa per non aver spennato polli.
L’indagine giornalistico sociologica prosegue con un’altra coppia di blindatrici ma stavolta dopo 5 minuti di conversazione dico a una delle due che conosco il gioco. “Tu hai sicuramente una commissione sulle bevute d’accordo con la proprietà“. Lei mi risponde stizzita “cosa ne sai, magari sono io il proprietario?”. “Sì, come no!” le rispondo e ce ne andiamo.
Il gioco è semplice, l’esca è un discorso ritrito che loro compiono per carpire informazioni. Mancano di fantasia, infatti la scenetta è sempre “noi veniamo da fuori e non troviamo un posto dove andare, voi ne conoscete uno?”. Cercano di carpire, in base ai tuoi gusti, dove portarti. Hanno accordi con diversi locali di ogni tipo, dal bar al pub al live pub. Alla seconda fermata infatti abbiamo risposto che cercavamo un bar per bere un caffè e loro ci hanno proposto un bar normalissimo, ma sono convinto che se avessimo risposto che cercavamo musica dal vivo ci avrebbero portato proprio davanti al live bar di pochi minuti prima.
Io continuo a pensare che sia necessaria una grossissima dose di ingenuità, per non dire peggio, per cascarci ma noto che c’è gente che cade nel tranello.
Ormai è mezzanotte, fa freddo e si preannuncia pioggia, decidiamo di andare al romkert.
È a Buda, proprio al di là del ponte più centrale.
Non esagero, credo di non aver mai visto un livello così alto in percentuale, ma non in quantità totale dato che è abbastanza piccolo.
È all’aperto, ma dopo l’esaltazione degli occhi tocca alle orecchie ambientarsi e questa volta devo dire di non aver mai sentito un così alto tasso di accenti italiani all’estero. È invaso! Vado al bancone, faccio in tempo a prendere qualcosa da bere, scambiare quattro chiacchiere con G. che i timori della pioggia diventano realtà (ricordo: locale all’aperto). In quei 20 minuti però un paio di scene da italioti le ho viste, si è fatto ben notare un uomo sui 55.
Con le pive nel sacco, delusi per le avverse condizioni meteo, vediamo svuotarsi il locale. Non lo diciamo a nessuno dei presenti, ma sappiamo chi è il responsabile: il Coimbra.
L’ultimo giorno lo passiamo ancora da turisti per un po’. Poi andiamo in aeroporto e prendiamo il nostro aereo. Rientrai in Italia la prima volta che vedo M. faccio la cosa più sensata che andrebbe fatta: gli rifilo metaforicamente un calcio nel c.